Esecuzione

573 54 104
                                    

John venne trascinato come un criminale in una carrozza, e costretto a sedersi in mezzo ai due che lo avevano prelevato. Provò ancora a protestare, a pretendere delle spiegazioni, ma ricevette solo silenzio e, in un'occasione, la minaccia da parte di uno degli ufficiali di essere imbavagliato se non avesse chiuso la bocca. A quel punto, tacque, anche se gli costò non poca fatica. Era, comunque, tutto inutile: non avrebbe ottenuto risposte da loro, e di certo non voleva farsi umiliare ancor di più presentandosi imbavagliato al vero colpevole del suo arresto. Aveva infatti qualche idea, sulla sua identità, seppur una parte di lui sperasse di essere nel torto.
I suoi pensieri corsero a Mary che, del tutto ignara, di certo in quel momento lo credeva al lavoro. Non poteva neppure metterla in guardia, consigliarle di nascondersi da suo padre, la cui nobiltà l'avrebbe di certo protetta, se fossero giunti fino a lei. Se già non l'avevano fatto...
Nonostante la minaccia, avrebbe ancora voluto protestare, far valere i suoi diritti, ma si impose di rimanere in silenzio: comunque era già certo che non sarebbe servito a nulla. Ci doveva essere molto di più, dietro quella falsa accusa di pirateria...

---

La carrozza, infine, si fermò, e i due ufficiali lo fecero rudemente scendere, tenendogli i polsi ammanettati dietro la schiena. John avvertì dei brividi di sudore freddo, seppur si fosse aspettato di essere condotto lì: la prigione di Port Royal. Ma invece di dirigersi verso le celle, i due lo condussero in un piccolo edificio annesso, per poi fermarsi di fronte ad una porta di legno scuro. Uno degli ufficiali bussò, e una voce li invitò a entrare: una voce profonda e roca, ma anche untuosa...
Trasalì, mentre i suoi peggiori sospetti prendevano rapidamente forma e si concretizzavano.
Questa voce...
Io la conosco...
Una volta entrato, si trovò di fronte proprio a chi aveva immaginato: era un uomo dai capelli biondi corti, forse sulla sessantina, un monocolo d'argento che gli pendeva dalla giacca militare blu. Lo riconobbe immediatamente: era lo stesso uomo che aveva udito parlare con Culverton due anni prima, in quel vicolo a Tortuga; anche se la prima volta non l'aveva visto bene a causa dell'oscurità, il tono di voce era inconfondibile. Ma fu la sua espressione, a inquietarlo: John non sapeva come altro definirla, se non vuota, priva di emozione; gli occhi grigi, quasi metallici, senza alcuna traccia di empatia. Più che un uomo, pareva uno squalo.
Sotto quello sguardo, si sentì vulnerabile, esposto: ma non come quando Sherlock aveva dedotto tutto di lui semplicemente guardandolo.
Quello sguardo aveva suscitato in lui ammirazione e curiosità; quello di Charles Magnussen, invece, solo nervosismo e repulsione.
Ma soprattutto, una paura profonda.
-Lasciateci-ordinò questi, facendo un gesto secco con la mano rivolto ai due ufficiali, che si affrettarono ad ubbidire, lasciandoli soli nella stanza, e senza neppure togliergli le manette ai polsi.

Magnussen gli girò intorno lentamente, in silenzio, scrutandolo, proprio come uno squalo fa con le sue vittime un attimo prima di divorarle: ma John rimase ritto in mezzo alla stanza, impassibile, cercando di non mostrare la sua paura. Era l'unica cosa che potesse fare.
-Lei è John Watson, ex ufficiale della Marina Inglese e corsaro al servizio della Corona? -si decise finalmente a domandargli il capo della Compagnia, in tono freddo.
-È una domanda retorica? Perché se mi trovo qui, di certo lo sa già...-replicò però lui, mostrando un'incredibile determinazione e sangue freddo: non si sarebbe fatto intimidire da quell'uomo.
Magnussen gli rifilò un ceffone forte e improvviso col dorso della mano: John, colto di sorpresa, strinse con forza le labbra per trattenere un leggero lamento, ma non abbassò lo sguardo.
-Risponda alla domanda!- gli abbaiò nuovamente l'altro, il volto a pochi centimetri dal suo.

Seguì un lungo momento di silenzio.
-Sì-rispose il biondo infine, seppur con evidente fatica, il sangue che gli ribolliva nelle vene, la guancia che bruciava.
Magnussen, soddisfatto, annuì:
prese poi dalla scrivania un documento dall'aria ufficiale.
-Lei è accusato di pirateria.
-È un'accusa falsa.
Il capo della Compagnia distese le labbra in un finto sorrisetto accondiscendente.
-Ah, davvero?
-L'ha appena detto lei, signore.-John enfatizzò l'ultima parola con malcelato disprezzo.-Sono... ero... un corsaro al servizio della Corona. Si è già dimenticato di aver pronunciato queste esatte parole? Data la sua età, posso capire che abbia dei vuoti di memoria, ma...
Un ennesimo schiaffo lo colpì in pieno viso: John, stavolta, se l'aspettava, e non solo rimase immobile e senza emettere neppure un suono, ma seguitò a non abbassare lo sguardo.
-Lei ha bisogno di imparare l'educazione, signor Watson. E imparerà. Ooh... se imparerà...-gli sussurrò Magnussen, una luce di perfidia in quegli occhi vuoti.
John deglutì, mentre il terrore, pur contro la sua volontà, iniziava ad invaderlo.
-A meno che...-aggiunse l'altro però, strofinando il monocolo sulla giacca, e riponendolo poi nel taschino.-Non mi dia qualcosa che io voglio.
-E cosa potrebbe mai volere da me?-ribattè il biondo, sorpreso suo malgrado.
Seguì un breve silenzio, mentre l'altro lo fissava, meditabondo.
-Voglio essere sincero con lei, John-disse infine, ammorbidendo quasi impercettibilmente il tono.-Mi è stato chiesto di ucciderla. Non mi chieda chi, non le risponderei. Ma io sono un uomo generoso, e voglio offrirle la possibilità di salvarsi la vita, quantomeno.
Gli si avvicinò di nuovo, tanto che lui riuscì a sentire il calore del suo fiato sulla sua nuca.
-Non deve far altro che dirmi dove si nasconde la Perla Nera e il suo equipaggio- gli sussurrò il capo della Compagnia all'orecchio.-E non provi a mentirmi. So perfettamente che lei era arruolato su quella nave.
Deve per forza sapere dove si trova...

Life as a pirate Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora