Una nuova speranza

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               ~14 anni dopo~

La scogliera era immersa nel silenzio, rotto solo, di quando in quando, dallo stridio dei gabbiani e dall'infrangersi delle onde sulle rocce.
La ragazza chiuse gli occhi, mentre un vento leggero che sapeva di salsedine le scompigliava i capelli biondi, sciolti, lunghi oltre le spalle. Inspirò a pieni polmoni quel profumo che tanto amava, lasciando che spazzasse via i suoi pensieri cupi. Ma ci sarebbe voluto ben altro, per scacciarli.
Veniva sempre lì, su quella scogliera, quando sentiva troppa tristezza nel cuore: ma quel giorno, nemmeno quel luogo sembrava in grado di rasserenarla.
Non completamente.
-... Rosie! Vieni, cara! La cena è pronta!
Quella voce nota alle sue spalle le fece spalancare gli occhi di scatto.
-Arrivo subito!-gridò in risposta, alzandosi e poi girandosi verso la loro piccola abitazione dove, sulla soglia, c'era una donna dai capelli identici ai suoi, un grembiule indosso, un dolce sorriso sul volto.
Dopo aver disteso alla belle e meglio le pieghe del suo vestito, e aver gettato un ultimo sguardo di rimpianto all'orizzonte, Rosie Watson raggiunse sua madre.

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La loro casa era modesta, ma confortevole: un allegro fuoco era già accesso nel caminetto, mentre sua madre serviva la cena.
Rosie le prese la pentola fumante dalle mani, con gentilezza.
-Ci penso io-disse, e con un mestolo versò grandi cucchiaiate di zuppa nelle due scodelle già pronte sul rustico tavolo di legno.
Avvertì però, su di sé, lo sguardo della madre, e si voltò, guardandola interrogativa.
-... Che c'è, mamma? Qualcosa non va?- le chiese poi, preoccupata, notando i suoi occhi lucidi.
Lei sospirò piano, e sollevò appena le labbra in un mesto sorriso, mentre si sedeva.
-Niente, cara, è solo che... Mi ricordi così tanto tuo padre, certe volte. Anche lui faceva così. Voleva sempre servire lui, in tavola.
Anche Rosie sospirò, sedendosi, e gettando poi uno sguardo a un quadro appeso sulla parete. Conosceva quel dipinto a memoria, al punto che, anche ad occhi chiusi, avrebbe saputo descriverne ogni più piccolo dettaglio. Raffigurava sua madre e suo padre il giorno del matrimonio, uno di fronte all'altro, le mani unite: lei indossava un semplice abito di pizzo bianco e una coroncina; lui, una giacca marrone scuro.
L'ignoto artista li aveva ritratti entrambi col sorriso sulle labbra e un'espressione palesemente felice.
Di fronte a loro, stava colui che officiava la cerimonia: occhi verde azzurri, capelli neri ricci sotto il cappello da capitano, una giacca nera con bottoni d'argento, un leggero mezzo sorriso a increspargli le labbra.

Anche Rosie si ritrovò a sorridere.
Capitan Sherlock Holmes.
Per lei era semplicemente "zio Sherlock".
Da quando aveva memoria, era sempre venuto a trovare lei e sua madre, facendo parte in tutto e per tutto della sua vita. Ricordava bene, i bottoni della sua giacca: secondo sua madre, ne era affascinata fin da piccolissima, al punto che una volta gliene aveva strappato uno, mentre lui la teneva in braccio. Sempre secondo la madre, lo zio glielo aveva lasciato tenere.
"Così avrà sempre un ricordo del suo zio onorario", aveva detto, con un dolce sorriso.
Purtroppo, era troppo piccola per ricordare quel particolare dettaglio.
Ma il bottone... quello no, non l'aveva dimenticato.
Volse lo sguardo al suo polso, dove stava da quando aveva otto anni, legato con un laccetto di cuoio marrone. Sorrise nuovamente, sfiorandolo appena con l'indice, mentre i ricordi di lei e delle sue giornate passate in compagnia dello zio la sommergevano.
Quando la portava a raccogliere conchiglie sulla spiaggia. Quando le raccontava qualcuna delle sue mirabolanti imprese.
E ancora... la volta in cui l'aveva portata sulla Perla Nera, dove aveva conosciuto tutto il suo equipaggio.
Ricordava ancora perfettamente quanto era stato meraviglioso trovarsi a bordo di quella grande nave: ricordava di aver desiderato di essere anche lei un pirata, un giorno.
"Una piratessa", l'aveva corretta la madre, "Era il mio stesso desiderio, quando avevo la tua età", aveva aggiunto, con una risata.

Ma, se quei ricordi le portavano una grande gioia, ce ne era un altro che invece le causava un dolore profondo: e risaliva esattamente a quattro anni prima. Ma lo ricordava ancora con estrema chiarezza.
Perché era anche stato il giorno in cui aveva conosciuto, per la prima volta da quando era nata, il suo papà.

Aveva aspettato vicino a sua madre, che le teneva una mano sulla spalla, mentre il cuore le batteva nel petto per l'emozione, lo sguardo fisso verso l'orizzonte, in attesa del tramonto.
Poi, come per magia, una nave era emersa sotto i suoi occhi, in un lampo di luce verde, avvicinandosi sempre più alla costa.
Infine, sul sentiero che dava sulla spiaggia, era salita una figura.
Un uomo dai capelli biondo cenere e gli occhi identici ai suoi.
Il suo papà.
Nonostante non l'avesse mai visto durante tutta la sua infanzia, sua madre e suo zio glielo avevano descritto e parlato di lui così tante volte che a Rosie sembrava di conoscerlo già.
Ricordò di essergli corso incontro senza alcuna esitazione, mentre lui l'aveva abbracciata, gli occhi colmi di lacrime, e un sorriso sul volto.

Ma se quel ricordo era pieno di dolcezza, ciò che era accaduto in seguito non lo era.
Quel giorno, c'era anche lo zio Sherlock, con loro. E suo padre, con lui, si era comportato in modo strano.
Come se fosse, in qualche modo... arrabbiato. E di questo Rosie non riusciva a capacitarsi.
Le era stata raccontata mille volte, la storia della maledizione. Sapeva che lo zio aveva dovuto far pugnalare il cuore di Moriarty a suo padre, altrimenti lui sarebbe morto. Che motivo avrebbe avuto, dunque, per avercela con lui?
Inoltre, sapeva che Sherlock cercava da anni, senza sosta, un modo per spezzarla.
Non ricordava purtroppo con precisione cosa si fossero detti, ma ricordò i due che si fronteggiavano, e il tono duro e rabbioso di suo padre.
Ricordava invece fin troppo bene proprio una frase di quest'ultimo.
Una frase terribile.

"Forse sarebbe stato meglio lasciarmi morire."

Quella frase orribile gli era rimasta impressa.
Così come l'espressione sul volto dello zio.
Era piena di dolore.
Un dolore vero.
Perché John aveva smesso di sperare.
Perché John aveva smesso di credere in Sherlock Holmes.

Era stato da quel giorno che lo zio Sherlock aveva iniziato a venire sempre meno: come se si vergognasse di farsi vedere da loro.
Erano trascorsi infatti almeno due anni, dall'ultima visita.
Con un piccolo e triste sospiro, si accinse finalmente a mangiare la sua zuppa: anche se la sua mente, ormai, era immersa nei ricordi.

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La piccola isola di Northumberland, dove loro vivevano, non aveva molto da offrire, a parte un microscopico villaggio.
Anche se, in realtà, qualcosa c'era: una piccola bottega di un rigattiere, seminascosta in un vicolo, dove Rosie amava curiosare. Dopo la scogliera, era il suo secondo posto preferito.
Quella mattina, vagò come sempre tra gli scaffali colmi di chincaglieria, stoffe e dipinti, ma senza una meta precisa, e perennemente persa nei suoi pensieri, che però andavano sempre e solo in un'unica direzione.
Ripensò al cuore di suo padre, chiuso in uno scrigno per l'eternità.
A volte, quando sua madre dormiva, lei apriva il vano segreto del guardaroba in cui l'aveva nascosto, e posava la mano su quel forziere, ascoltando quei battiti, traendo conforto da quel contatto col padre, seppur minimo.
Rosie sapeva che sua madre-che aveva più volte sorpreso a piangere, anche se di nascosto da lei- ma anche suo zio, condividevano la sua medesima tristezza e dolore. E così anche sua padre. Le parole che aveva rivolto a suo zio, infatti, erano state dettate certamente solo dalla rabbia e dal dolore straziante che quella condizione gli causavano. Ne era certa.
Era anche certa che, una volta che quella maledizione fosse stata spezzata, le cose sarebbero tornate a posto. Entrambi, seppur con parole diverse, le avevano raccontato più volte della profonda amicizia che legava suo padre e lo zio Sherlock. Un legame unico, indissolubile.
Non potevano, perciò, gettarla via a quel modo!
Innervosita, si ritrovò a frugare distrattamente e con impeto tra alcuni vecchi volumi, facendoli cadere a terra. Con uno sbuffo, si chinò a raccoglierli.
Fu allora, che lo vide.
Un libro piccolo e sottile, con la copertina di un colore blu scuro, tendente all'indaco.
Incuriosita, lo prese tra le mani, e lo aprì con delicatezza: la pergamena era così sottile che era un miracolo che fosse ancora integro. Le parole vergate sulle pagine erano scritte in una calligrafia allungata ed elegante, e su molte di esse vi erano immagini di costellazioni e di fasi lunari.
Non appena lesse il primo paragrafo, i suoi occhi si spalancarono, e il cuore iniziò a batterle all'impazzata.
Trafelata, lasciò qualche moneta sul bancone, e corse fuori dalla bottega, il volume stretto al petto.

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Dietro uno degli scaffali, la figura incappucciata sorrise.

Life as a pirate Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora