La mia missione

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Rosie corse a perdifiato su per la collina e spalancò la porta di casa con foga, tanto da farla sbattere.
Sua madre, allarmata dal rumore, si affacciò dalla soglia della cucina, poi le venne incontro, preoccupata dal suo viso congestionato per la corsa.
-Tesoro, cosa c'è?? Ti è successo qualcosa? Sembri sconvolta!
Rosie riprese fiato e aprì la bocca per risponderle: poi, però, si fermò, e la richiuse. Sapeva che avrebbe dovuto raccontarle subito ciò che aveva scoperto, ma qualcosa la trattenne. Sua madre era molto protettiva; non le avrebbe dunque mai permesso ciò che aveva in mente di fare. Perché Rosie aveva tutto chiaro in mente, sin da quando aveva letto quelle poche righe. Cercò quindi, nonostante il tumulto del cuore, di assumere un'aria tranquilla.
-Niente, mamma, scusa... È solo che... Ho trovato un libro meraviglioso in una bottega e... ero emozionata, tutto qui. Anzi, se non ti dispiace, vorrei andare in camera e cominciare subito a leggerlo.
Tecnicamente non era nemmeno una bugia; e questo pensiero soffocò, almeno in parte, il suo senso di colpa.
La madre corrugò un momento la fronte, guardandola pensierosa, ma non insistette.
-Va bene, tesoro, fa' pure-le concesse, con un sorriso, dandole una carezza sulla guancia.- Ma ricordati che tra poco il pranzo sarà pronto.
Rosie annuì, sorridendole a sua volta.
Una volta che la madre fu tornata in cucina, si lasciò sfuggire un sospiro di sollievo; si diresse poi rapidamente nella sua stanza, chiudendosi la porta alle spalle.

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Era ormai scesa la notte, e la ragazza aveva passato quasi tutto il giorno su quelle fragili pagine, studiandole e prendendo appunti. Era uscita da lì solo per pranzare e cenare, e anche allora aveva mangiato il più rapidamente possibile-per fortuna, sua madre non aveva sospettato nulla- per poi buttarsi di nuovo a capofitto nella sua missione.
Sì.
Aveva una missione, ora.
Ma sapeva fin troppo bene che da sola non ce l'avrebbe mai fatta. Qui arrivava la seconda parte del piano: la più difficile.
Doveva trovare Sherlock Holmes.

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Il rintocco della tanto attesa mezzanotte risuonò nella casa addormentata. Era arrivata l'ora.
Silenziosamente, Rosie si alzò e si vestì: preparò poi una sacca, dove mise alcuni pochi oggetti, viveri e, naturalmente, il prezioso volume.
Prese poi un pezzo di carta, e vi scrisse sopra, rapida:

Cara mamma,
Non posso spiegarti il motivo, ma è successo qualcosa di assolutamente inaspettato, che mi spinge a partire. Sapevo che non me lo avresti mai permesso, quindi ho dovuto fare tutto di nascosto. Ti chiedo scusa, ma dovevo farlo. Posso solo dirti che andrò a cercare lo zio Sherlock, anche se so già che non sarà facile trovarlo, dato che non lo vediamo da un paio d'anni. Ma sono sicura che ci riuscirò.
Perciò, ti prego, non preoccuparti per me: sai che sono in grado di cavarmela.
Tornerò il prima possibile.
E, se la fortuna mi assiste, non sarò da sola...

Ti voglio bene
Tua Rosie

Entrò cauta nella stanza da letto della madre-che in quel momento era immersa nel sonno- e lasciò il biglietto sul comodino.
Le posò poi un leggero bacio sulla guancia e, con una punta di rammarico ma determinata, uscì fuori nella notte buia.

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Un'onda si abbattè sullo scafo del mercantile, scuotendo Rosie dal suo torpore.
Gettò uno sguardo attraverso la feritoia: il viaggio era durato un giorno intero-infatti era già scesa di nuovo la notte-ma finalmente erano arrivati.
Tortuga.
Grazie al cielo, al porto di Northumberland, il giorno prima, aveva subito trovato un mercantile diretto lì. Non volendo farsi notare, si era raccolta i capelli in una coda di cavallo, che aveva poi celato sotto un logoro berretto, in modo da passare per un ragazzino: sua madre sarebbe stata fiera di lei, se avesse potuto vederla. Aveva poi allungato alcune monete al capitano come pagamento per la traversata.
Il viaggio era proseguito senza intoppi: quasi nessuno si era troppo interessato a lei, anche perché l'avevano ritenuta solo un ragazzino qualsiasi, in cerca di lavoro su una nave, come ce ne sono tanti. "Quasi", perché uno dei mozzi l'aveva fissata con insistenza per tutta la durata del viaggio: doveva essere sui diciott'anni, corpulento, con un'espressione arcigna, e a Rosie non era piaciuto per nulla, sin dall'inizio.
Ma con suo grande sollievo si era limitato a fissarla da lontano, senza tentare alcun tipo di approccio.
Si tirò su dallo scomodo pagliericcio, togliendo dalla sua giacca marrone scuro alcuni fili di paglia. L'aveva presa dal guardaroba di sua madre, insieme ad una casacca bianca, un paio di calzoni neri da uomo e un cinturone del medesimo colore, munito di sciabola. Grazie allo zio Sherlock, che l'aveva allenata fin da molto piccola, a sei anni, se la cavava piuttosto bene, con quella.
Sorrise, mentre l'ennesimo ricordo riaffiorava...

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