Capitolo trenta: Attimi di pura debolezza

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Anche oggi osservo dalla finestra della mia camera il sole sorgere, ad anche oggi mi ripeto che tutto andrà bene, ed anche oggi so' che non sarà così, perché morirò di nostalgia quando incontrerò i suoi occhi in mezzo alla folla di studenti. È vero nulla è cambiato intorno a me, tutto è rimasto uguale, il sole continua a sorgere, i ragazzi conducono le loro vite ordinarie, però io so che niente è come prima. Io non sono più come prima. Avevo un'unica certezza nella mia vita ed ho perso anche quella. Poggio la mia mano sulla finestra mentre pian piano il sole abbaglia ed illumina il mio viso. Questa è una mattina come le altre, mi vestirò, andrò a lezione e poi mi addormenterò con un terribile magone ed una scomoda verità. Voglio cambiare qualcosa però, questa mattina dev'essere diversa dalle altre, sono stanca di sentirmi vuota. Lui è ancora nella mia vita devo solo accettare che non possiamo più amarci come prima. Afferro con determinazione la tuta dal mio armadio, l'indosso e mi guardo allo specchio sistemando i miei capelli in una coda alta. Fisso il mio riflesso allo specchio, ripetendomi che devo ricominciare tutto d'accapo. "Dove vai sono le sette del mattino? Le lezioni oggi iniziano alle dieci"; mi rammenta Candice infastidita dai rumori che creo muovendomi intorno alla stanza; "vado a correre. Devo ricominciare"; rispondo deglutendo a fatica. "Vedrai riuscirai a dimenticare Ian"; dice con l'intento di rassicurarmi, ed io le sorrido come sempre, fingendo che sarà così. Ho raccontato a Tina e Candice che io e Ian ci siamo lasciati per delle divergenze. Lui era pronto per andare a vivere insieme mentre io non lo ero. Ho mentito loro dicendo che la differenza di età ci aveva separati e che avrei superato tutto facilmente. Solamente a Justin ho raccontato la verità, perché avevo bisogno di piangere fino a sentirmi male e con lui potevo farlo perché mi conosce meglio di chiunque altro a questo mondo. Respiro l'aria mattutina, il leggero venticello che vuole preannunciare l'estate accarezza piacevolmente il mio viso e dopo un breve momento di malinconia, nel ricordare le corse al fianco del mio insegnante arrogante, inizio a correre. Corro cercando di dimenticare, provando a lasciarmi tutto alle spalle, sperando che una semplice corsetta abbia questo grande potere. Dentro di me so che non è così, però ho bisogno di crederci. Giro introno al mio dormitorio, non percepisco neanche la stanchezza, sento solamente l'incessante necessità di riavere indietro la mia vecchia vita, quella prima di Janin. Quella prima di Ian. Il mio cuore batte freneticamente ma continuo a correre senza sosta e senza meta. Già, io non ho più nessuna meta adesso. È strano pensare come in un secondo tutto possa svanire: i progetti di una vita intera, l'amore e perfino una famiglia. Con il fiatone e il petto dolorante decido saggiamente di fermarmi. Chino il mio busto verso il basso poggiando le mani sulle mie ginocchia. "Stai bene?". La sua voce la riconoscerei fra miliardi di voci mischiate fra loro. Le sue mani sfiorano la mia vita e mi sorreggono. "Ian"; biascico senza riuscire a parlare per via della fatica. "Non devi affaticarti in questo modo"; mi rimprovera con evidente preoccupazione. Sposto il mio viso verso il suo, rendendomi conto che è a pochi centimetri dal mio. "Che ci fai qui?"; Gli domando immergendo i miei occhi nei suoi, sognando di poter baciare nuovamente le sue labbra. "Correvo anch'io"; risponde sorridendomi debolmente e con molta fatica. "Sediamoci"; mi consiglia notando che continuo a respirare con lieve difficoltà. "Sei preoccupato per me"; costato mentre ci sediamo su una delle tante panchine del campus. "Non ho mai smesso di farlo"; replica senza staccare i suoi occhi dai miei. Il petto mi brucia e non più per la fatica. "Come va?"; Gli domando cercando di conversare. Sono due settimane che lo evito. Due settimane che lui prova a parlarmi e due settimane che io corro via da lui. Ma non può funzionare così perché, anche se odio ammetterlo o solo pensarlo, lui è mio zio, il fratello di colui che sarebbe dovuto essere mio padre, e nonostante la rabbia io voglio sapere tutto su di lui, voglio un pezzo di Rick nella mia vita. "Non saprei. A te come va?"; Chiede a sua volta osservandomi con la coda dell'occhio e aria puramente sarcastica. "Di schifo"; affermo sbuffando, poggiando la mia schiena contro la panchina. "Interessante"; dice guardando avanti a lui. L'osservo e dovrei sentirmi a disagio, ma non è affatto così, in sua presenza io riesco a sentirmi me stessa, riesco ad esternare quello che mi tormenta e soprattutto riesco a parlare senza censure. "Anche me va uno schifo, per la cronaca"; precisa con il suo solito ghigno impertinente. Lo scruto pochi attimi sottecchi, sorridendo successivamente. "Grandioso. Sono riusciuto a farti ridere"; esclama con soddisfazione ridendo anche lui. "Con te è tutto diverso. Io sono me stessa. Mi manchi"; gli confesso guardandolo con un mezzo sorriso sghembo e nostalgico. "E tu manchi a me"; afferma prendendo la mia mano. "Io sono qui Rachel. Non dobbiamo evitarci. Ci vogliamo bene e siamo a nostro agio insieme, credo che dovremmo vederci più spesso". Vorrei che fosse più semplice di così. Ma come posso fingere che non sia mai accaduto nulla quando in realtà sento ancora le sue labbra baciare il mio corpo? "Parlami di mio padre"; affermo ad un tratto guardando Ian con la viva necessità di conoscere l'uomo che mi ha donato la vita e che purtroppo non sono riuscita a conoscere. Ian sospira e il suo viso diviene cupo e tormentato, forse non dovevo parlare di Rick. "Scusami, forse è troppo difficile per te"; dico provando a scusarmi con imbarazzo. Ian afferra la mia mano e mi scruta con tenerezza, e un velo di malinconia sorge nei suoi occhi azzurri. "No, è giusto che tu conosca tuo padre"; replica stringendo la mia mano. Non lo respingo, non ci riesco soprattutto adesso che entrambi siamo così vicini grazie a uomo che appartiene ad entrambi. "Rick era un bravo fratello maggiore, si prendeva cura di me e mi difendeva sempre"; mi racconta con il sorriso sulle labbra. Io ascolto le sue parole, perdendomi in esse, immaginando qualcuno che non ho mai conosciuto, il medesimo che è mio padre. "Lui copriva i miei errori. Litigavamo anche per questo, ma eravamo molto uniti e sono convinto che sarebbe stato un padre eccezionale. Forse allora era troppo giovane ed ha avuto paura". Alle parole di Ian i miei occhi iniziano a luccicare, avrei tanto voluto abbracciarlo una volta e, magari, raccontargli una mia giornata. "Rachel"; mi richiama Ian notando le lacrime che scivolano sulle mie guance. "Rick non c'è più. Ma hai una mamma...Lo so ti ha ferita, ma lei è viva e può raccontarti la verità, quella che cerchi da anni"; afferma provando a farmi ragionare. È vero al momento provo tanta rabbia nei confronti di quella donna, ma rimane mia madre, non importa quanto io la detesti il suo ruolo non potrà mai mutare. "Parlale"; mi esorta con voce dannatamente roca. I nostri visi sono vicini, e sembra divenire un'entità reale la fatica di non sfiorare le sue labbra. Lui chiude i suoi occhi e lentamente poggia le sue labbra sulla mia fronte, depositando un lungo e dolce bacio su di essa. "Te l'ho prometto io ti starò vicino"; mi sussurra avvolgendomi fra le sue braccia. Rimaniamo così, l'uno fra le braccia dell'altro, per diversi minuti. Piango, versando lacrime colme di rabbia, risentimento e rassegnazione, mentre lui continua a tenere il mio fragile corpo contro il suo. È possibile avere dannatamente voglia di ricominciare tutto d'accapo ma al contempo rendersi conto che sarebbe tutto inutile? Perché lui continuerebbe ad essere il mio primo pensiero alle prime luci dell'alba, quando il sole è alto in cielo e quando tutto diviene buio ed a schiarire tutto c'è solo la grande luna. Vorrei non svegliarmi più, perché questa vita mi sta facendo fin troppo male. Vorrei che tutto tacesse in un eterno silenzio. Quando finalmente rialzo i miei occhi verso di lui, noto tanta tristezza e malinconia, la stessa che divora me. "Le parlerai?"; Chiede accarezzando il mio viso, riferendosi implicitamente a Janin. "Sì, le parlerò. Io devo sapere la verità"; affermo abbastanza convinta della scelta che ho preso. Ian annuisce inarcando lievemente il suo labbro in un sorriso; "brava piccola"; mi sussurra baciando la mia fronte con tenerezza. Le mie mani stringono avidamente la sua maglia, non voglio lasciarlo andare. "Ci pensi mai?"; Chiedo ad un tratto, con la voce tremolante e gli occhi lucidi. "A cosa?"; Domanda disorientato; "a noi. A ciò che sarebbe potuto essere. A quello che noi saremmo potuti essere...Insieme". Lui debolmente e con difficoltà annuisce fissando il vuoto avanti a sé. Il suo silenzio è straziante, ma risponde alla mia domanda. Ci pensa, forse ogni giorno, e forse gli impedisce di essere felice. "Non hai paura di tutto ciò?"; Chiedo con l'infinta voglia di fuggire insieme a lui, di dimenticare ogni cosa e vivere quella vita. "Mi logora Rachel. Ogni volta che incrocio il tuo sguardo è una fitta al cuore. Sai quante volte ho immaginato di correre verso di te, afferrarti per un polso e baciarti? Baciarti fino a sentirmi male, fino a non sentire più ossigeno nei miei polmoni"; mi confessa guardandomi con occhi fiammeggianti d'ira. "Anche adesso ho voglia di baciarti. Dio solo sa' quanta forza di volontà sto impiegando per non farlo". Trattengo il mio respiro provando a dimenticare le sue parole, poiché neanche io devo cedere alle mie irruenti passioni. "Forse è il momento di andare"; gli suggerisco alzandomi dalla panchina controvoglia. Lui d'accordo con la mia affermazione si alza insieme a me. "Ci vediamo presto"; mi saluta con un'espressione cupa e distaccata; "posso venire da te questa sera?"; Gli domando a bruciapelo, con un enorme magone che m'impedisce di deglutire. "Rachel"; mi richiama sembrando contrario e combattuto. "Ti prego non dirmi di no. Ho perso tutto. Avevo una famiglia e mi mancate tu, Phoebe e Paul". Lo scruto con aria supplichevole e alquanto disperata. Mento tutti i giorni alle mie amiche, perché non sono pronta a dire loro la verità, fa male ed è imbarazzante e fin troppo complessa. "Avevi promesso". Gli rammento la promessa fatta pochi minuti fa. Ci sarà sempre per me, voglio che sia così. "Va bene. Paul sarà felice di vederti ed anche Phoebe". Mi avvicino a lui lentamente, poggiando una mano sul suo viso; "tu invece?"; Chiedo con un filo di voce. "Io devo imparare a guardarti senza amarti"; risponde mentre i muscoli delle sue labbra si contraggono. "A dopo"; mi saluta depositando un casto bacio sulla mia fronte, allontanandosi successivamente da me. Rimango a guardarlo correre via, ripensando alle sue ultime parole che mi atterriscono. So' che è doloroso, so' che tutto ciò è una tortura, ma l'idea che lui smetta di amarmi, quella è ancora più devastante di qualsiasi altra verità. Ritorno al mio appartamento e faccio una lunga doccia, successivamente con calma e gentilezza sveglio Candice per andare a lezione, malgrado non avevo voglia di muovere un solo muscolo ho preparato la colazione alla mia migliore amica. Colma di gioia e gratitudine ha divorato le mie frittelle in pochi secondi. Vederla così allegra e sorridente mi ha ricordato me qualche settimana fa, quando ancora tutto era perfetto. Quando al mattino mi svegliavo al fianco di Ian e nell'aria si percepiva l'inconfondibile odore delle frittele di Paul. È sempre difficile ripensare a quei giorni, sembrano così distanti dalla realtà che sto vivendo adesso, a volte penso che siano stati solamente frutto di una mia bizzarra fantasia. "Che farai oggi?"; Mi domanda la mia amica davanti l'uscio della porta. "Devo parlare con Janin"; le rivelo con lo sguardo rivolto al pavimento. Candice richiude la porta del nostro appartamento e senza pronunciare una sola sillaba si avvicina a me e, rimanendo in silenzio mi abbraccia. La stringo forte cercando conforto, provando a farmi coraggio. Avevo davvero bisogno di sentirla vicina. "Adesso vai o farai tardi"; le suggerisco guardandola con gratitudine; "sì, certo"; risponde lei sorridendomi con la sua innata dolcezza. Guardo il mio riflesso allo specchio rendendomi conto delle somiglianze visibili e palesi che vi sono fra me e Janin. Ho il suo stesso naso, le sue stesse labbra ed il suo viso rotondo. Fin da bambina desideravo conoscere il vero aspetto di mia madre, ma ho pagato un prezzo inestimabile per questa verità. Raccolgo le mie forze ed esco dal mio appartamento per raggiungere l'aula di canto. Ogni passo che compio è un passo verso la donna che mi ha segnato per sempre ed irrimediabilmente il mio destino fin dal mio primo istante di vita. Sento un'enorme pressione addosso e provo un fastidioso senso di angoscia. Quando mi ritrovo davanti l'aula di Janin, mi guardo attorno accorgendomi che gli studenti stanno lasciando la sua aula compreso Colin, quest'ultimo ha smesso di parlarmi ed evita perfino di guardarmi. Pazientemente aspetto che gli studenti lascino l'aula così da poter parlare con Janin in tutta tranquillità. Improvvisamente, quando i miei occhi incontrano quelli di mia madre, tutto diviene silenzioso dentro di me, ma una strana quiete s'impossessa di me. Lei mi sorride, mentre mi avvicino a lei titubante e piena di domande sul mio passato. "Ti ho aspettata per ben diciotto anni"; afferma con voce commossa e tremante. Continuo a guardarla con disappunto e confusione, però lei è mia madre, è una parte di me, che lo voglia o no. "Ho tante domande da farti"; affermo deglutendo nervosamente. Lei mi sorride e prende la mia mano. Alzo i miei occhi verso di lei e noto quanto sia felice di avermi vicina. Ho atteso a lungo questo momento, tuttavia, avrei preferito arrivasse un decennio fa. "Vieni sediamoci"; mi consiglia invitandomi dentro l'aula. Siamo una difronte all'altra, ed io non posso fare a meno di far guizzare il mio sguardo da una parte all'altra dell'aula. "Perché mi hai abbandonata?"; Le chiedo a bruciapelo, stufa di vivere con questo dubbio che mi ha tormentata notti intere. Il suo viso si rabbuia e sono convinta che questa decisione abbia tormentato anche lei. "Avevo quindici anni, mio padre mi cacciò di casa ed io scappai in Texas da mia zia che aveva un orfanotrofio, era perfetto per crescere una bambina". Ascolto le sue parole con difficoltà, e faccio davvero molta fatica a guardarla negli occhi. "Tante ragazze si prendono cura del proprio figlio"; affermo senza giustificare il suo gesto. "Lo so, per questo mi odio per quello che ti ho fatto. Volevo regalarti una vita felice". Alla sua affermazione sorrido con amarezza e sarcasmo. "Vita felice?"; Domando con rancore, rammentando i giorni in cui rimanevo chiusa in ospedale ed al mio fianco c'erano solamente le infermiere. "Dov'eri quando le famiglie mi riportavano in orfanotrofio?"; Le domando colma d'ira; "dov'eri quando ho compivo gli anni? Dov'eri quando mi facevo male e piangevo? Dov'eri quando ho preso il diploma?". Le lacrime scorrono sul mio viso e le sento bruciare dentro di me. "Tutti i soldi che guadagnavo li spedivo a te"; precisa cercando di scusarsi per le sue assenza. "Non erano i soldi che volevo. Volevo te"; ribatto rendendomi conto che covo ancora del rancore. "Sei stata tu a iscrivermi in questa scuola? Sei tu che paghi la retta?"; Le chiedo già consapevole della risposta. "Sì". Sorrido amaramente e alzo il mio sguardo deluso verso di lei. "Ti sei sempre divertita a giocare con il mio destino. Hai mai pensato alle conseguenze?"; Domando gesticolando nervosamente, ricoperta di rabbia. "Io non potevo immaginare che ti saresti innamorata di Ian"; ribatte frustrata. "Hai rovinato la mia vita"; le dico stanca di ascoltare le sue giustificazioni, sono inutili e deludenti. "Un'ultima cosa"; affermo prima di lasciare l'aula. Lei mi osserva piangendo mentre io inizio a non provare più nulla, se non tanta ira; "mio padre sapeva della mia esistenza?". Rimane in silenzio qualche secondo, senza riuscire a rispondere alla mia domanda. "Sì. Solamente che ho deciso di fuggire via"; mi rivela spezzandomi il cuore definitamente. Forse mio padre si sarebbe preso cura di me, ed io sarei cresciuta insieme a Ian ed ai miei occhi sarebbe stato solo mio zio. Mi allontano da lei e con tutta me stessa vorrei odiarla senza risparmiarmi, ma una piccola parte di me continua a ripetermi che è mia madre. Adesso l'unica persona che può placare il mio dolore è lui. Corro nel suo ufficio spalancando la porta. Lui è lì e mi osserva con occhi confusi e preoccupati. "Ti prego abbracciami"; gli suggerisco con aria supplichevole, senza riuscire a smettere di singhiozzare. Ian si acciglia un attimo, sospira e corre ad avvolgermi fra le sue braccia. È questa la mia casa. Qualunque cosa accada, qualunque sia il suo ruolo e in qualunque modo ci amiamo.

A secret love- Ian SomerhalderDove le storie prendono vita. Scoprilo ora