Capitolo diciotto: Vecchi ricordi

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Non ho mai avuto una vera amica. È impossibile coltivare amicizie all'interno di un orfanotrofio. Ogni giorno un bambino o una bambina veniva adottato, mentre io rimanevo lì, ferma, con il naso appiccicato alla finestra, sognando che un giorno, una di quelle belle famiglie, scegliesse anche me. Ma questo non è mai successo. Ed il mio sogno di vivere in una casa normale, circondata da fratelli o sorelle, è divenuto solo un'utopia. Per quanto mi sforzassi di coltivare delle amicizie dentro quel luogo freddo e triste, ero destinata a fallire. Ricordo ancora l'unico vero amico che mi è stato vicino qualche anno. Si chiamava Justin, ed era un bambino astuto, furbo e pieno di energie. Allora io avevo circa dieci anni, e lui dodici. I suoi genitori persero la vita in un incidente stradale quando lui aveva circa sette anni. Per quattro anni visse insieme ai nonni, ma erano molto anziani, e quando compì undici anni si ammalarono, e decisero che sarebbe stato meglio affidarlo agli assistenti sociali, fu così che venne ad abitare in orfanotrofio. Io e Justin non fummo subito amici, era alquanto dispettoso, talvolta era complicato stargli vicino. Molti bambini, soprattutto i più piccoli cercavano di evitarlo, ed anche io lo evitavo, emulando la massa. Essendo una bambina, ero più incline a farmi trasportare dai pregiudizi degli altri miei coetanei. Un giorno però le cose presero una piega totalmente diversa. Stavo giocando nel cortile dell'orfanotrofio insieme ad altre due bambine, loro però iniziarono a prendermi in giro, poiché i genitori che un mese prima avevano deciso di adottarmi mi avevano rispedito in orfanotrofio. Iniziarono a vessarmi, riempiendomi di insulti. Io, che ero fin troppo sensibile, scappai piangendo. Mi nascosi dietro un albero, e continuai a piangere, finché non mi resi conto che al mio fianco c'era Justin. Ricordo che mi porse un fazzolettino, e che mi abbraccio senza dire una sola parola. Da quel giorno diventammo inseparabili. Non passava giorno in cui non combinavamo qualche guaio. Pendevo completamente dalle sue labbra. Lui conosceva tanti posti e tante cose che io non avevo mai visto. Alcune, probabilmente le inventava, però era piacevole ascoltare le sue storie. Amavo sentirlo parlare dei suoi genitori, lui era uno di quei pochi bambini che li ricordava bene. Mi raccontava spesso di quando sua mamma gli leggeva le favole della buonanotte, e di quando curava le sue ginocchia sbucciate, canticchiando una canzoncina, la stessa che lui cantava a me quando mi ferivo. È solo grazie a Justin se sono riuscita a comprendere come sarebbe stato avere una madre. Lui mi diceva sempre che gli mancavano i suoi baci, li descriveva come delle caramelle, mi spiegava che erano dolci e delicati e che sapevano di tenerezza. Mi perdevo nei suoi racconti, e sognavo sempre quei baci di cui mi parlava tanto. Poi quando lui compì quattordici anni venne adottato dallo zio di sua madre, che fino ad allora non aveva l'età per poterlo adottare. Fu uno dei giorni più strazianti della mia vita, avevo perso l'unico vero amico della mia infanzia. Mi promise che un giorno ci saremmo rivisti, e che mi avrebbe scritto ogni giorno, ma non fu così, non rividi più Justin, e di lui adesso mi rimane solo un dolce ricordo d'infanzia. Costruirmi una solida amicizia per me è sempre stato complicato e, adesso che finalmente ho realizzato parte dei miei sogni, ho davvero il timore di perdere ogni cosa. Ho paura di affrontare Candice, perché sento di averla tradita. Le ho mentito, le ho tenuto nascosta la mia relazione con Ian, quando invece avrei dovuto raccontarle la verità. Non parliamo da ieri sera, da quando siamo tornate a casa. Lei è andata subito a dormire, ed io non ho avuto il coraggio necessario per affrontarla. Non voglio perdere anche lei, non voglio che si ripeta ciò che è successo fra me e Justin. Riconosco che quello che è successo fra me e Candice è ben diverso, ma il dolore sarebbe identico, ed è quello che non potrei sopportare. Coloro che hanno dei fratelli ed una stabile famiglia, non potranno mai capire cosa vuol dire concretamente perdere un amico. Potranno essere addolorati, certo, ma avranno sempre qualcuno che li amerà ugualmente. Io se perdo un amico, o un'amica, perdo ogni cosa. Non c'è nessuno che mi consolerà quando mi sembrerà tutto nero e difficile. Io non ho un posto che posso chiamare casa. La mia casa è questo college, e la mia famiglia sono i miei amici. Questa mattina, quando ho aperto i miei occhi, Candice era già andata via, e non riesco a spiegarmi il motivo della sua assenza, dato che oggi le sue lezioni iniziano nel pomeriggio. Mordicchio la punta della mia penna, ascoltando, quasi senza voglia, la mia insegnate di canto. Io e Colin siamo tornati ad essere amici, e oggi siamo di nuovo seduti l'uno di fianco all'altro. Sono lieta di poter parlare di nuovo con lui. Nonostante sia ancora addolorato per l'aborto di Ally, ha ricominciato a sorridere, e durante la lezione, non ha fatto altro che farmi ridere con le sue stupide battute. Colin è sempre stato un ragazzo speciale e dolce, non esistono molti ragazzi come lui, e spero con tutto il mio cuore che riesca a trovare una ragazza che si renda conto delle sue rare qualità, e che lo ami come non sono riuscita ad amarlo io. "Ho bisogno di un caffè"; si lamenta il mio amico, poggiando con disperazione la testa sul banco. "Io ho bisogno di parlare con Candice"; borbotto fra me e me, a bassa voce. "Avete litigato?"; Mi domanda Colin. Sobbalzo un po' sorpresa, non pensavo che mi avesse sentito. "Non proprio. Le ho mentito ed ha scoperto la verità nel peggiore dei modi"; gli rivelo, sfogandomi un po'. Colin scuote il capo, osservandomi con un leggero sorriso impresso sul volto. "Fammi indovinare"; esordisce avvicinandosi a me, per evitare di farsi sentire dall'insegnante di canto; "in questa storia c'entra il tuo professore di recitazione"; afferma sicuro di quello che dice. I miei occhi si sbarrano, e nonostante stia cercando di trattenere la sorpresa e la paura, il mio sguardo, come sempre mi tradisce. "Che dici?"; Gli chiedo ridendo nervosamente. Inizio a sudare freddo, oltre che pericoloso, è imbarazzante parlare di questo con il mio ex ragazzo. "Non devi nasconderti con me. Ormai siamo solo amici. Probabilmente lo siamo sempre stati"; replica scrollando le spalle. I suoi occhi non sono affatto tristi, ma consapevoli. "Colin nessuno deve sapere"; lo supplico con occhi imploranti e terribilmente spaventati. Se Ian sapesse che Colin conosce il nostro segreto, andrebbe su tutte le furie, e placarlo sarebbe un'impresa faticosa. "Fidati di me, non dirò mai a nessuno il tuo segreto"; mi rassicura accarezzandomi la mano. "Non riesco a spiegarmi una cosa"; dico abbastanza confusa. Colin mi ascolta, annuendo; "come hai scoperto di me e lui?"; Chiedo senza pronunciare il nome di Ian a voce alta. Qui la gente ha un udito bionico. "Mi è bastato guardare i vostri sguardi. Insomma ieri lui mi ha quasi ucciso. Conosco lo sguardo di chi è geloso". Guardo Colin inarcando le mie labbra verso l'alto. Rendendomi conto di quanto siano palesi i sentimenti che legano me e Ian. Dovremmo fare più attenzione, anche un semplice scambio di sguardi potrebbe destare sospetti su noi due. "Il tuo segreto è al sicuro"; afferma sottovoce, con occhi sinceri e rassicuranti. Sospiro leggermente frustrata. Colin è sicuramente un ragazzo per bene, ma rimane pur sempre il mio ex, fidarmi pienamente di lui è un salto nel buio, ormai però conosce la verità, quindi sono costretta a fidarmi di lui. La lezione termina con il suono della campana e, travolta dai sensi di colpa, saluto Colin, per poter correre a cercare Candice. Devo parlare con Lei adesso, prima che sia troppo tardi. "Rachel vorrei parlarti, è importante"; mi richiama la mia insegnante di canto. Un po' tentennante mi volto verso la sua direzione. Ho bisogno di parlare con Candice, il richiamo da parte della signorina Janin m'impedirà di parlare con lei, prima della prossima lezione. "Mi dica"; replico un po' freddamente, incrociando le braccia al petto. Sono un po' nervosa, ho davvero fretta di andare via. "Volevo parlarti di questa cosa già da un po' di tempo"; afferma guardandomi con aria seria e composta. Il cuore inizia a battermi più velocemente, purtroppo sono abbastanza consapevole quale sarà il centro del suo discorso. Ian. "Ho evitato di parlartene prima perché ritenevo opportuno farti ristabilire completamente"; dice smorzando uno strano sorrisino amaro. "In ospedale ho visto il modo in cui il signor Sanders si prendeva cura di te. Mi è sorto spontaneo pensare che fra voi due c'è una forte intesa". Irrigidisco il mio corpo, e serro un pugno. I miei occhi si assottigliano, e momentaneamente, non so cosa dire o fare. L'unica soluzione che trovo più congeniale è quella di prenderla in contropiede, aggredendola. "Si rende conto di cosa sta insinuando?"; Chiedo completamente iraconda. Il modo più semplice di nascondere la paura è la rabbia. "Scusa non volevo offenderti"; si affretta a replicare. "Se qualcuno sentisse questa conversazione potrebbe denunciare Ian al preside e lui lo licenzierebbe in tronco"; ribatto ancora infuriata. Prima che Janin possa replicare, mi rendo conto di aver pronunciato il nome di colui che dovrei chiamare esclusivamente insegnante. La signorina Janin mi osserva senza essere turbata, fingendo di non aver sentito. "Volevo solo consigliarti di fare attenzione. Sei una ragazza davvero speciale, e non voglio che qualcuno come lui ti faccia del male". Ormai queste parole mi vengono ripetute più e più volte. Sono davvero stufa di sentirmi dire che Ian mi ferirà, è come se tutti coloro che mi circondano, aspettano pazientemente il momento in cui Ian mi farà a pezzi. Nessuno ha mai pensato che Ian potrebbe rendermi felice. Nessuno ha mai osato dirmi che lui forse sta davvero cambiando per me. "Grazie per la premura, ma sono brava a prendermi cura di me stessa da sola"; preciso voltandomi dalla parte opposta. Mi dirigo verso l'aula di storia della musica. Ho i nervi a fior di pelle, e seguire la lezione è davvero impossibile. Mi alzo velocemente, uscendo dall'aula prima che la lezione inizi. Per oggi non parteciperò. Non riesco a stare seduta su una sedia, pensando che la mia migliore amica è infuriata con me. Corro verso il bar, sperando di trovarla lì. Quando la scorgo, seduta su uno dei tavolini interni, tiro un enorme respiro di sollievo. Mi avvicino a lei un po' tremante, e senza dire nulla mi siedo al suo stesso tavolo. Ci guardiamo per qualche secondo, rimanendo in perfetto silenzio. "Lo ami davvero?"; Domanda Candice, interrompendo il silenzio. "Credo di non sapere quale sia il significato del verbo amare. Non ancora perlomeno"; le rispondo scrollando le spalle. "Invece sono abbastanza convinta che tu lo sappia. Ho notato il modo in cui lo guardi, e la luce che sprigionano i tuoi occhi quando parli di lui"; afferma sospirando. "Lo so che mi detesti perché ti ho nascosto la verità, ma non potevo parlarne con nessuno"; tento di giustificarmi con un terribile nodo alla gola, che mi opprime. "Non sono arrabbiata, né delusa. Ho sola paura, Ian non è il principe azzurro"; replica osservandomi con occhi angosciati. La mia amica mi prende la mano, senza staccare i suoi occhi dai miei; "nessuno è un principe azzurro"; ribatto difendendo Ian. "Questo lo so. Però Ian è l'anti principe per eccellenza. Credevo che tu l'odiassi, che dopo quella notte fra voi due le cose sarebbero finite". Anch'io credevo che sarebbe stato così, ma alle volte il destino gioca per noi e sceglie finali diversi. "Lo so, anche io ero convinta che fosse tutto finito. Credimi io ero infuriata con lui, e l'odiavo e desideravo con tutta me stessa schiaffeggiare quel suo viso arrogante"; le dico gesticolando con enfasi le mani; "poi però cos'è successo?"; Domanda quasi comprensiva; "quando l'ho rivisto ho dimenticato tutto, e abbiamo fatto l'amore"; rispondo con aria cupa, sperando con tutta me stessa che Candice possa capire le mie ragioni. "E poi hai il coraggio di dire che non lo ami"; afferma regalandomi un sorriso. Stringo la sua mano, con la gioia di non averla persa. "Scusa se non ti ho raccontato nulla"; le ripeto con reale costernazione; "è tutto risolto"; mi rassicura ridendo dolcemente. Candice è un'ottima amica, e sono certa che un giorno anche lei riuscirà a vedere il buono che c'è dentro Ian. "Dopo le vacanze dirò anche a Tina quello che c'è fra ed Ian"; dico alla mia migliore amica, alzandomi dal tavolino del bar; "Parli del diavolo"; mi sussurra Candice all'orecchio, indicandomi con discrezione Ian che sta entrando dentro il bar. Si avvicina verso me e la mia amica. Oggi porta i capelli più scombinati del solito, e la sua camminata così sicura e fiera, infiamma interamente ogni millimetro del mio corpo. "Salve ragazze"; ci saluta formalmente; "io devo andare, impegno improvviso"; esclama la mia amica dileguandosi in fretta e furia. Rimango da sola con Ian, che non smette, neanche per una breve frazione di secondo, di osservarmi con insistenza il corpo. "Non puoi guardarmi così sfacciatamente"; lo rimprovero ripensando a ciò che mi ha detto oggi Colin. Ha ragione, i suoi sguardi sono molto più loquaci delle parole. "Sei mia e ti fisso quanto desidero"; replica mordendosi il labbro inferiore. "Non ci sono speranze per te"; commento alzando gli occhi al cielo. "Perché non provi a curare tu i miei difetti?"; Domanda sottovoce con aria maliziosa. Le mie guance s'infiammano, e schiarisco la mia voce per tentare di apparire meno turbata possibile, provando a scacciare fuori dalla mia testa la valanga di immagini che raffigurano me ed Ian dentro una qualsiasi camera da letto. "Deve dirmi qualcosa signor Sanders?"; Chiedo formale, guardandolo con aria di sfida; "sai mi eccita particolarmente quando provi a mantenere le distanze da me"; sussurra a voce bassa. Sospiro frustrata, distogliendo i miei occhi da lui. "Potresti chiamarmi così mentre siamo a letto"; continua sogghignando. "Potresti smetterla di parlarmi delle tue perversioni?"; Domando un po' alterata; "tu adori le mie perversioni"; ribatte sempre più presuntuoso; "Ian"; lo richiamo sottovoce spalancando i miei occhi, adirata. "Scusa splendore. Ti ho cercata perché volevo dirti una cosa"; mi spiega ritornando serio. Annuisco con leggera preoccupazione, non è da lui mantenere un'espressione così seria; "oggi andrò a trovare mio padre, quindi questa sera, forse, non potremmo vederci". Rimango un po' basita dal suo annuncio, e non perché questa sera non potremmo vederci, ma perché ha sempre detto di non avere nessun tipo di rapporti con la sua famiglia. "Va bene. Voglio solo sapere come ti senti"; dico scrutando profondamente il suo volto accigliato. "Onestamente non lo so"; replica rilasciando un lungo respiro. "Se dovessi avere bisogno di parlare con qualcuno, non esitare a chiamarmi"; gli suggerisco piuttosto seria; "certo"; dice abbozzando un piccolo sorriso forzato; "Adesso vado, ho del lavoro da finire"; mi spiega completamente teso, allontanandosi da me. Io non posso minimamente comprendere cosa significhi essere in perenne lotta con i propri genitori. Posso solo immaginare quanto sia complicato e doloroso per lui affrontarli. E probabilmente la sua vecchia casa è colma di vecchi ricordi che gli rammentano suo fratello. Ci sono dei momenti, come questo, in cui non posso fare a meno di sentirmi inutile. Vorrei strappare via i suoi tormenti e renderlo felice, ma ahimè non sono in grado di farlo. Per quanto egli lo possa celare, non smetterà mai di torturasi e tormentarsi per la morte di suo fratello. Non lo biasimo per questo, però questo enorme peso gli impedirà di vivere una vita serena e completamente felice.

A secret love- Ian SomerhalderDove le storie prendono vita. Scoprilo ora