Capitolo quattordici: Cuori tremanti

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Ho continuato a portare la maschera della ragazza forte e determinata. Ho riso insieme alle mie amiche, fingendo che tutto andasse bene. Ho ripetuto almeno un migliaio di volte di stare bene, ed in fondo adesso è così, sto bene. La tempesta si è placata, intorno a me tutto è tornato alla normalità. Le mie amiche non osano più parlare di Ian, ed io cerco di non pensarci. Colin ha deciso di lasciare la band e questo evento mi ha sconvolta più del previsto. Lentamente tutto sta cambiando, l'atmosfera della band non è più la stessa, stiamo provando a tirare avanti, ma senza il nostro leader la situazione è davvero disastrosa. Siamo alla deriva e non credo che riusciremo a ritornare a riva, probabilmente scioglieremo il gruppo, quest'idea balena nelle nostre manti già da qualche giorno, e probabilmente è ciò che accadrà. Sistemo i miei capelli in una coda di cavallo guardandomi allo specchio. Candice è già pronta, mi sta aspettando da diversi minuti, però ultimamente è più comprensiva nei miei confronti, e devo ammettere che apprezzo molto questo suo atteggiamento. "Sono pronta"; esordisco uscendo dal nostro bagno; "andiamo oggi sarà una lunga giornata"; sospira come se fosse già stanca, ancor prima di affrontare l'intera giornata. Io e la mia amica ci dividiamo, salutandoci al centro del corridoio, lei mi augura una giornata serena, ed io ricambio il suo augurio sorridendole debolmente e con gratitudine. Entro in classe, ma questa volta decido di sedermi qualche posto più distante da quello di Colin. Lui nota il mio comportamento, e per qualche secondo ci osserviamo con nostalgia, ma quello scambio di sguardi viene bruscamente interrotto dall'arrivo della nostra insegnate. "Oggi è un giorno speciale"; annuncia con entusiasmo la signorina Janin; "Ho finalmente deciso quali ragazzi verranno insieme a me ad incontrare un noto produttore discografico"; ci rivela, mandando su di giri l'intero corso di conto. In coro tutti noi ragazzi, iniziamo ad urlare di gioia, applaudendo l'insegnate. Incontrare un produttore discografico è un'opportunità che tutti i ragazzi di quest'aula hanno sognato con fervore. Ed io avrei avuto il loro medesimo entusiasmo, ma adesso la mia vita è fin troppo aggrovigliata e complessa, e neanche un'opportunità simile riesce a mettermi di buon umore. In questo preciso momento della mia vita desidero solo studiare e migliorarmi, non voglio la fama, non adesso. Sto cercando di costruire dei rapporti solidi e duraturi, e per nulla al mondo vorrei abbandonare Candice, Tina ed i ragazzi della band. Ho sempre convissuto con la paura di perdere le persone a cui voglio bene. È un timore che mi perseguita fin da bambina, poiché puntualmente, ogni qual volta riuscivo a consolidare un rapporto con qualcuno, quella persona all'improvviso scompariva dalla mia vita. "Vorrei che venissero insieme a me: Colin, Madison, Rachel e Samuel"; dice la signora Janin, menzionando anche il mio nome. A malincuore alzo la mia mano, destando scalpore fra gli studenti; "vorrei che al mio posto andasse qualcun'altro"; esordisco abbastanza decisa, mentre sento chiaramente alcuni studenti definirmi pazza. "Sei sicura della tua scelta?"; Mi domanda con evidente rammarico la mia insegnate; "sì"; replico prontamente, soffermandomi a guardare la finestra della mia aula. Rimango a fissare quella finestra per qualche minuto, ammirando il sole che abbaglia l'intero cortile. Mi piacerebbe poter essere distesa su quel prato, ad osservare le nuvole, magari con lui al mio fianco. Scuoto il capo, ritornando a concentrarmi sulla lezione. Non devo dimenticare ciò che mi ha consigliato Tina. Noi siamo un male l'uno per l'altro, ed è per questo motivo che dobbiamo stare lontani. La campana suona destandomi dai miei pensieri. Insieme agli altri studenti esco dalla classe, pronta per seguire la lezione di chitarra. "Rachel fermati"; mi richiama la signorina Janin, scrutandomi con lieve preoccupazione; "che ti succede? Stai attraversando un brutto periodo?"; Mi domanda avendo intuito dalla mia assenza mentale che c'è qualcosa che mi turba in questo periodo. La sua premura mi allieta e lievemente le sorrido; "Ho solo problemi di cuore"; le rivelo vagamente, sminuendo un po' la questione, che in realtà mi tortura ogni istante della giornata. "Ti va di parlarne?"; Mi chiede con garbo, poggiando una mano sulla mia spalla; "più tardi dopo pranzo non ho lezioni, potremmo uscire fuori dal campus"; mi propone quasi con entusiasmo. Per qualche secondo mi soffermo a guardare il suo viso sorridente e allegro, senza però comprendere le ragioni che la spingono ad essere così gentile e premurosa nei miei confronti. Malgrado la mia perplessità, lei riesce ad infondermi sicurezza e affetto. "Va bene"; replico tentennante, inarcando lievemente le mie labbra verso l'alto. "Puoi chiamarmi Janin"; mi consiglia ridendo, accarezzando lievemente i miei capelli. L'ultima volta che un insegnante mi ha consigliato di chiamarlo per nome, non è finita affatto bene. Ma con Janin sarà diverso, lei non è un uomo affascinante e carismatico dagli occhi di ghiaccio, e di certo non vorrà in alcun modo sedurmi. Esco fuori dall'aula, dirigendomi verso la mia prossima lezione, sono già molto stanca, ed ogni passo che compio mi sembra sempre più pesante. Il mio sguardo è un po' distratto, ma nonostante la mia testa sia fra le nuvole, riesco a notare la presenza, alquanto inconsueta di Paul. Agita la sua mano verso la mia direzione, ed io quasi istintivamente ruoto leggermente il mio busto, per costatare se alla mie spalle non ci sia la presenza poco gradita di Ian. Ma non appena mi volto, lui non c'è, questo significa che Paul è me che sta salutando. "E' un po' che provo a chiamarti"; esordisce avvicinandosi a me. Osservo il migliore amico di Ian, un ragazzo completamente diverso da lui. Paul è sicuramente molto più maturo e posato, e non è certamente un frivolo donnaiolo. Mi domando per quale motivo sia qui per me. "Ciao, scusa non avevo capito che stessi salutando me"; ammetto scrollando le spalle con imbarazzo. Lui si mette a ridere, rendendosi conto della mia goffaggine; "non fa niente. Hai un po' di tempo per me?"; Mi chiede guardandosi intorno, come se si stesse accertando che nessuno lo possa vedere lì. E per nessuno intendo Ian. "Avrei lezione adesso"; replico con sincerità mostrando i miei spartiti. Lo sguardo di Paul ad un tratto diviene più cupo e tremendamente serio; "dovrei parlarti di Ian, è una cosa piuttosto importante"; mi spiega realmente accigliato, abbassando il tono della sua voce. Guardo con indecisione Paul, una parte di me vorrebbe scappare via, dal momento che Ian mi ha chiaramente detto che io per lui non esisto più. L'altra parte di me invece è attirata dall'evidente preoccupazione del suo amico. Paul non sarebbe mai venuto da me senza una valida ragione, ragion per cui questa sua visita inaspettata mi mette in completa agitazione. "Vieni con me al bar del campus". In fine mi arrendo concedendogli il mio tempo. Paul mi sorride debolmente; "grazie"; afferma grato. Annuisco mostrandogli la strada verso il bar del campus. Dato che la maggior parte degli studenti è a lezione, come dovrei esserlo anche io d'altronde, il bar è quasi vuoto, questo permette sia a me che a Paul un po' di privacy. Ci sediamo intorno ad uno dei tavolini, entrambi siamo un po' in imbarazzo, d'altro canto sono consapevole che lui è a conoscenza di cos'è successo fra me ed il suo migliore amico. "Di cosa volevi parlarmi?"; Gli domando spezzando il silenzio fra di noi, che stava diventando fin troppo opprimente. "Di Ian. Ma questo lo sai già"; dice nervosamente, girando freneticamente il cucchiaino nella sua tazza colma di caffè. "Io ed Ian non ci parliamo da giorni"; preciso un po' bruscamente, rendendomi immediatamente conto che il mio tono non è stato molto educato. Ma quando si tratta di Ian perdo del tutto il lume della ragione, e dimentico anche le buone maniere. "Lo so che sei arrabbiata, ed hai tutte le ragioni del mondo per esserlo. È il mio migliore amico, ed è come un fratello per me, ma riconosco quanto sia impulsivo e superficiale alle volte"; replica senza staccare i suoi occhi dalla mia figura. Il mio viso è turbato e non riesco a sopportare il peso di questa conversazione, credevo di farcela, ma non è affatto così. Tento di alzarmi ma Paul mi richiama senza esitazione; "aspetta. Ian ha chiesto le dimissioni"; dice di colpo, lasciandomi basita. Mi risiedo con aria angosciata, e Paul con assoluta tenerezza allunga la sua mano verso la mia accarezzandola; "perché l'ha fatto?"; Gli chiedo non riuscendo a capire quest'atto fin troppo irragionevole; "per provare a dimenticarti. Almeno è quello che ho dedotto io"; replica anche lui un po' incerto sulle vere ragioni che hanno spinto ad Ian a rinunciare al suo lavoro. "Non è solo per le sue dimissioni che sono qui adesso. Ieri mi sono reso conto che ha ripreso la sua moto"; mi rivela con occhi inquieti. Scuoto il capo in preda alla confusione. Cosa c'entra questa sua scelta con me?; "Paul io davvero non so cosa potrei fare per lui"; ammetto combattuta, provando a spiegargli che io non sono in grado di convincere in alcun modo Ian a cambiare le sue idee. "Tu puoi fare molto per lui"; ribatte con fervore spalancando i suoi occhi scuri; "lui ha comprato quella moto dopo la morte del fratello"; mi spiega distorcendo il suo viso in una smorfia di dolore. Rimango in silenzio, osservando Paul con aria rammaricata e sconvolta; "un anno fa ha avuto un'incedente. Un grave incidente. È vivo per miracolo"; continua sempre più accigliato e cupo. E' chiaro come il sole che Paul è seriamente preoccupato per il suo amico, nonostante ciò io davvero non ho idea di come potrei aiutarlo. "Lui compie atti pericolosi e folli quando soffre. È il suo modo insensato ed insano per combattere il dolore"; afferma con aria afflitta e stanca, passandosi una mano sul viso. "Pensa a ciò che ti ho detto, desidero solo che tu lo faccia ragionare"; termina alzandosi dal tavolo, lasciando i soldi del conto da pagare. Rimango sul quel tavolino seduta a fissare il vuoto per qualche intenso minuto. Che devo fare? Che cosa possa fare per lui? Io non ho le capacità adatte per aiutarlo, e penso proprio che lui non desideri affatto farsi aiutare da me. Il resto della mia giornata al campus lo trascorro con la mente invasa dalle parole di Paul. Neanche per un secondo ho smesso di pensare a ciò che mi ha rivelato, e non nego di aver provato un forte nodo allo stomaco quando mi ha rivelato implicitamente che a causa mia soffre, talmente profondamente che la sua mente lo spinge a compiere atti di pura follia. Se gli dovesse succedere qualcosa la colpa in parte sarebbe mia, ed io non riuscirei a vivere con questo senso di colpa. "Rachel"; mi saluta con allegria la mia insegnante. Dopo la conversazione avuta con Paul non avevo più voglia di fare nulla, ero solo persa nei miei pensieri. Ero del tutto confusa sulla decisione da prendere, ed ero tentata di rimandare l'appuntamento con la signorina Janin. "Ti va di andare a Beverly Hills?"; Mi domanda sembrando fin troppo entusiasta di questo incontro con me, probabilmente vuole farmi cambiare idea riguardo l'incontro con quel discografico. "Sì andiamo"; rispondo seguendola fino alla sua bellissima auto sportiva. Questa donna ha avuto successo in Europa, soprattutto in Inghilterra. E la sua auto rivela in parte il suo successo. Mi domando per quale motivo abbia lasciato la sua fitta carriera in Europa, per ritornare qui negli Stati Uniti. "Ho visto che tu e Colin non state più insieme"; afferma, provando in qualche modo a capire il motivo del mio rifiuto alla sua proposta da sogno. "Già. La sua ex ragazza aspetta una bambino da lui"; le racconto con lo sguardo fisso verso la strada avanti a noi. "Mi dispiace. E' una situazione difficile per entrambi"; dice con un tono di voce dispiaciuto e pacato, parcheggiando la sua auto difronte un'enorme negozio di abbigliamento. "Sì, fra l'altro Ally vorrebbe dare in adozione il bambino, al contrario di Colin"; le spiego scendendo dall'auto, ammirando il negozio difronte ai miei occhi. Non avevo mai visto un negozio di ben due piani, nel paesino in cui vivevo prima al massimo c'erano dei piccoli negozi di abbigliamento, e gli abiti esposti erano risalenti alla prima guerra mondiale. "E' una scelta ardua da prendere"; afferma soffermandosi a guardare me con amarezza. "Già, ma io non riesco a comprenderla. Una madre non dovrebbe abbandonare il proprio figlio. E' inconcepibile"; ribatto piena di rabbia. Nessun bambino dovrebbe crescere senza l'amore del proprio genitore naturale. Perché quando una madre abbandona il proprio bambino, quest'ultimo per il resto della sua vita non farà altro che domandarsi cos'ha sbagliato, si torturerà chiedendosi perché sia stato abbandonato dall'unica persona che lo avrebbe dovuto amare incondizionatamente. Ed io queste domande le conosco bene, poiché sono le stesse che mi pongo ogni singolo giorno. "Rachel a volte ci sono scelte che le persone compiono per il bene dell'altro"; ribatte, tentando di giustificare Ally, facendomi osservare un punto di vista differente. "Mia mamma mi ha abbandonata in fasce. Ed è la cosa peggiore che possa capitare ad un figlio, essere abbandonati da coloro che ti mettono al mondo"; affermo, rivelando con ira alla mia insegnante un passato che agli altri tento di celare. Il viso della signorina Janin si oscura, e distoglie il suo sguardo dolorosamente. "Mi dispiace davvero tanto"; si affretta a dire con aria afflitta e dispiaciuta; "non lo dica a nessuno"; replico mordendo il mio labbro, cercando di non farle pesare quanto mi faccia male parlare di questo argomento. "Sei una ragazza davvero forte"; esordisce sorridendomi con occhi leggermente lucidi e commossi; "grazie"; dico ricambiando il suo sorriso. "Lasciamo andare via la tristezza, adesso pensiamo a fare shopping"; esclama aprendo la porta del negozio. Varco la soglia di quel negozio da sogno, mi guardo attorno estasiata ammirando i capi d'abbigliamento che purtroppo non posso permettermi al momento. "Sono davvero belle queste scarpe"; ammetto guardando minuziosamente i dettagli di un paio di tacchi, che portano il nome di Jimmy Choo. "Hai buon gusto"; si complimenta con me, alle mie spalle, notando le scarpe che tengo fra le mani; "sì, ma non sono adatte al mio portafoglio"; replico riponendo sullo scaffale quelle scarpe da sogno. "Non lavori?"; Mi domanda curiosa la mia insegnante, continuando ad osservare i top colorati difronte a noi; "no, lo stato mi fornisce una specie di sussidio"; le spiego toccando per la prima volta una maglietta Chanel. "Però quei cinquecento dollari non mi bastano più"; continuo scrollando le spalle. Sono sempre stata brava a gestire il mio conto personale, ma qui a Los Angels il tenore di vita è molto diverso da quello del piccolo paese di El Paso, e fatico a finire il mese con quei pochi soldi. "Potresti fare una richiesta per aumentare il tuo sussidio"; afferma spostandosi verso i camerini, per poter provare una camicia a fiori; "potrei farlo davvero?"; Chiedo perplessa aspettando pazientemente fuori dal camerino, nel quale la mia insegnante sta provando alcuni capi d'abbigliamento. Con aria giocosa la signorina Janin sporge il suo viso fuori dal camerino; "certo che puoi. Se ti va posso aiutarti a spedire la domanda, devi solo scrivere quanto denaro ti serve"; mi propone con gentilezza e premura. Questa notizia è un toccasana, avevo bisogno proprio di una nota positiva oggi. Ho fatto proprio bene a venire qui insieme alla signora Janin. Ho scoperto una lato di lei che non conoscevo, è una donna spiritosa e giocosa ma è anche sensibile e molto affettuosa, sono rare queste qualità ormai in una persona. "Come vanno le prove per lo spettacolo?"; Mi domanda mentre paga ciò che ha appena acquistato. Il mio cuore ad un tratto sussulta, e la mia mente viene pervasa d'immagini su Ian. La conversazione avuta con Paul riaffiora nella mia mente, già stracolma di pensieri. Una strana pressione opprime il mio petto, e progressivamente il mio respiro si accorcia. Poggio istintivamente una mano sul mio petto, erano anni che non soffrivo di questi attacchi improvvisi. La signorina Janin si rende subito che qualcosa non va. Respiro a fatica, e percepisco che i battiti del mio cuore non sono nella norma. "Chiamate un'ambulanza"; urla spaventata e tremolante Janin. Ad tratto tutto si ricopre di nero, ed io non riesco più a gestire il mio corpo. Un fastidioso suono acuto perfora i miei timpani, lentamente provo ad aprire i miei occhi. La fitta al petto è svanita ed ora riesco nuovamente a respirare. Confusamente provo a guardarmi intorno, rendendomi conto di essere dentro una fredda stanza d'ospedale. Provo a sollevare il mio busto dal letto, ma la flebo legata al mio braccio mi impedisce di alzarmi del tutto. "Bentornata fra di noi"; la sua voce risuona dentro le mie orecchie, facendomi credere di essere in paradiso. Quando i suoi occhi compaiono come due fari difronte a me, per un attimo rischio davvero di morire di crepacuore. La sua mano si poggia sulla mia e, facendo attenzione a non spostare l'ago della flebo, inizia ad accarezzarla. Questo suo gesto dolce è in grado di farmi realizzare che tutto questo non è affatto un sogno, Ian è davvero al mio fianco. Resto ferma, ancora sotto shock, osservando il suo bellissimo volto, lo stesso che non ammiro da diversi giorni. Lo stesso che mi è terribilmente mancato. "Perché sei qui?"; Gli domando con voce flebile. La testa continua a girarmi, ed il mio corpo non si è ripreso del tutto. "Che razza di domanda è questa? Sono qui per te"; afferma sedendosi con attenzione sul bordo del letto. Mi sciolgo letteralmente di fronte i suoi imploranti occhi di ghiaccio. Lo fisso un attimo sentendomi felice ed anche un po' egoista. Finalmente posso respirare di nuovo il suo profumo e posso sentire le sue mani su di me. "Chi ti ha detto che ero qui?"; Gli chiedo continuando ad ammirare il suo volto un po' stanco e spento; "Paul lavora qui. Non appena ti ha visto mi ha chiamato ed io sono corso da te"; mi rivela abbozzando un piccolo sorriso, per me devastante. "E Janin?". Lui sfiora dolcemente la mia nuca con le punte delle sue dita; "le ho detto di andare via"; mi spiega mentre mi accarezza la testa con tenerezza; "non hai paura?"; Chiedo perplessa. La mia insegnante potrebbe insospettirsi di tutta questa ambigua situazione, dovrebbe essere preoccupato, invece questo dettaglio non lo scalfisce minimamente. "Ho solo avuto paura di perderti"; mi rivela serio, mentre il mio cuore cessa davvero di battere. Sento i suoi occhi perforarmi la pelle, mi osservano cercando una mia reazione. Però io sono incapace anche di pensare in questo momento, sono troppo concentrata a guardare il suo viso. "I medici te l'hanno detto?"; Domando intimorita, sperando che il mio segreto resti tale. La testa di Ian è inclinata verso il basso, per una breve istante il suo sguardo incontra il mio, per poi distogliersi dolorosamente. Scuoto il capo freneticamente, da destra verso sinistra; "adesso che hai visto chi sono veramente, riuscirai ancora a guardarmi con gli stessi occhi?"; Chiedo sul punto di piangere. La mia patologia al cuore è sempre stata la mia debolezza, la mia rovina. Due famiglie hanno rinunciato ad adottarmi per questo motivo. Sono un peso, perché nonostante io sia quasi guarita, il mio cuore rimarrà sempre più debole degli altri. "Come puoi pensare una cosa simile?". Ian mi osserva spalancando i suoi occhi, tenendo ancora la mia mano fra la sua; "non ti guarderò in modo differente solo perché da bambina il tuo cuore non funzionava come doveva"; ribatte leggermente risentito. Ad un tratto tutte le mie paure svaniscono, e riesco a rilassarmi. Ian è ancora al mio fianco, sembra irremovibile, ed io non ho la minima intenzione di farlo andare via. Quindi chiudo i miei occhi, provando a riposare, mentre stringo la sua mano. 

A secret love- Ian SomerhalderDove le storie prendono vita. Scoprilo ora