Cap 2 Echo

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Mi sentivo spossato, ma non riuscivo a dormire

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Mi sentivo spossato, ma non riuscivo a dormire.

Avevo chiesto molto al mio corpo in quegli anni, come tutti in fondo, ma, senza che nessuno lo sapesse mi ero privato spesso anche del cibo o del sonno per sopperire a molte mancanze. E in quel momento sentivo come se il peso del mondo mi crollasse addosso. Era da un po' che non avevo energie, mi stancavo subito. Perdevo a volte il senso dell'equilibrio. Avevo iniziato a prendere delle medicine che mi facevano stare meglio, ma non miglioravo.

Disteso, a guardare il soffitto, pensai a cosa avrei fatto appena tornato sulla terra. Erano già molti mesi che ci stavamo preparando a questo passo, ma eravamo molto indietro. A volte mi capitavano dei momenti in cui non lo desideravo affatto. Pensavo che sarei morto nello spazio e quel pensiero mi faceva star bene. Poi mi appariva il viso di Octavia e la voglia di rivederla diventava il motore di tutto il resto. Era l'unica cosa che mi restava. E andavo avanti.

Non sapevamo cosa fosse rimasto sulla terra, quali fossero i reali danni e quali le speranze di sopravvivenza. Ma restare ancora avrebbe significato la morte certa per tutti. Le risorse andavano esaurendosi, e anche i nostri nervi cominciavano a cedere.

Pensai a Emori, a quello che aveva passato.

Poco più di un anno dopo il nostro arrivo sull'anello era rimasta incinta. Ne eravamo stati tutti felici, perché significava che le radiazioni non avevano avuto la meglio sul nostro corpo. Era nato un bel bambino, un maschio, che purtroppo era morto solo dopo pochi mesi dalla nascita, a causa di una malattia che non fummo capaci di arrestare. Le radiazioni dunque avevano colpito davvero. Nessuno di noi ne sarebbe stato mai fuori. E il terrore dilagò e ci fu un periodo terribile, dove tutti si rinchiusero in loro stessi, impauriti. Sconvolti. Emori rischiò il suicidio.

In tutto questo casino io mi muovevo come un elefante in una stanza di specchi. Avevo un carico di dolore che ancora non riuscivo a elaborare, a lasciar andare e mi sentivo solo, pur avendo Raven come consigliera. Ero solo. E pensavo a lei, a cosa avrebbe fatto, a quale sarebbe stato il suo pensiero. Clarke diceva che io avevo la capacità di ispirare le persone, di infondere loro fiducia e speranza. Non sapevo se era davvero così. Mi sentivo una nullità anche in questo e non ragionavo lucidamente. Il bisogno di averla accanto si fece così prepotente ed esplose tutto quello che avevo cercato di nascondere in quel primo anno, tutto il dolore, l'angoscia, il senso di colpa. Il rammarico di certe cose non dette, non capite in tempo. Non potevo più farci nulla e il rimorso mi schiacciava.

Non riuscivo a riposare. Tante cose per la testa.

Pensai a Echo. Ero stato troppo duro con lei, ma non riuscivo a gestire una relazione come quella.

Le prime volte quando la guardavo mi capitava di pensare che avrebbe potuto essere lei al posto di Clarke, che avrebbe dovuto essere lei a morire al suo posto. Poi mi pentivo e cercavo di compensare con la gentilezza, ma incontravo un muro ruvido e difficile da scavalcare.

Poi successe qualcosa e il muro si sgretolò. Ci avvicinammo a piccoli passi, io chiuso in me stesso da un dolore che non riuscivo a gestire e lei, desiderosa di condividere la paura, di trovare qualcuno che la capisse. Ci ritrovammo a condividere un letto, un bisogno, quello di non essere soli, un abbraccio. Io cercavo di aver cura di tutti e lei .. di aver cura di me, a suo modo. Accettammo tutto questo come normale e passarono due anni, fino a qualche mese prima, quando trovò quelle lettere.

Mi appisolai e nel dormiveglia sentii una mano che mi toccava i capelli.

Aprii gli occhi.

"Sei tu", sussurrai.

"Già...- disse con un mezzo sorriso - non sono più brava come prima a rispettare gli ordini. E poi ho la chiave..", alzò la carta magnetica e me la strofinò sul naso.

Mi arresi. Le feci posto accanto a me e lei si distese, circondandomi il petto con le sue lunghe braccia.

"Lo sai che questo non risolve niente tra noi...".

"Lo so. Ho la chiave della tua stanza ma non quella del tuo cuore".

La strinsi a me. Cosa potevo fare? Aveva ragione.

"Mi dispiace ...".

Si alzò facendo leva su di un braccio. I suoi capelli lunghi mi solleticavano il viso. Scosse la testa.

"Lascia stare. Ne abbiamo già parlato tante volte".

"Ma io...", provai a replicare

"Ti senti in colpa, lo so. Come sempre, del resto", continuò carezzandomi il petto. "Lasciati andare. Non pensare, non pensare a niente...".

Chiusi gli occhi, mentre la sua mano si infilava sotto la maglia. Ero stanco ma l'adrenalina accumulata fece il suo effetto.

Ci amammo pieni di bisogno, con forza, con urgenza. Echo rispondeva al mio corpo perfettamente, ne intuiva i bisogni, le mosse e vi si abbandonava. Oppure mi usava. E mi piaceva.

Alla fine la baciai sui capelli, la fronte sudata.

"Sei speciale", le dissi.

"Solo perché sono brava a fare sesso?".

Risi.

"Non volevo dire questo".

Si fece seria. "Ti conosco...ma non ti capisco. Pensi che nessuno lo farà mai come lei, vero?".

Mi alzai a sedere sul letto, iniziando a rivestirmi. Che uomo ero?

"Per favore, non voglio parlarne adesso".

"Bellamy, guardami..."

Rimasi assorto, con una mano fra i capelli. Poi mi voltai.

Era bella Echo. Era cambiata. Era stato facile fare quel passo e diventare amanti. Entrambi soli, entrambi spaventati. Entrambi pieni di desideri.

"Se non fosse stato per te sarei caduto nella depressione. Lo so. Sono una merda. Vuoi farmelo ripetere?".

"No. Ascolta. Se c'è una cosa che ho capito in questi anni qui con voi è questa: non si può mentire a se stessi e neppure a chi ti sta accanto. Prima o poi la verità viene fuori. Io conosco la tua verità"

"Quale verità?"

"Che non l'hai ancora scordata"

"Ti sbagli, non è come pensi. Fa male il ricordo, è vero, ma ormai è acqua passata. E' solo che .. che.. io e te non...", balbettai mentre mi rivestivo.

"Stiamo insieme soltanto perché siamo costretti quassù, vero?"

"Si. Non lo so... Te l'ho detto, non devi aspettarti troppo da me"

"E io ti ripeto: non voglio che questo. Questa è la mia verità".

"Echo .. questa non è la conversazione adatta per un momento come questo"

"Non avevamo ancora parlato dopo.... quelle", disse indicando il cassetto della scrivania.

"Ok. Ora l'abbiamo fatto. E adesso?"

Si alzò dal letto, nuda, magnifica. Venne verso di me, mi prese la testa fra le mani.

"Facciamolo ancora. E ancora..".

Feci un mezzo sorriso e accettai la conclusione. In fondo, eravamo entrambi consapevoli di ciò che facevamo. Consapevoli che io non potevo darle il cuore, perché non lo trovavo più.

I'm Bellamy BlakeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora