Cap 7 - Domande

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Vidi il bagliore dell'alba attraverso le palpebre semichiuse. Non le aprivo da un po'. Le lacrime si erano seccate e gli occhi bruciavano.

Non guardai l'ora, poco importava. Sapevo che era un altro giorno e quel giorno erano cinque anni precisi da quando avevamo lasciato la terra. Da quando l'avevo lasciata laggiù.

Più ci pensavo e più non riuscivo a crederci, o forse era il cuore che non si perdonava per quello che aveva fatto. Eppure .... avevo cercato di essere come lei aveva voluto.

Guardai fuori dal piccolo oblò.

Com'era bella l'alba vista da lassù. Rischiarava il mondo con la sua luce calda, come in un abbraccio completo. Un abbraccio totale.

Scossai la testa, passandomi una mano sulla faccia. Provai un fortissimo desiderio di abbracciarla e di chiederle di perdonarmi.

Avevo mille domande senza risposta, alcune inutili, altre necessarie. Sapevo di sicuro quello che andava fatto: cercare in tutti i modi di rientrare al più presto possibile. Lei ci stava aspettando. Ma non riuscivo a smettere di pensare e di arrovellarmi. Di scavare nel fondo della piaga. Era stata sola per tutti questi anni? Era riuscita a rientrare nel bunker con gli altri? No, non lo credevo possibile, ma mi tornava in mente quel nome, Madie ... chi era Madie? Una ragazza del bunker? Una bambina? Una donna?

Avevo lo stomaco in rivolta e le gambe doloranti.

Provai ad alzarmi ma dovetti afferrare un appiglio per tirarmi su.

Clarke.

Il ricordo del suo viso era sbiadito negli anni. Non avevo che la mia memoria, nessuna immagine, niente di niente. Avevo temuto di non ricordare neppure la sua voce ed invece ascoltarla era stato come una lama che mi aveva trapassato il cuore da parte a parte.

Era proprio lei.

Clarke era viva.

Non avevo osato neppure desiderarlo quando eravamo arrivati sull'Arca. Era stato tutto così veloce, ineluttabile. Tutto necessario, con poche possibilità di scelta. Anzi, nessuna.

Sarei dovuto restare con lei. Ma probabilmente sarei morto. Si, lei era sopravvissuta grazie al sangue nero. Quello stramaledetto e meraviglioso sangue nero.

No, avevo fatto quello che andava fatto. Ma mi conoscevo: sarei riuscito a perdonarmi?

"Bellamy?".

Una voce leggera e insicura mi chiamava da dietro la porta a vetri spessa e scura. Raven.

"Entra", dissi, nel modo più tranquillo che potessi avere.

Si avvicinò come un gatto, a passi lenti. Mi conosceva, sapeva come mi sentivo. Mi porse una razione di cibo. Sorrisi e feci cenno di no.

"Dovresti mangiare. Come ci torni altrimenti sulla terra?", disse appoggiando la piccola scatola su di un piano vicino.

"Non ci torno a piedi".

I'm Bellamy BlakeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora