Cap 27 - Benvenuto a casa

275 13 4
                                    

Oops! Questa immagine non segue le nostre linee guida sui contenuti. Per continuare la pubblicazione, provare a rimuoverlo o caricare un altro.


Fui uno degli ultimi a lasciare Polis, insieme al gruppo medico, Abby e tutti i malati. Non rimaneva nessun altro e niente di ciò che non fosse stato trasportabile. Avevano smontato il bunker pezzo per pezzo per poi ricostruire ciò che fosse possibile nella zona verde. Nell'Eden, come tutti lo chiamavano.

Erano passati quasi dieci giorni dallo scontro con la Gagarin e il mio braccio stava molto meglio, anche se non ero del tutto guarito, come non era del tutto risolto il problema di Aretha e della bomba. Octavia era riuscita a prevalere su di loro, ma ad un prezzo molto caro. Diverse persone erano morte, da entrambi i lati. Aretha era fuggita con i suoi uomini, mentre la nostra squadra era riuscita a mettere le mani sull'ordigno nucleare e a disattivarlo. La minaccia immediata era scongiurata, ma ero certo che quella donna non si sarebbe arresa.

La bomba era stata nascosta in un luogo sicuro, conosciuto solo da Octavia e da altre due persone di cui non ero a conoscenza. Nessuno di noi era tranquillo con un'arma come quella nelle vicinanze, ma cercavamo di non pensarci e di progettare il futuro. Octavia era certa di riuscire a contenere Aretha, qualsiasi cosa avesse cercato di fare, ma reputava cosa prioritaria trovare una stabilità e dare a tutti un luogo dove vivere. Io non ero più così ottimista, ma accettai la sua decisione senza pensarci troppo. Non avevo voglia di decidere e di darmi da fare. Il mio lato pessimista cominciava a prendere il sopravvento e non me ne curavo.

Clarke era partita con il secondo viaggio.

Ci eravamo fissati a lungo, senza parlare, prima che lei sparisse dentro la navicella.

C'era qualcosa fra noi che non capivamo e che non ci permetteva di comprenderci fino in fondo, o forse soltanto non ci aiutava a lasciarci andare. Avevamo nel cuore così tante ferite e dolore che sembravamo due guerrieri pronti a combattere, più che due persone capaci di amarsi. Ma se c'era una cosa in cui credevo con tutto me stesso era che ce l'avremmo fatta. Non sapevo come, né quando, ma ero certo che avremmo trovato un modo per stare insieme, perché tutto ci riportava sempre e comunque l'uno davanti all'altra, gli eventi, il mondo, i sentimenti.

Ma quel tempo forse non era ancora arrivato.

In quei giorni avevo parlato molto con mia sorella. La corazza con cui si proteggeva non era impenetrabile come avevo pensato in un primo momento. L'aiutai per quello che potevo, nell'organizzazione dei trasferimenti, controllando soprattutto che tutto fosse caricato sulla nave, soprattutto la parte tecnologica del bunker. L'ultimo viaggio fu il nostro, insieme a tutta l'infermeria. Restare come avevamo pensato in un primo momento non aveva più senso ed era diventato troppo pericoloso. Abby non aveva trovato niente nello studio del sangue nero che potesse spiegare le morti che c'erano state ed era giunta alla conclusione che la causa dei decessi fosse stato il prolungato ipersonno, che probabilmente aveva causato alcun danni irreparabili all'apparato circolatorio, provocando le infezioni e gli arresti cardiaci. Esaminò tutti gli uomini della Eligius presenti al bunker e così avrebbe fatto con quelli rimasti a Mount Weather. Abby contava di poterli aiutare, ora che pensava di aver indentificato il problema. Solo Jack sembrava non migliorare affatto.

I'm Bellamy BlakeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora