Cap 10 - Marte, andata e ritorno

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Le luci delle zone comuni si spensero come sempre tutte insieme e rimasi nella penombra della mia stanza, illuminata attraverso i vetri dal grande faro esterno della zona depositi e da un piccolo punto luminoso sulla parete. Mi sedetti, esausto. Fuori, a parte le zone illuminate dal faro, era tutto immerso nel buio e nel silenzio.

Era penoso non avere notizie del mio gruppo. Ormai era più di un mese che non vedevo nessuno di loro, né sapevo dove fossero. Ad ogni domanda ne seguiva un'altra e un'altra ancora, senza nessuna risposta. Inutile arrabbiarsi e gridare. Ero un prigioniero speciale, ma cosa avessi di speciale era quasi un anno che me lo chiedevo.

Mi trovavo su Marte, nella prima base che la compagnia Eligius aveva costruito, prima di avventurarsi più lontano, su Ceres, nella fascia degli asteroidi, dove i minerali erano più pregiati e i vantaggi economici maggiori.

Ero all'oscuro di molte cose, ma era sempre stato chiaro che quella gente aveva bisogno di noi, soprattutto di Raven e di Monthy.

Passavo in rassegna ogni giorno tutte le informazioni che avevo sui nostri carcerieri, per riuscire a capire cosa potessi fare per uscire da quella situazione: i sopravvissuti dell'ultimo carico partito dalla terra più di cento anni fa, destinazione Ceres erano un centinaio, metà donne e metà uomini. L'iper sonno dei prigionieri doveva durare solo un anno, giusto il tempo per arrivare alla stazione mineraria ma qualcosa andò storto e si risvegliarono quasi cento dopo, sulla stazione di Marte. Nessuno di loro sapeva cosa fosse successo. Tutto l'equipaggio di entrambe le navi era deceduto, così come gli abitanti della base marziana.

Udii dai passi che stava arrivando qualcuno.

La porta si aprì, scorrendo silenziosamente.

"Ecco dell'acqua e altre cose".

Non mi voltai.

"Potresti anche ringraziare", disse.

"Potresti anche farmi uscire", commentai.

"Faccio solo quello che mi dicono".

Mi voltai.

Hanna era magra, minuta. I lunghi capelli neri le facevano da mantello. Mi guardava col capo semichino ma gli occhi carichi di emozioni. Era sempre sul chi vive. Agile, letale. Era la mia guardia personale. Gentile. Silenziosa.

"Perché siamo qui?", chiesi.

"Perché mi fai sempre la stessa domanda? Io non lo so. Non potrei neppure parlare con te".

"Fammi parlare con qualcuno che possa rispondermi, per favore".

Mi guardò seria, poi scosse la testa.

"Ector non lo permetterebbe".

Feci un passo verso di lei.

"Ma non a tutti piace Ector. Perché gli obbedite?".

I'm Bellamy BlakeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora