13; Lydia

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Ho smesso di cercarti, ma non di volerti.

Recitava così la frase che più mi aveva colpito della lettera che Scott mi aveva spedito. L'avevo imparata tutta a memoria per quante volte l'avevo letta e riletta, non riuscendo a trattenere le lacrime.

Avevo atteso con ansia i due giorni che separavano me dall'abbracciare lui. Ma finalmente quel giorno era arrivato.

Tutt'ora a stento ci credevo, ma era la pura verità. Potevamo tornare insieme e ricominciare da zero.
Ma allora perché mi sentivo così a terra? Ero stranamente triste. Certo, eccitata di essere di nuovo tra le sue braccia, ma triste.

Guardai mio padre che faceva colazione, imbevendo i biscotti nel latte. In quei giorni era al settimo cielo ma non voleva dirmi il motivo.

«Dove vai oggi?» Chiese guardandomi e masticando un biscotto zuppo di latte.

«Devo incontrare una persona.» Risposi, non riuscendo a trattenere un sorriso.

Aggrottò la fronte. «Chi?»

«Un vecchio amico. E tu, papà? So che esci con qualche donna, altrimenti non saresti così curato.» Ancora un sorrisino incontrollabile. Dovrei stare zitta, una volta tanto.

Impallidì. «Io?» Disse indicandosi con un'espressione falsamente ferita, come se uscire con una donna dopo quasi quarant'anni dalla morte di mamma fosse un reato.

«Ma certo. Avanti, chi è questa affascinante donna che ti sta rubando il cuore?» Ci misi una nota di impertinenza nella voce.

Mentre ingurgitava nervosamente un altro biscotto, provai ad immaginarmi come fosse colei che aveva finalmente conquistato papà. Magari era bionda, occhi azzurri ed eternamente sensuale. Chissà.

«Pensavo che saperlo ti avrebbe dato fastidio.» Replicò con noncuranza.

«Fastidio? Non ho mai conosciuto la mamma, non mi sono affezionata a lei. Ho trentaquattro anni, sono un'adulta ormai.»

Lui annuì e non tirammo più fuori l'argomento.

Più tardi uscii, salutandolo. Entrando in macchina mi guardai bene allo specchietto, per assicurarmi di essere a posto. Non mi ero mai curata del mio aspetto, ma in quel momento risultava di vitale importanza. Indossavo una semplice camicetta con dei pantaloni scuri. Non avrei mai e poi mai calzato dei tacchi — mi sentivo a mio agio con il mio metro e settantatré — e per sfoggiare il mio lato giovane ai piedi portavo delle scarpe da ginnastica.

Sapevo a memoria l'indirizzo di Callaghan Manor, per via dei ricordi associati ad esso, quindi arrivarci e trovare parcheggio non fu un problema.

Ero proprio davanti al portone di casa sua, ma prima di uscire feci un bel respiro. Se avessi incontrato Thea, sua moglie, le avrei dato un pugno per prima cosa. Ma Pat, l'uomo che mi aveva recapitato personalmente la lettera di Scott, mi aveva rassicurato sul fatto che per cinque giorni lei sarebbe stata a casa di sua madre per ricordare insieme il padre defunto e non sarebbe tornata prima di sabato.

Non sapevo cosa dire a Scott quando l'avrei visto, ma conoscendolo lui sarebbe stato impacciatissimo e mi avrebbe fatta ridere, allora avremmo rotto il ghiaccio.

Sospirai e uscii dalla macchina, chiundendo la portiera con un gesto secco. Andai al grande portone rosso e premetti sul pulsante del citofono.

Sembrò passare un'eternità. Non venne ad aprire Scott, ma una donna più vecchia di me, a giudicare dalla sua divisa da cameriera.

«Cerco il signor Callaghan.» Nonostante il mio nervosismo, la mia voce risultava ferma.

«È nei giardini.» Mi fece strada nella grande casa che ricordava alcune foto della reggia di Versailles impresse nella mia memoria sfogliando il libro di arte.

Arrivammo a quelli che la donna aveva definito "giardini", ma che a me pareva più un parco enorme. Piante e fiori di ogni genere e colore davano vita allo spettacolo più bello che avessi mai visto, e Scott era proprio al centro di esso. La cameriera se ne andò, lasciandomi sola e permettendomi di ammirarlo.

Notai con amarezza che non era invecchiato per niente, solo aveva trovato un po' più di gusto nel vestirsi. Indossava una giacca estiva azzurra che gli dava un'aria da principe delle favole, con dei pantaloni dello stesso colore e la camicia di una tonalità più chiara.

Vicino a lui c'era un bambino biondissimo, avrà avuto almeno cinque anni ma era la copia perfetta di Scott.
Poteva essere suo figlio. Magari Thea non aveva detto delle bugie.

Quindi lui si era rifatto una vita in tutti i sensi e mi aveva invitato solo per rinfacciarmi che non c'ero mai stata in tutti quegli anni. Le lacrime minacciarono di uscire e io non impedii loro di fare il contrario. Aveva un figlio.

Finalmente Scott mi notò e il suo sguardo era raggiante, ma si incupii subito quando realizzò in che stato ero. Corse verso di me.

«Lydia!» Disse quando mi raggiunse. Era preoccupato.

«Stai lontano da me.» Tuonai. Piangente, girai i tacchi e mi diressi verso l'uscita, o almeno provai ad orientarmi.

Mi raggiunse e mi attirò a sè prendendomi per il braccio. In qualche secondo mi ritrovai di fronte a lui.

«Lydia, cosa succede?» Il suo tono era quello di un padre che si occupa della figlia.

«Succede che hai un figlio, Scott!»

La preoccupazione svanì dal suo volto e fu sostituito da un sorriso. «Jacob? Lui non è mio figlio, è il figlio di Venus. Si è sposata con un modello cordovano e ieri mi ha chiesto di tenerlo, verrà a prenderlo tra poco.»

Ero senza parole. Mormorai un flebile «Ah», poco percettibile.

«Pensavi che fosse mio figlio? Lydia, Lydia, io non ho un figlio. Non so nemmeno se ho una moglie.»

Distolsi lo sguardo, imbarazzata per aver pensato tutte quelle cose.

«Sai benissimo chi amo.»

Un secondo dopo le sue labbra erano premute contro le mie.

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