Quello schifo di padre che mi aveva generato, quel mostro, mi aveva rimesso nel suo giro.
Da quando l'avevo incontrato, due mesi prima, mi aveva acquisito come "cameriera" nel suo bordello e come "giocattolo" per i suoi clienti affezionati che a fine turno mi attendevano nelle loro camere.
Avevo provato a ribellarmi e, come al solito, avevo ricevuto una punizione: i tagli sulla schiena erano ancora visibili e i lividi sulle cosce mi dolevano a ogni passo.
Durante il turno mi obbligava a indossare una misera gonnellina leopardata e un semplice reggiseno e, quando passavo tra i tavoli per servire i suoi amici, il mio culo riceveva pacche da mani sudice e il mio seno subiva palpate per tocchi di uomini schifosi.
A Capodanno aveva pure organizzato un'orgia con tutta la sua combriccola e sarebbe inutile dire che per un paio di giorni faticai ad alzarmi dal letto.
Il mio corpo era diventato solo frutto per realizzare gli effimeri desideri altrui e le mie gambe non conoscevano tregua.
Avevo provato a scappare, sì, avevo provato.
Ma mio padre non era stupido e mi colse in flagrante.
Mi giustificai con il dirgli che temevo di essere incinta e volevo accertarmene e, in cambio, abusò di me proprio sul bancone della sua locanda, dove mi lasciò sfinita e dolorante a causa sua.
"Svegliati baby, stasera ci sarà il pienone. Dovrai lavorare molto, soprattutto nelle camere. Sei pronta, là sotto?" Mio padre mi distolse dai miei pensieri, vagando con la sua mano all'altezza del mio inguine, per poi stringermi possessivamente la coscia.
"Sai, la tua bellezza mi ha sempre lasciato sconcertato...quei capelli mori che incorniciano quel viso che soffre da tanto: sei così eccitante, piccolina. Il tuo corpo è come una torta da mangiare, quelle curve, quel seno, quelle gambe... sei esattamente ciò che ognuno uomo vorrebbe. Sei proprio una bellissima troia!" concluse il suo discorso sghignazzando.
"Mi pento di essere nata solo perché ho la sfortuna di avere il tuo sangue da porco nel mio DNA, pezzo di merda" risposi a denti stretti, ribellandomi al suo tocco.
Infossò le sue unghie nei miei fianchi, già scoperti a causa della divisa da "lavoro", lasciandomi un taglio sanguinante seguito da un ematoma che non tardò a presentarsi sulla mia pelle sporca.
Suonò la campanella della porta, segno che i clienti erano ormai arrivati.
"Ricordati: il male non svanisce, sei tu a crescere con il suo peso sulle tue spalle" mi sussurrò, baciandomi il collo, per poi lasciarmi andare.
Mi presentai al bancone con i soliti vestiti: un pantaloncino aderente e strappato sul sedere, un reggiseno che lasciava intravedere la forma del mio seno e, ben visibili, tutti gli abusi di mio padre e dei suoi amici.
"Amore, un whisky e una cavalcata dopo, grazie" Richard mi fece l'occhiolino che, di sensuale, non aveva proprio nulla.
Evitai di rispondergli e preparai ciò che mi aveva chiesto.
Il locale si affollava e, lungo il percorso dal bancone a un tavolo da servire, molti pacchi di uomini sudati si posarono sul mio culo.
Mentre caricavo la lavastoviglie, mi ricordai dell'episodio passato con Ethan e di come eravamo finiti in un letto a fare sesso.
Sesso voluto, non costretto.
"La mia vita fa schifo" sussurrai a me stessa.
"Cosa hai detto, bambolina?" sentii le mani di mio padre premere sui lividi causati dai suoi abusi.
"Mi stai facendo male" dissi a denti stretti.
"Vai di sopra, immediatamente: stanza 7, c'è un cliente che ha pagato molto per te. Vai e rendi fiero il tuo paparino" mi disse, indirizzandomi verso le scale.
"Vaffanculo" gli risposi, per poi arrivare al piano superiore.
Entrai nella stanza e, senza guardare chi fosse il cliente, chiusi a chiave la porta e mi diressi in bagno.
Guardai il mio riflesso allo specchio: il mio viso non era mai stato così coperto dal trucco fino ad allora e le mie labbra erano sempre più gonfie.
Mi spogliai rivelando un completino striminzito rosso e indossai le calze autoreggenti.
Uscio dai servizi e raggiunsi il letto.
Su di esso vi era sdraiato un ragazzo giovane, il cui viso era coperto da un cappellino da baseball.
"Nel cassetto affianco a te ci sono i preservativi, perfavore indossali e non lasciarmi succhiotti perché il mio capo non lo sopporterebbe... per il resto, purtroppo, puoi fare ciò che vuoi" mi rivolsi a lui seriamente, per poi gattonare sul letto, fino a lui.
"Di cosa hai bisogno?" domandai, incuriosita dal fatto che non si togliesse il cappello dal viso.
"Pensi di toglierti quel cappello?" chiesi spazientita.
Per un po' di minuti regnò il silenzio.
"Ariah"
Il cuore mi si fermò.
Non era possibile...non poteva essere.
"Che ci fai qua, perché vuoi scopare con me? Non l'abbiamo forse già fatto? Ethan, vattene" parlando farneticamente, alzai il volume della voce.
Allora la sua mano mi tappò la bocca e mi fece sedere, per poi vestirmi con degli abiti maschili che estrasse da un borsone.
Guardò i miei lividi e i miei occhi sgorgarono lacrime.
"Ehi, andrà tutto bene. Ti chiedo un ultimo sforzo: ora scenderemo dalla scala antincendio, non alzare mai lo sguardo e sali sulla jeep nera che vedi nel parcheggio. Okay, piccola? Ti porto via da qua, ricominciamo assieme, va bene?" pronunciò queste parole con estrema dolcezza e incastrando i suoi occhi nei miei.
Feci ciò che mi aveva detto e salii in fretta e furia sull'auto.
Forse ce l'avevo fatta.
Forse avrei avuto un nuovo inizio, giornate senza incubi.
No, non volevo pensarci.
Di illusioni ne avevo prese sin troppe.
La sua mano intrappolò la mia in una stretta dolce.
Mi accarezzò le nocche mentre sfrecciavamo lungo le strade vuote.
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Ring - Ethan Dolan
FanfictionCREDITS TO: @heartscolds (Alaska) & @oops_iamelisa (Elisa) "un passato alle spalle la tormentava,viveva nei ricordi con i suoi scheletri nell'armadio,finché arrivo lui. La faceva sentire libera,la faceva stare bene, si dimenticava degli incubi. Lu...