ATTO XXXVII- Ludovico - L'amore è la mia salvezza

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Firenze 1548, Volta Stellata 10 marzo

Ludovico

Non potevo restare assolutamente a casa dell'eremita ancora per molto, così due giorni dopo decisi che sarei tornato a Volta Stellata, insieme a Dafne.

Avevo bisogno di stare da solo e metabolizzare le rivelazioni che avevo ricevuto, inoltre dovevo pensare alla prossima mossa che avrei dovuto compiere contro il granduca Cosimo.

Non avevo speranze di vincere contro un uomo così potente, almeno sulla carta. Ma io non ero un uomo come gli altri, non mi sarei arreso solo perché il signore di Firenze faceva la voce grossa.

Dopo quello che mi aveva fatto non avevo intenzione di dargliela vinta.

Vendetta? Oh no, vendetta chiama vendetta...

Dafne aveva cercato di farmi ragionare, ma era stato inutile, dovevo partire il prima possibile. Temevo che il granduca potesse fare del male a Carlotta e a tutti gli altri e non potevo certamente permetterlo. Erano come una famiglia per me e non avrei mai permesso a nessuno di far loro del male.

-So che non riusciresti ad aspettare oltre, vengo con te- Dafne mi raggiunse alla finestra alla quale ero affacciato.

Le montagne parevano più silenziose del solito quella notte, di solito non mi dava fastidio quell'assenza di rumori ma in quel momento sentivo uno strano senso di fastidio.

-Non sei costretta a rischiare la vita per me. - affermai senza voltarmi. Non volevo che vedesse che stavo soffrendo.

Mi sentivo preso in giro dalle persone che avevo intorno. Mio nonno mi aveva cresciuto come un figlio senza mai rivelare la sua identità, mia madre si era finta morta per tutti questi anni e il mio vero padre mi aveva visto crescere senza dire una parola.

Forse era per questo che Federico mi odiava così tanto. Forse aveva capito che non ero sangue del suo sangue, ma che in realtà ero solo un figlio bastardo. Per questo mi aveva fatto soffrire per metà della mia esistenza, per questo la povera Cecilia era stata lasciata morire.

Forse ero io quello sbagliato, forse per questo il Signore mi aveva punito dandomi questo maledetto occhio rosso. Perché ricordassi che non ero un erede puro.

Appoggiai al davanzale le mani tremanti mentre un fulmine squarciava il cielo notturno. Presto sarebbe piovuto.

-Stai bene? - domandò Dafne abbracciandomi da dietro.

-Sì, sono solo un po' stanco.- mentii.

Non volevo darle altri pensieri. Sapevo che era già preoccupata per Elia, non volevo che avesse pensiero anche per me. Tuttavia le mie parole non la convinsero per niente.

-Non è vero, Ludovico, tu stai male. Stai male dentro e non ho bisogno di vedere i tuoi occhi per capirlo.

Rimasi sconcertato da quelle parole. Nessuna donna, nemmeno Cecilia, era riuscita a capirmi così.

-Dafne...- Mi voltai verso di lei per poterla guardare negli occhi.

-Ssh... Non dire niente amore mio. -

Detto questo mi baciò dolcemente sulle labbra.

La strinsi forte, sarei stato pronto a morire per lei.

Mi staccai e la osservai. Era diversa dalla fanciulla impaurita che avevo salvato quasi dieci mesi fa dalle voglie pervertite di Arrighetti.

Era diventata una donna forte, nonostante i suoi quattordici anni, era bellissima.

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