25. The sound of silence

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Canzone per il capitolo:

The sound of silence – Simon & Garfunkel

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Hello darkness, my old friend
I've come to talk with you again
Because a vision softly creeping
Left its seeds while I was sleeping
And the vision that was planted in my brain
Still remains
Within the sound of silence...

Liscia e fredda.

Il suo viso era sereno, seppur la sua pelle innaturalmente irrigidita. Un viso ancora pieno, così come vive ancora nei miei pensieri e ricordi.

Quel mattino avevo paura ad entrare nella stanza d'ospedale, avevo paura di vedere quella morte che non ero ancora pronta ad accettare. Avevo visto alcune bare nella mia vita, quelle dei miei nonni paterni e di coloro ai quali andavamo a dare omaggio il giorno del funerale, ma non avevo mai guardato con i miei occhi cosa esse contenevano. Il primo è stato mio padre.

Quel giorno, inaspettatamente, non sono crollata. Non sono caduta a terra alla sua vista, non ho trovato la disperazione profonda che mi ero aspettata. Ho solamente pianto, dentro di me nel riconoscere gradatamente quanto è scarno il rimasuglio della mia vita, e fuori, con quelle lacrime che alternativamente le mie amiche hanno cercato di bloccare con i loro abbracci e le loro parole di conforto. Ma loro hanno toccato soltanto la superficie, il mio duro involucro... la Sara che ero stata un tempo si è appena rimpicciolita, così tanto che la strada da quegli abbracci al mio nucleo portante si è allungata, infreddolita.

Loro hanno toccato, accarezzato e guardato l'involucro, ma io non sono più lì dentro. Gli altri sono ancora intorno a me, ma in realtà io sono sola.

Silenzio. Ecco che cosa mi ha guidato nei giorni appena trascorsi.

Qualcuno anni fa ha parlato del suono del silenzio... io quel suono lo sento dentro e sa soltanto di dolore. Non mi piace quel sapore, lo odio, lo detesto, ma non posso fare altro che mandare giù un nuovo boccone e provare ad andare avanti.

Il crollo che mi ero aspettata e che tutte si aspettavano non è arrivato nemmeno quando sono entrata in casa, nel piccolo appartamento al secondo piano nel quale ho abitato per tutta la mia vita. Ho aperto la porta di casa con le chiavi di papà; l'infermiera me le ha consegnate quando sono entrata nella camera nella quale avevano temporaneamente lasciato il suo corpo. Era coperto da un lenzuolo...

Stop, silenzio... non ricordare.

Ora ho le chiavi di un uomo sepolto, di una casa in cui non vive più nessuno, di un passato che si è improvvisamente staccato da me con un doloroso e inaspettato colpo di frusta al centro della schiena e del cuore. Ho il suo portafogli in pelle consunta e rovinata dagli anni, i pochi soldi all'interno, i documenti che attestano della sua data di nascita, come se lui fosse ancora qui; ci sono i vestiti negli armadi, le sue bottiglie di Beck's nel frigorifero e una fetta di arrosto che probabilmente aveva avanzato dal giorno prima. Di mio padre, ora, non ho nient'altro.

« Sara? »

Christian deve richiamarmi parecchie volte prima che io tolga lo sguardo dal soffitto. « Sì? »

Entra in camera a lunghi passi e chiude la finestra che avevo lasciato spalancata appena mi ero svegliata, forse due ore fa, forse due minuti... non ricordo. Mi sembra di essere immobile su questo letto da un'infinità di tempo. « Perché non hai chiuso la finestra? Si gela qui dentro! »

Mi muovo appena sotto le coperte per rannicchiarmi di lato, il caldo bozzolo mi protegge. « Mi sono dimenticata. »

Si passa le mani nei capelli, lo fa con un gesto troppo rapido perché la nuova scarsa lunghezza non fa ancora parte della sua abitudine. Ora tutti i ciuffi di capelli castani sono della stessa lunghezza; immagino sia andato da un barbiere qui nei dintorni.

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