56. Sei nell'anima

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Canzone per il capitolo:

Sei nell'anima – Gianna Nannini

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Christian

Nemmeno io so che diamine sto facendo. Mentre torniamo a casa la prego di restare sulla panchina con me, le tengo la mano, continuo a fissarla impunemente e non riesco in alcun modo a toglierle gli occhi di dosso. È tutta la sera che lo faccio e non capisco che cosa mi prenda. Scott mi ha fulminato con lo sguardo di tanto in tanto per avvertirmi, ma io a malapena me ne sono accorto.

In questi ultimi giorni mi sono sforzato di tenere le cose ben divise; ho pensato a lei solo il minimo indispensabile per non perdere del tutto la testa. Sara non mi è mai stata indifferente, eppure credevo di essermene fatto infine una ragione... vedendo come sono ridotto questa sera mi rendo conto che, forse, non è affatto così.

Questa doveva essere una serata come le altre, regolare, eppure lo sento che qualcosa è cambiato e non saprei nemmeno capire per quale aspetto. So solo che lei ora è qui, mi tiene la mano, mi accarezza le dita intrecciate con le sue. Ha le guance sempre più rosse quando ci sediamo sulla panchina in questa notte tiepida, profumata, serena. Sembra imbarazzata e io vorrei soltanto prenderle quelle guance soffici tra le mani e baciarle, una per volta, per poi baciarla ancora, e magari portarla in camera mia, e fare l'amore. Ancora. Un'ultima volta. È un pensiero inarrestabile: non riesco a concentrarmi su altro. Mi martella la testa e scende dritto giù, troppo giù, fin dove non dovrebbe arrivare.

« Perché mi fissi così? »

C'è imbarazzo nelle sue parole, tiene lo sguardo basso e prova solo di tanto in tanto a ricercare il mio, avido, insistente oltre ogni limite. « Perché ho voglia di guardarti. Ti dà per caso fastidio? »

Scrolla subito la testa al mio sorriso smagliante. Quando trova il coraggio per incrociare i miei occhi, tiene inconsapevolmente il labbro inferiore intrappolato tra i denti. Mi si contraggono le viscere al ricordo di dove quella bocca si è avventurata, nemmeno così tanto tempo fa. Il ricordo è troppo vivido, però, e questo non giova affatto al mio già precario autocontrollo. « No. »

Vedendo che non mostro l'intenzione di togliere gli occhi da lei, Sara si affaccenda a sciogliere gli auricolari che tiene sempre nella sua borsa a tracolla. Indossa un paio di pantaloni scuri, aderenti, una semplice t-shirt nera e una giacca di jeans. Dall'arrivo della primavera non la vedo indossare altro che quest'ultimo capo. Non è una giacca nuova; anzi, è parecchio malandata nell'orlo inferiore...

Dopo due minuti passati in silenzio, Sara sta ancora litigando con il filo degli auricolari, così mi faccio avanti per sbrogliare la matassa io stesso. « Vedo che indossi spesso questa giacca. »

Lei la guarda, accarezza una manica fino al polso, dove capeggia una piccola pezza cucita con il simbolo della pace. « Sì, è un ricordo di mia madre. »

« Era sua? »

Le allungo l'auricolare sinistro, mi sfiora la mano mentre lo fa, così mi avvicino. Ma solo un poco... un poco per volta. Forse se ne accorge, ma non si muove. « Ehm... sì. Quando se ne era andata, aveva lasciato qualcosa di suo. Papà aveva voluto tenere almeno questa. »

« Sta bene con il tuo nuovo... look. »

Sembra confusa. « Look? »

« Sì. Capelli corti, metti lo smalto nero, e ultimamente ti vesti sempre di scuro. Ho capito che abbiamo iniziato a provare con il rock, ma... » mi interrompo quando le strappo un sorriso, perché con quel sorriso ha appena strappato qualcosa anche in me.

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