"Lo vidi che mi guardava con quegli occhi un poco obliqui, occhi fermi, trasparenti, grandi dentro.
Io non lo seppi allora, non lo sapevo l’indomani, ma ero già cosa sua, preso nel cerchio dei suoi occhi, dello spazio che occupava."Claudio
"Sono stato a Verona ieri." Paolo parla ma Claudio lo vede. Che ha quasi paura delle sue reazioni, lo sguardo fisso sul cucchiaino che distrattamente gira da troppi minuti nella tazzina del caffè. Claudio lo osserva e sembra vederlo improvvisamente dopo cinque anni, lo sguardo perso, gli occhi stanchi e spenti di chi non si direbbe abbia solo ventisette anni, ma molti di più. Lo osserva e si sente ancora più in colpa.
Io l'ho ridotto così. Io l'ho trascinato nello schifo. Lui è rimasto a Roma per me, in quella casa che condividevamo con Luca.
"Perché non torni a vivere lì?" Gli chiede, raccogliendo i piatti sporchi dalla tavola e portandoli in cucina. Paolo lo guarda come se fosse impazzito.
"Claudio, io qui a Roma ho un lavoro. Tu dovresti tornare, tua madre ti aspetta. Sta male Clà, tu non la chiami, non le parli, non le permetti di venire qui. Rivuole suo figlio e tu..."
"Anche io ho un lavoro qui, Paolo!" Lo interrompe a voce forse troppo alta, sbattendo un piatto sulla cucina.
"Certo, e tu quello lo chiami lavoro! Con Gianni che ti tratta di merda e ti paga pure una miseria!" Urla in risposta l'amico. Claudio gli si avvicina arrabbiato, puntando gli occhi sui suoi.
"Io a Verona non ci torno." Dice poi, con estrema calma e con tono che non ammette repliche. Paolo scuote la testa arrabbiato.
"Sei solo un vigliacco Claudio. Non hai il coraggio di accettare il tuo passato e..."
E Claudio non ci sta a farsi dare del vigliacco. E allora lo dice. E nell'attimo esatto in cui lo dice se ne pente. E vorrebbe morire. E capisce che ora perderà anche Paolo.
"Se tu ci fossi stato quella notte ora non saremmo qui a parlarne. Ma hai preferito scopare con l'ennesimo amore della tua vita." E Claudio vorrebbe dirgli che non lo pensa davvero, che è tutta sua la colpa, ma non lo fa. Resta zitto e aspetta solo di vedere Paolo andare via.
"Anche tu lo hai lasciato solo, Claudio." Gli sussurra l'amico, con gli occhi rossi e le lacrime che ormai fa fatica a trattenere a rigargli le guance.
"Lo so. Per questo è da cinque anni che mi faccio schifo." Mormora in risposta. E non sa neppure se Paolo lo abbia sentito o meno. Non lo sa perché Paolo ha già aperto la porta. Dopo avergli rivolto uno sguardo arrabbiato e deluso va via. Anche lui. E Claudio in fondo pensa di meritarselo. Forse è giusto che resti solo. E lo sa che se ci fosse stato Luca avrebbe subito fatto in modo che i suoi due amici chiarissero le cose. Ma Luca non c'è e questo nessuno potrà mai cambiarlo."Ciao Claudio, accomodati!" Mario gli rivolge come sempre un sorriso caloroso, invitandolo a sedersi sul solito divanetto, mentre prende posto di fronte a lui. E Claudio non ha proprio voglia di parlare con lui, di perdere il suo tempo, visto che solo qualche ora fa ha praticamente perso il suo migliore amico. Non ne ha voglia, eppure il sorriso di Mario, quegli occhi tanto profondi da perdercisi dentro, gli sono mancati, anche se li ha visti solo il giorno prima, anche se fa estrema fatica ad ammetterlo. E aveva voglia di vederlo, di osservare ancora il suo viso, di perdersi in quel mare nero. Ne aveva bisogno. E così resta zitto, limitandosi ad osservare l'altro anche se sa che non dovrebbe. Lo osserva in ogni sua più piccola parte, intenzionato a non perdersi neppure un dettaglio, neppure una fossetta intorno agli occhi, nulla di quel viso. Mario dopo qualche secondo abbassa lo sguardo, in evidente difficoltà, tossendo imbarazzato. E a Claudio quella sensazione è mancata. Quella di far sentire un uomo in difficoltà, in imbarazzo, con un solo semplice sguardo. Non sta con un uomo da tanto tempo, da quella notte. In questi cinque anni è andato a letto con qualcuno, certo, ma in modo incredibilmente freddo. Scopate prive di senso, di quelle che l'altro neppure lo guardi negli occhi. Di quelle che lo fai e basta, come fosse una cosa meccanica, come fosse la cosa più squallida e insensata al mondo.
"Allora...come stai?" La voce di Mario, incredibilmente incerta e tremante, lo risveglia e gli fa distogliere lo sguardo da quei capelli corvini, da quelle mani, da quelle vene. Porta gli occhi nel nero, ancora. Nota le guance di Mario, leggermente arrossate.
"È per questo che ti pago? Per sentirmi chiedere di continuo come sto?" E non sa perché si stia comportando così. In realtà ci sono giornate buone e altre orribili. Beh, questa è una delle sue giornate orribili, di quelle che non vuole parlare con nessuno, che allontana tutti. Ha ferito Paolo e ora sente il bisogno di allontanarsi anche da Mario, di ferire anche lui. Di fargli capire che lui non è poi così importante, che Claudio riesce ad andare avanti, a sopravvivere, anche senza quelle stupide sedute.
Mario lo osserva per un attimo, con uno sguardo da cui non traspare alcun tipo di emozione. Sembra freddo, distaccato, non il Mario che è abituato a vedere, a sentire dentro, come vento nello stomaco.
"Claudio, il mio lavoro consiste nel sapere come tu stia. Si, vengo pagato per questo. Vorrei chiederti anche altro, ma mi viene abbastanza difficile visto che tu vieni qui e resti fermo e zitto per l'intera durata del colloquio. Sai, ci deve essere un dialogo reciproco tra noi, dobbiamo poter parlare, tu devi sentirti libero di dirmi tutto ciò che ti passa per la testa, ciò che ti fa star male e bene. Devi permettermi di capire, di aiutarti, altrimenti è inutile." Mario parla con estrema lentezza e calma e questo non fa che urtarlo ancora di più. Ha praticamente detto che il lavoro di Mario è inutile e l'altro piuttosto che buttarlo fuori non ha fatto altro che esporgli le sue ragioni con estrema calma.
Si lascia andare a una risata sarcastica prima di rispondere.
"Ti ho già detto che sono qui per colpa tua. Pensi che verrò a raccontare i miei problemi proprio a te?" Gli chiede duro, pentendosi subito dopo per l'ennesima volta durante quella giornata delle sue parole.
Mario sorride appena.
"Questo lo hai già detto. E mi sembra chiaro che il tuo sia un voler scaricare sugli altri un senso di colpa e inadeguatezza per qualcosa che è successo e che sicuramente non è dipeso né da te, né da me o nessun altro. Quindi di nuovo ti chiedo di parlarmene, così magari potrò aiutarti." Mario continua a parlare con quel tono tranquillo e irritante che gli dà sui nervi.
"Io a te non dirò proprio un cazzo." Gli risponde, scandendo bene ogni singola parola. Mario punta quei fari neri su di lui e lo fa sentire analizzato, scoperto, scrutato, a disagio, forse più di quanto lo sia stato Mario stesso quando era lui a fissarlo, solo qualche minuto prima.
"E allora perché sei tornato?" Gli chiede l'altro con decisione, continuando a fissarlo attentamente. E Claudio lo dice. Ed è da un giorno intero che sbaglia, che dice cose che non pensa neppure, cose di cui si pente. E questa è la prima cosa giusta che dice. La prima di cui forse non si pentirà. O forse si, ma almeno questo lo pensa, lo sa, lo sa da quando ieri ha voluto fissare quell'appuntamento.
"Sono tornato per guardarti."
STAI LEGGENDO
Sarò quel vento che ti porti dentro
FanfictionClaudio ha vent'anni. Ha tanti sogni. Studia per realizzarli tutti. Soffia un vento forte la notte in cui incontra Mario. Forte come la musica che fa da sottofondo ai loro respiri che si scontrano per la prima volta. È quella la notte in cui ogni so...