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Questo è per chi è come me.

"Ci saranno tante cose a cui dovrò abituarmi, e ce ne saranno altrettante di cui dovrò fare a meno...
La luce azzurrina delle terrazze dove non batte mai il sole...Il tramonto riflesso sulle schegge di bottiglie rotte sull'asfalto, che brillano come diamanti. I fari nella notte...
Il rumore dei tuoi passi, il tuo odore che svanisce sul cuscino, la luce del giorno in cui mi hai lasciato solo."

Claudio

Sei dicembre. Oggi è il sei dicembre. Claudio non fa altro che pensarci e ripensarci, gira per casa come un fantasma, si guarda allo specchio, non si riconosce. Ha paura di respirare, di piangere, di vivere. Ha paura di ricordare, di lasciarsi andare al dolore. Claudio è sempre stato così, uno freddo, glaciale. Lui non abbraccia, non dimostra il suo affetto, quello devi essere bravo a percepirlo, ad andare oltre la corazza per vederlo. Luca era bravo in questo. Luca capiva quanto Claudio gli volesse bene, profondamente e incomparabilmente, quanto gli fosse legato, anche se Claudio non faceva mai nulla per dimostrarlo. Mai un abbraccio, un ti voglio bene, eppure tra lui e Luca bastava un semplice sguardo per dimostrarsi affetto. E gratitudine. Per esserci sempre. Con Paolo era diverso. Paolo aveva bisogno di affetto, di sicurezze, ma con il tempo e l'aiuto indispensabile di Luca aveva imparato a capirlo anche lui, a leggere Claudio, ciò che si portava dentro. Tutto l'amore che magari non dava in modo plateale, eppure era lì, pronto ad essere messo a disposizione delle persone che amava, pronto ad essere utilizzato in qualsiasi momento. Claudio si è sempre tenuto dentro l'amore. E ha imparato a fare lo stesso anche con il dolore.
Ed è per questo che, nonostante sia il sei dicembre, nonostante sia arrivato proprio quel giorno che lui odia più di qualsiasi cosa al mondo, non lascia neppure a una lacrima la possibilità di liberarsi. Ha talmente tanto dolore dentro che ha paura di morirne da un momento all'altro. Eppure non lo butta fuori. Non lo butterà mai fuori. Perché crede che sia meglio così, perché non saprebbe neppure come fare a buttare fuori un'emozione tanto potente. Così si limita ad afferrare con forza il calendario appeso alla parete. Lo strappa in mille pezzi, ci mette tutta la rabbia che porta dentro. Insieme al dolore. Insieme all'amore. Butta tutti quei pezzi di carta nella spazzatura. Perché forse se non se ne ricorda, se non ci pensa, questa giornata potrebbe passare. Esattamente come tutte le altre.

Arriva da Mario con qualche minuto di ritardo. In realtà è rimasto immobile davanti a quella porta per mezz'ora. La gola secca e il respiro affannato. Ha paura. Oggi più del solito. Ha paura di quegli occhi che gli scavano dentro. Ha paura che anche quegli occhi lo capiscano. Capiscano che oggi non è un giorno come gli altri, oggi è il sei dicembre.
"Prego Claudio, accomodati." L'altro gli rivolge il solito sorriso caloroso, mentre entrambi prendono posto come al solito sul divano e la poltrona, l'uno di fronte all'altro. Però c'è qualcosa di diverso negli occhi di Mario questa volta. Claudio se ne accorge subito. Sono spenti, quasi tristi. Quasi spaventati.
"Come stai?" L'altro gli pone la domanda che ormai gli rivolge all'inizio di ogni colloquio. Claudio non può fare a meno di sorridere, divertito e arrabbiato.
"Ma non conosci altre frasi tu?" Gli chiede con una smorfia sul volto, prima di cominciare a sfregarsi le mani in modo nervoso.

È il sei dicembre. Oggi. Come vuoi che stia?

Mario gli risponde con un'occhiata fredda e tagliente. E Claudio per la prima volta lo vede. È arrabbiato.
"Senti, io voglio solo aiutarti! Ma se continui ad essere tanto incazzato con me forse non sono la persona giusta! Quindi forse dovresti rivolgerti a qualcun altro, Claudio." Parla a voce forse troppo alta. Si interrompe con il respiro corto e lo sguardo di chi si è appena pentito amaramente di ciò che ha detto. E no, Claudio questo non lo vuole. Non vuole trovarsi un altro psicologo, non vuole che Mario lo mandi via, non vuole non rivederlo più. Anche se questo non lo ammetterebbe mai apertamente.
"Scusa." Mormora soltanto, in risposta. Si morde con forza il labbro inferiore, sentendo il sapore amaro del sangue in bocca.
"No, scusami tu. Non avrei dovuto." Gli risponde l'altro di rimando. Restano fermi, zitti, a guardarsi, a scrutarsi, ad osservarsi con attenzione per minuti interi.
"Perché...perché stai sempre su quella poltrona e non vieni mai più vicino?" E Claudio si morde la lingua. E si sente un perfetto coglione per ciò che gli è appena uscito dalle labbra, senza che il cervello abbia fatto nulla per impedirlo. E ora vorrebbe solo fuggire via dagli occhi dolci di Mario e dal sorriso divertito che gli compare sulle labbra.
"Perché per il nostro colloquio è fondamentale la distanza. E l'essere l'uno di fronte all'altro, Claudio." Gli risponde serio.
E Claudio sa che dopo oggi probabilmente vorrà solo seppellirsi per la vergogna. Ma tanto ormai ha già cominciato.
"Beh, per me sarebbe fondamentale che ti sedessi accanto a me." Sussurra. Mario sembra quasi tremare impercettibilmente a quelle parole. Ma magari è solo una sua stupida impressione. Lo vede muoversi nervoso sulla poltrona, poi alzarsi in piedi. Si siede sul divano, accanto a lui, ma tanto lontano da non sfiorarlo neppure. Eppure a Claudio basta questo per sentire di non essere solo. Sente un calore familiare e piacevole pervaderlo. Con Mario tanto vicino, con il suo profumo da respirare a pieni polmoni, si sente a casa. E finalmente sente di poterlo fare. Di poter parlare. Si perde un attimo in quel nero. Ci affoga dentro. Torna a galla. Torna a respirare. E parla.
"Non sto bene. Oggi è il sei dicembre. È l'anniversario della sua morte. Sono passati sei anni." Parla a voce bassa, come se avesse paura che qualcun altro possa sentirli. E trema appena.
"Di chi stai parlando?" Gli chiede Mario. Il suo tono è dolce e attento. Lo fa sentire protetto.
"Luca, il mio migliore amico. Lui...è morto in un incidente, è stato investito da un'auto in corsa. La sera in cui ci siamo conosciuti noi due. Se solo non lo avessi lasciato solo, se solo gli avessi lasciato la macchina, forse ora..." si interrompe per prendere fiato e cacciare indietro le lacrime e il dolore. Mario lo osserva in silenzio, gli occhi lucidi e le mani che tremano. E ora non è solo una stupida impressione. Sta tremando davvero. E Claudio allora lo fa. Gli afferra con forza una mano e la stringe. Mario sgrana gli occhi spaventato. Ma un attimo dopo sta già ricambiando la stretta. Gli rivolge un sorriso incoraggiante e Claudio sente per la prima volta dopo sei anni di non essere solo. Una sensazione di pace lo pervade. Lo spinge a continuare.
"Ma non l'ho fatto. L'ho lasciato solo. Per restare con te. Perché volevo passare la notte con te. Mi dispiace di averti scaricato addosso colpe che non hai. Non hai nessuna colpa, ho causato tutto io." Abbassa lo sguardo, non riuscendo a dire altro. Mario porta la mano libera ad accarezzargli lievemente la gamba. Un brivido lo pervade, un vuoto allo stomaco e la sensazione incredibile di essere proprio dove si vuole stare. E con chi si vuole stare.
"Non è vero Claudio, non è colpa di nessuno. È stato un incidente." Esclama deciso. Claudio scuote la testa con forza. Perché lui lo sa. Ne è convinto. Quell'incidente lo ha causato lui e questo nessuno lo cambierà mai. Scuote la testa e Mario non insiste. Non oggi almeno.
"Puoi sfogarti Claudio. Puoi piangere se vuoi." Continua, con un sorriso dolce e incoraggiante in volto. E Claudio le sente quelle lacrime che gli rendono lucidi gli occhi. Le sente ma non le butta fuori. E forse non lo farà mai.
"Non ci riesco." Riesce soltanto a rispondere. E poi c'è solo il silenzio. E due respiri irregolari che vanno a tempo. E la mano di Claudio che stringe quella di Mario. E Claudio proprio non lo sa se avrà la forza di lasciarla andare.

Sarò quel vento che ti porti dentroDove le storie prendono vita. Scoprilo ora