"Mi era rimasta addosso una strana malinconia. Mi sono stretta al mio corpo solitario e, passo dopo passo, diventavo sempre più triste. Sapevo il motivo, il motivo di quella tristezza. Avevo voglia d'amore anch'io, di carezze furtive, di un cuore in subbuglio."
Mario
"Sono tornato per guardarti." Lo dice così. Diretto, senza mezzi termini, senza scrupoli. È come se per un attimo tutta la sua paura, le sue fragilità, i suoi fantasmi, fossero scomparsi. E Mario se lo ritrova davanti in tutta la sua bellezza, in tutta la sua sicurezza, in tutta la sua aggressività. Con quel viso serio e arrabbiato. Con quegli occhi che gli stanno scoprendo man mano l'anima. Mario è a disagio, tanto, troppo. Si muove sulla sedia in difficoltà, sente caldo all'improvviso. Sa di essere arrossito. Sa che professionalmente ora dovrebbe far finta di niente e continuare quel colloquio. Anzi ancora peggio. Dovrebbe indirizzarlo a un collega con cui Claudio non abbia avuto alcun tipo di rapporto, di nessun genere. Qualcuno con cui si senta libero di parlare di tutto, un estraneo. Qualcuno che lo ascolterebbe con professionalità, senza la voglia di saltargli addosso, di baciarlo con foga, di fare con lui tutte quelle cose che Mario può solo sognare. Lo sa. Eppure non lo fa, non lo manda via. Lui vuole Claudio di fronte, vuole vederlo, vuole sentirlo, vuole averlo vicino, sentire il suo odore, vedere quegli schizzi colorati sulla sua pelle, quelle iridi verdi, quelle labbra morbide e piene che se ci pensa si sente ancora addosso come se fosse stato solo ieri. Che le ha avute, le ha morse, leccate, assaggiate. E invece sono passati cinque anni.
"Che c'è dottore? Non parli più?" Un sorrisino ironico fa capo sulle labbra dell'altro, che lo guarda divertito e quasi compiaciuto. E Mario sa che deve tornare in sé, deve riprendere il controllo. Lo sa. È il suo lavoro. E ha tutta l'intenzione di portarlo a termine.
"Tu credi di provare attrazione per me, Claudio. In realtà è solo un riflesso. Vedi me come qualcuno che ti sta aiutando a superare i tuoi problemi, la tua àncora di salvezza. Mi vedi così e sei portato a provare attrazione nei miei confronti. Non sei né il primo né l'ultimo paziente che mi fa delle avances." Ecco. Mario è soddisfatto di sé. Si sente davvero soddisfatto di sé. Professionale e distaccato al punto giusto.E allora perché mi sento un perfetto coglione?
L'altro scoppia a ridere, non aiutandolo affatto. Lo spoglia, lo scopre con lo sguardo. Brucia su di lui.
"Stai scherzando, spero! Ti sei dimenticato di quando mi hai messo la lingua in bocca? E avremmo anche scopato se solo non..." si blocca, all'improvviso, con la voce che si incrina appena. E torna di nuovo quel Claudio, quello triste, quello che ormai un po' conosce, quello che vive nel dolore, nel passato. E Mario lo sa che deve cogliere al volo questa opportunità. E ci prova, per l'ennesima volta. A capirlo. Ad aiutarlo.
"Se solo non?" Chiede con un filo di voce, incitandolo a continuare. Claudio torna di nuovo quello di sempre, con quel muro invalicabile tra sé e gli altri. Quello impenetrabile, indecifrabile. Resta zitto, ha perso di nuovo tutta quella bellissima sicurezza. Mario lo nota dalle sue mani che tremano appena, dal suo piede che si muove da destra a sinistra, dai suoi occhi spenti e nervosi.
"Claudio?" Lo richiama Mario, rivolgendogli un sorriso che spera possa essere rassicurante.
"Ti va di raccontarmi qualcosa di te?" Continua poi. Non sa più come provarci, come riuscire a farlo aprire. Non sa come guadagnarsi la sua fiducia. Claudio scuote la testa, senza dire nulla. Continua con quel silenzio impenetrabile.
"Che cazzo te ne frega? Perché vuoi che ti parli di me? Perché non mi lasci in pace come gli altri?" Gli urla con gli occhi lucidi e il respiro irregolare. Trattiene a stento le lacrime e probabilmente, se fosse un altro paziente, Mario con professionalità gli porgerebbe i kleenex e lo lascerebbe sfogare senza battere ciglio. Perché lui ci è abituato. Alla gente che crolla, che gli mostra le sue debolezze, che piange mentre lui è un silenzioso spettatore di quel dolore. Ma con Claudio non ci riesce. Claudio lo paralizza. Gli fa provare il suo stesso dolore, la sua stessa paura. Le sente quasi nei suoi occhi quelle lacrime incastrate nel verde. Le sente un po' sue. È come se fossero legati da un vento forte e invisibile che soffia tutte le emozioni, tutto il dolore e la paura dall'uno all'altro. È una sensazione talmente nuova e intensa che fa quasi male.
"Perché ti voglio aiutare!" Esclama deciso, per l'ennesima volta, alzandosi in piedi. Ed è sconvolto da quello che sta facendo, da come sta reagendo. Da tutto. Claudio si alza in piedi a sua volta, fronteggiandolo.
"Smettila di ripeterlo! Tu non puoi aiutarmi." Gli dice a sua volta. Pochi centimetri di vuoto li dividono. Mario riesce quasi a sentire quel respiro caldo e forte sulla pelle.
"Ora devo andare." Continua poi l'altro, voltandosi. E Mario lo fa senza neppure rendersene conto. Gli afferra un braccio con forza. Solo quando capisce ciò che ha fatto, quando sente lo sguardo di Claudio bruciare sulla sua pelle scura, allontana la mano, come scottato.
Claudio va via. Di nuovo. Senza avergli dato alcuna risposta. O almeno questo è quello che sta per fare. Perché una volta sull'uscio si volta lentamente verso di lui e lo dice. Gli dà un altro piccolo pezzo di sé, di ciò che lo sta uccidendo.
"Per colpa mia è morta una persona, Mario. Questo nessuno potrà cambiarlo. Neppure tu."Cammina verso casa sconvolto, a passi lenti, con la testa che gli duole. Ha annullato le ultime due sedute della giornata perché dopo Claudio si è sentito mancare l'aria, ha perso la capacità di concentrarsi in modo lucido sul suo lavoro e ha avuto il bisogno di tornarsene a casa, farsi una doccia calda e mettersi a letto. Per dormire. Dormire e basta. Senza pensare a nulla, a Claudio, a loro. Arriva a casa con un'ora di anticipo e si lascia andare ad un sospiro di sollievo quando finalmente inserisce la chiave nella toppa della porta. Le luci sono accese, segno che Alessandro è già a casa. Ed è strano, davvero. Lui torna sempre dopo Mario dal lavoro.
"Ale, sono tornato!" Urla per farsi sentire. Ma nessuno risponde. Sente solo dei rumori sconnessi, qualcosa che cade per terra, un verso di dolore.
"Cazzo!" Impreca una voce sconosciuta. E no, decisamente non era la voce di Alessandro. E Mario capisce. In un singolo attimo. Tutta la freddezza del suo compagno. Il loro ostinarsi ad andare avanti in quella relazione priva di significato. Improvvisamente tutto ha un senso. Improvvisamente tutto diventa anche privo di senso però.
Un uomo sconosciuto e mezzo nudo esce dalla sua camera da letto zoppicando. Deve essere inciampato, facendosi male al piede. Alessandro lo segue. È pallido, lo sguardo preoccupato e colpevole.
"Mario..." mormora appena. Ma Mario è freddo, impassibile. A lui non interessa. Solo ora si rende conto che di Alessandro in fondo a lui non è mai importato nulla.
"Andate via. Entrambi." Dice soltanto. Duro, freddo, non ammette repliche.
"Mario, amore, mi dispiace, posso..." Alessandro continuerebbe con le solite cazzate che si dicono in questi casi. Cazzate che Mario non ha voglia di stare a sentire.
"Alessandro, ti ascolterei se ne valesse la pena. Ma mi sono appena reso conto che no, non ne vale la pena. Non per questa specie di relazione che abbiamo mandato avanti per chissà quale motivo. Quindi esci da casa mia. E portati pure lui." Conclude con tranquillità, indicando l'uomo seminudo di fronte a lui. E Alessandro non replica più. E a Mario sembra di aver perso tre anni della sua vita. E ne ha la certezza ora. Ora che è appena stato tradito, che ha appena buttato fuori di casa il suo uomo. E l'unica cosa a cui riesce a pensare sono un paio di occhi verdi limpidi, tristi, pieni di lacrime. Incredibilmente veri.
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Sarò quel vento che ti porti dentro
FanfictionClaudio ha vent'anni. Ha tanti sogni. Studia per realizzarli tutti. Soffia un vento forte la notte in cui incontra Mario. Forte come la musica che fa da sottofondo ai loro respiri che si scontrano per la prima volta. È quella la notte in cui ogni so...