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"Secondo Elisabeth Kubler-Ross quando abbiamo subito una perdita drammatica tutti noi passiamo attraverso cinque diverse fasi del dolore: c'è la fase del rifiuto, perchè la perdita è talmente impensabile che non possiamo credere che sia vera. La rabbia esplode contro tutti, rabbia contro chi sopravvive, rabbia contro noi stessi, poi patteggiamo. Preghiamo, imploriamo, offriamo tutto ciò che abbiamo, offriamo la nostra anima, in cambio anche solo di un giorno in più. Quando il patteggiamento fallisce, ed è troppo difficile contenere la rabbia, cadiamo nella depressione, nella disperazione, finchè alla fine ammettiamo di aver fatto tutto il possibile e ci abbandoniamo. Ci abbandoniamo e arriviamo all'accettazione.
Ci sono centinaia di lezioni per imparare a combattere la morte, e neanche una che ci insegni a continuare a vivere."

Cinque anni dopo...

Claudio

Erano passati cinque anni da quella notte. La notte che aveva cambiato tutto, che aveva distrutto tutti i sogni. Claudio si era ritrovato a pensare per giorni, settimane, mesi, a cosa sarebbe successo se...
Se quella sera fosse rimasto a casa con Luca.
Se Paolo fosse andato alla festa con loro.
Se fosse tornato a casa con il suo amico, se non lo avesse lasciato solo.
Se non avesse incontrato quel ragazzo che dopo quella sera non aveva più visto.
Perché Claudio dopo quella sera si era limitato a sopravvivere.
Aveva abbandonato l'università. Aveva abbandonato la casa che divideva con i suoi amici. Aveva trovato lavoro in un piccolo bar in periferia e questo gli aveva permesso di prendere in affitto un monolocale nella strada accanto. I genitori ogni mese gli mandavano qualcosa per arrotondare. All'inizio sua madre era preoccupata, lo chiamava notte e giorno. Lo incoraggiava a riprendere con lo studio o almeno a tornare a Verona.
"Tesoro torna a casa, lascia che mi prenda cura di te." Gli diceva al telefono, controllando a malapena le lacrime.
Ma Claudio era irremovibile. Lui non sarebbe tornato a casa, non sarebbe tornato a Verona. Perché avrebbe dovuto farlo? Era questo ciò che meritava. La sofferenza, la solitudine per avere ucciso Luca. Perché nonostante ciò che gli altri gli dicevano continuamente, nonostante Paolo lo spronasse a riprendere in mano la sua vita, nonostante gli ripetesse che non era stata colpa sua, Claudio ne era convinto. Da quella notte e ancora di più dal giorno del funerale. Da quando Silvia gli si era avvicinata con le lacrime agli occhi per aver perso l'amore della sua vita. Da quando lo aveva abbracciato forte e poi gli aveva sussurrato all'orecchio quelle parole, quelle che gli avevano distrutto il cuore nel petto, riducendolo in pezzi. Quelle che gli avevano gelato il sangue, trasformandolo. Rendendolo il Claudio di ghiaccio che è oggi.
"Perché non eri con lui Clà? Perché lo hai fatto andare via da solo, a piedi?" Aveva mormorato con voce tremante. Claudio aveva spostato lo sguardo sui suoi occhi colmi di dolore e delusione. L'aveva osservata per qualche minuto, prima di allontanarsi da lei e scappare via. Aveva corso, fino a sentirsi mancare l'aria nei polmoni. Aveva corso, con il petto dolorante e le gambe pesanti. Si era ritrovato a urlare, senza neppure rendersene conto. Claudio, il ragazzo felice, quello sempre allegro, sempre pronto a regalare un sorriso a chi lo circondava, quello con una vita colma di sogni e speranze, si era ritrovato ad urlare. Non piangeva, non ci riusciva. Urlava e basta. Urlò fino a quando Paolo non lo raggiunse, stringendolo forte tra le braccia e chiedendogli di smetterla, di essere forte.
Così erano rimasti solo loro. Paolo aveva continuato con gli studi e si era laureato, trovando lavoro poco dopo. Era rimasto nella loro vecchia casa, rispettando la decisione di Claudio di allontanarsi. Gli aveva lasciato i suoi spazi. Era da cinque anni che gli lasciava i suoi spazi, che non intralciava le sue decisioni sbagliate, che non giudicava il suo dolore. Era da cinque anni che gli stava vicino con delicatezza, sperando che prima o poi il suo amico, che era sicuro fosse nascosto da qualche parte dentro quel Claudio freddo e vuoto, si fosse deciso a venire fuori, a riprendere la sua vita, ad afferrarla con forza, a lottare per i propri sogni e per vivere come meritava.
Per questo quella mattina, dopo una settimana di silenzio da parte di Claudio, si è deciso ad utilizzare la sua copia delle chiavi del monolocale che l'amico gli ha fornito controvoglia in caso di emergenza. Apre la porta su tutte le furie, deciso a cambiare le cose. Questa volta lo aiuterà, che lui lo voglia o no. Non è mai successo che Claudio non si facesse sentire per un'intera settimana ed è davvero preoccupato da ciò che potrebbe trovare in casa. Ma non si ritrova altro che Claudio, buttato a peso morto sul divano, gli occhi chiusi, al buio, con la televisione accesa e il volume al minimo. C'è cibo sparso dappertutto, bottiglie sparse dappertutto, la casa è nel caos più totale. E tutta la rabbia viene subito sostituita da un'infinita tristezza. Non è la prima volta che Claudio attraversa un periodo in cui per lui è ancora più difficile. Gli capita spesso che il ricordo di Luca e i sensi di colpa diventino insopportabili. Basta una canzone che glielo ricordi, un film in TV, la data del suo compleanno, una persona per strada che gli somiglia, per farlo ricadere nel baratro. Ma questa volta Paolo non è disposto a vedere il suo amico così. Questa volta deve fare qualcosa.
"Clà!" Lo strattona forte per una spalla, richiamando la sua attenzione. L'altro sgrana gli occhi sorpreso. Paolo non può fare a meno di notare quanto Claudio sia dimagrito in soli sette giorni, quanto sia pallido, quanto i suoi occhi siano segnati da occhiaie profonde. Gli si stringe il cuore a vederlo così.
"Hey, non ti ho sentito entrare." Mormora l'amico, portandosi una mano tra i capelli spettinati.
"Non ti sei fatto sentire per tutti questi giorni. Ero preoccupato." Gli dice Paolo, abbozzando un sorriso forzato. E poi prende un respiro profondo prima di continuare. Non è la prima volta che pronuncia le parole che sta per dire, eppure sente che questa volta Claudio lo ascolterà. Sente che forse anche lui è stanco, che anche lui vuole andare avanti.
"Clà, hai bisogno di aiuto." Gli dice deciso.
Claudio abbassa lo sguardo. Sa che l'amico ha ragione, lo sa. Eppure non crede che il tipo di aiuto che intende Paolo possa davvero servirgli, guarirlo, rimarginare le sue ferite. Non ha mai creduto che il dialogo con uno sconosciuto potesse avere un tale potere. E non lo crede ancora. Eppure accetta. Perché tanto ormai peggio di così non può andare. Perché tanto ormai niente potrebbe aiutarlo a recuperare la sua vecchia vita. Accetta perché non ha nulla da perdere. Accetta per Paolo. Almeno questo glielo deve.
È così che si ritrova qualche ora dopo di fronte allo studio di uno psicologo. Paolo gli sorride dalla sala d'attesa per incoraggiarlo, mentre lui si avvicina con mano tremante alla porta. Bussa lentamente, mentre osserva pensieroso la targa al muro.
"Dott. Mario Serpa." È inciso a grandi lettere su di essa. Una strana sensazione lo assale. Ha già sentito quel nome, ma non riesce a capire quando, né dove. Forse perché è qualcosa che appartiene a un'altra vita, a quando era un altro Claudio. E sembrano essere passati secoli.
"Avanti." Una voce bassa e sicura interrompe i suoi pensieri. Prende un respiro profondo. Entra. Lui è seduto alla scrivania. Quelle mani. Un tatuaggio che cinque anni fa non c'era. Quei capelli scuri e disordinati. Quella barba folta. Quelle labbra sottili e perfette. Quegli occhi neri come la voragine che ha inghiottito Claudio da cinque anni. Lui.
L'altro sgrana gli occhi sorpreso.
"Ma...ma noi...noi non ci conosciamo?" Gli chiede con voce incerta e incredula.
Claudio abbassa lo sguardo. Punta di nuovo quegli occhi verdi e ghiacciati sull'altro, prima di rispondere. Secco, deciso, senza alcuna esitazione.
"No."

Sarò quel vento che ti porti dentroDove le storie prendono vita. Scoprilo ora