「Capitolo 11°」

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26 Settembre

Tiro su col naso, asciugandomi il viso umido e arrossato con il dorso della mano tremante. Un po' di cenere cade nel vuoto sotto di me, quello che prima era sigaretta ora non è altro che polvere che va perdendosi nella brezza leggera e si mischia al resto del mondo marciscente. Ciò che prima esisteva e aveva sostanza è stato trasformato in un minuscolo cumulo cinereo di niente dal mio respiro affannoso. L'ultimo tentativo che mi è rimasto per non farmi sopraffare dal mio stesso dolore è il fumo. I pacchetti di sigarette costano parecchio e non posso permettermi di sprecarne inutilmente una a causa di una crisi, perciò sono costretta a mantenere la calma e a distogliere l'attenzione dai pensieri. Obbligarsi a parsimoniare sulle proprie dipendenze impedisce di cedere al caos dell'unica cosa che non si è in grado di controllare: i ricordi.

La mia memoria è un mostro putrido e amorfo, un demone che si nutre del dolore che le sue visioni mi provocano e acquista sempre piú forza mano a mano che le mie difese si corrodono nel tentativo di combatterlo. É a causa sua se ora sono a sedere sul basso cornicione arrugginito e cigolante della biblioteca comunale. A causa sua se le mie gambe tremanti strette nelle leggins oscillano nel vuoto e il vento ci gioca distrattamente di tanto in tanto, dandomi un finto appoggio in grado di farmi dimenticare della distanza che mi separa dal suolo ancora umido del marciapiede. A causa sua se ora mi sento spezzata come se la mia schiena avesse ceduto sotto al peso opprimente di una vita insoddisfacente sotto troppi punti di vista: la figlia meno ammirata dai propri genitori, una monocorde carriera scolastica nella media statale, aver necessitato un aiuto esterno per trovare un semplice lavoro in un negozio, non avere abbastanza coraggio per prendere una posizione, l'inizio delle assunzioni dei farmaci, la perdita dell'unica conquista di cui andavo fiera nella mia esistenza: lui.

Infilo la mano libera in tasca per darle tregua dal freddo, e le mie dita trovano il flacone di pillole che mi sono state prescritte d'urgenza ieri sera da Kim Minseok, il terapista. Le osservo quasi con disgusto attraverso il vetro protettivo arancione. Non ricordo esattamente cosa sia successo ieri dopo che ho visto quella ragazza baciare il mio ragazzo, ma sono sicura di non aver bisogno di alcun tipo di pillole per stare bene. La mia amnesia é dovuta al fatto di essere caduta e aver sbattuto la testa. O almeno, questo è ciò che ritiene Sooyun, che era lì con me quando è successo il tutto. Però in ospedale non hanno pensato la stessa cosa, a quanto pare. Mia madre era in servizio in clinica e mio padre aveva il turno come sempre, perciò è stato mio fratello Minwoo a venire a trovarmi in stanza. E a pagare la tassa di soggiorno e le cure mediche, ma questo non lo dirò ai miei genitori. Ho promesso a Minwoo che, non appena mi daranno la busta paga, gli renderò tutto il denaro che ha speso per me. Lui si è opposto con fermezza, affermando che preferiva che prima pensassi a riprendermi da questo momento di crisi piuttosto che addossarmi altro stress a causa del debito. E i dottori gli hanno dato ragione.

Sospiro, azzardandomi a sporgere parte del busto oltre al cornicione per guardare i passanti che camminano parecchi metri sotto di me, ignorando la mia esistenza. Non ho intenzione di superare il limite delineato dal piccolo muretto di mattoni e lasciarmi cadere per pochi secondi prima di impattare il suolo, ma se solo potessi fare in modo che la mia mente si staccasse dal mio corpo sarebbe tutto più semplice. Devo trovare qualcosa che mi dia la forza necessaria per riprendere in mano le redini della mia vita e mi permetta di domarla, qualcosa che mi sproni a dare il massimo pur di raggiungere un ideale obiettivo di contentezza e appagamento. So che la felicità assoluta é una vera e propria utopia, ma provarci non costa niente. È lo sforzo di arrampicarmi sui fianchi scoscesi e impervi di un burrone profondo quanto il mio dolore ad essere faticoso, e non so se sono in grado di affrontare una salita tanto ardua in questo momento. Lui è riuscito a cambiarmi in meglio, a dare un nuovo colore alla mia esistenza e a farmi capire cosa significasse veramente vivere ogni giorno, ogni ora, ogni minuto. Come se la mia vita si condensasse in ogni mio gesto, ogni mia parola, ogni mia espressione. E, di conseguenza, in qualsiasi cosa lui facesse. È diventato parte integrante di me senza che neanche me ne accorgessi, conosco meglio lui di me stessa e, se chiudo gli occhi, posso immaginare cosa sta facendo, il modo cadenzato in cui cammina, la sua pelle che si tende sulle articolazioni delle mani quando suona uno dei tanti strumenti che conosce, la sua espressione corrucciata quando cerca di concentrarsi su qualcosa, il cipiglio buffo che fa ogni volta che lo faccio arrabbiare. Che lo facevo arrabbiare. E brucia più dell'inferno essere stata illusa di essere una persona speciale solo per poi essere abbandonata e dover guardarlo andarsene, costringendomi a fingere che non mi sia importato niente di lui, di noi.

E quando l'ho visto guardare quella ragazza con la stessa intensità con cui solo un mese fa guardava me mi ha fatto capire che lui, ormai, ha superato la cosa. Quindi, come al solito, sono io la stupida che non riesce a smettere di pensare, il cuore rotto in mille pezzi stretto tra le mani, a cosa siamo stati. Nonostante sia stata io a compiere il gesto che é stato poi causa della nostra rottura, sono io quella che ancora ci tiene da morire alla nostra storia.
Al ricordo di essa. La scissione che ho provocato tradendolo è stata motivo del mio fallimento completo sotto ogni punto di vista, e solo ora che non ho più ciò che prima mi rendeva così soddisfatta capisco di essere stata davvero fortunata ad averlo. Una parte di me è pronta a lottare con le unghie e con i denti pur di riprendersi ciò che le spetta di diritto, mentre l'altra parte preferisce accantonare l'argomento per paura di rimanere ferita a morte nello scontro.

Respiro per l'ultima volta attraverso il filtro della sigaretta prima di spegnerla sul muretto, il tabacco sostituisce l'ossigeno e mi permette di rimanere viva. Non posso andare avanti in questo modo. È passato solo un mese e sei giorni da quando sono tornata ad essere sola, ed è già a questo che sono arrivata?
Amnesie frequenti, cicli di cure inutili da un terapista, check up completi in ospedale, crisi isteriche e attacchi di panico, apatia e insofferenza nei confronti dei miei amici, e ora anche le pillole e il fumo.

Dio, ma sono davvero questo, io?
Posso descrivere la mia vita in modo così squallido e triste e classificarmi come una persona inutile? Che senso ha continuare a marciare imperterrita in questa direzione?
Non voglio arrivare al punto di ferire me stessa per cercare una redenzione, non posso permettermelo. Devo reagire.
Devo scendere a patti con questa mia nuova situazione. Non devo avere paura di dimenticarlo. D'altronde, le persone si portano nel cuore. E, per quanto sfaldato e sfrangiato sia il mio, é ancora in grado di tenere stretto a sé quella persona importante.

So che posso perdere il ricordo della sua presenza, della sua voce, del suo profumo, ma ciò che mi ha lasciato, le sensazioni che mi ha fatto provare, le emozioni indelebili che mi ha provocato e le situazioni indimenticabili che ha disegnato nella mia memoria come quadri non mi abbandoneranno mai.
Ci sarà sempre una parte di lui, in me. E forse è proprio su questa che devo fare leva per creare un nuovo progetto. Devo iniziare a lavorarci.

Nel frattempo, ho messo in tasca un po' del suo respiro e qualche bacio di riserva per quando sentirò troppo la sua mancanza. Niente che mi appesantisca troppo, solo lo stretto necessario per poter sopravvivere una vita senza pensarlo costantemente e potermi concentrare su altro. Ritraggo le gambe dal bordo e mi alzo in piedi sistemandomi la giacca color tortora e infilando le mani a fondo nelle tasche mentre un nuovo lato di me si fa strada attraverso la mente. Non è stata solo colpa mia se ci siamo lasciati. Lui passava le sue giornate alla sede della SM Entertainment, e quando tornava a casa era talmente stanco che neanche aveva la forza di cenare. A volte, si fermava addirittura a dormire in un dormitorio di proprietà della compagnia con alcuni altri ragazzi e lo vedevo dopo più di una giornata senza avere sue notizie. Sono stata messa da parte, e forse quello che ho fatto è stato solo per attirare la sua attenzione.

Però ormai è tardi per rimuginare su questa cosa, e occorre che io riprenda a pensare a me stessa. E per me stessa. Prendo il telefono dalla tasca della giacca e digito il numero di Sooyun. La ragazza risponde al terzo squillo.
«Sooyun, ciao. Tieniti libera per domani sera. Spargi la voce.»

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