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Il conto della disperazione

È venuta 355 giorni a bussare alla sua porta

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È venuta 355 giorni a bussare alla sua porta.
Si è fermata 346 volte senza neanche fiatare.
L'ha conquistata solo 9 volte e senza nemmeno guardarla negli occhi. Non serviva, si convinceva.

Ha pianto contro la porta per 400 giorni.
L'ha udita senza fiatare per 355 giorni.
Si è alzata e l'ha abbracciata solo 6 volte con la scusa di esserci aggrappata troppo alla maniglia.
Si è mangiata il suo stesso dolore il giorno dopo per poi continuare così fino ad adesso che segna di rosso tutto gli oggetti da comprare.

Diana non rimane sopraffatta dal cibo che manca perché c'è abituata, si meraviglia della quantità di dolore che occupa tutta la sua mensola da qualche mese in avanti. Le nasce una piccola lacrima al sol pensiero che le sembrano passati due giorni da quando si è presentata davanti allo specchio dicendosi che quella era la nuova lei, ma adesso a ridosso di queste nuove gocce d'acqua sul viso, si distrugge affinché non rimanga niente di visibile agli occhi della persona che l'ha ferita. E non è Corinne, no no. Neanche Lucien. Solo se stessa. Rimpiange il desiderio che aveva di diventare la dea Diana poiché la mamma glielo diceva sempre e non se lo dimenticherà mai come la guardava mentre le dichiarava che voleva una figlia pura e casta, ma ha solo peggiorato la situazione.

La sua ossessione è cresciuta e non si è fermata da quando si guarda allo specchio per sistemarsi il ciuffo ribelle. Non crede di volersi fermare allo stop che continua ad infliggere accanto alla strada che sta percorrendo, però non può farci niente, lei. Non può più decidere, la dea. Può solo chinare la testa e prepararsi per un'altra trombata d'aria.
Viaggia per la sua mente e vede che non è mai stata una buona ragazza, che non è mai stata capace di soddisfare al meglio Miles, di non essere pronta a soccorrere Lorenzo, di non aver percepito prima Lucien e gli uragani che si porta dietro, infine, di non essere riuscita a perdonare Corinne per i loro errori fatti in un gennaio tutto da raccontare. Ma non c'è da preoccuparsi, si racconta. Il tempo esiste ancora, le pagine sono ancora tutte bianche, le penne ancora cariche e il blu e il nero ancora troppo banali da usare, quindi, Diana non piangere sulle cicatrici già rimarginate, disperati sulle ferite che dovrai implorare per farle chiudere. Impara ad amare quello che scriverai e racconterai, ché il cuore è impaziente di sapere cosa sceglierai una volta finito novembre.

𝐃 𝐢 𝐚 𝐧 𝐚Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora