03. Sola.

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4 giugno, ore 9.00

La funzione era appena giunta a termine: durata un'ora precisa. Quanto avrei voluto sentire mio padre decretare che osservare il quadrante dell'orologio con le lancette perpendicolari fosse la cosa più bella del mondo. Lo diceva sempre.

Tirai su col naso risvegliandomi da quei ricordi e ritornando a osservare dinanzi a me: le tombe stavano venendo coperte dalla terra. Quello era il mio ultimo saluto.

«Ragazzi credo sia il momento di andare.» Ed eccolo lì, il caro zio Thom, nel suo splendido vestito di alta sartoria, far valere la sua ragione.

Lo zio Thom non lo vedevo da quando avevo dieci anni. Non era mai stato un tipo molto dedito alla famiglia: viaggiava in continuazione e gli unici racconti che avevo su di lui riguardavano le sue mirabolanti avventure prima in Perù, poi in Messico e persino in Europa. Non ricordavo più di che colore avesse gli occhi.

Mio padre non faceva che parlare del suo fratellino con una punta di orgoglio nella voce convincendo me, Noora e James che prima o poi sarebbe tornato a casa. Io avevo smesso di crederci da parecchio tempo oramai, quando all'ennesimo compleanno di mio padre lo trovai con gli occhi lucidi dicendo che neanche quell'anno il suo fratellino si sarebbe presentato. L'unico motivo per cui in quel momento aveva lasciato Toronto e aveva fatto le valigie per raggiungerci era perché non era altro che l'unico e l'ultimo membro della famiglia Holland.

Il giorno precedente ci aveva salutato come se nulla fosse. Sembrava davvero il Thomas dei racconti di mio padre: un ragazzino con lo sguardo sognante che abbracciava i propri cari poiché gli erano mancati. Peccato che quel gesto avrebbe dovuto farlo almeno una decina di anni prima. Almeno quando loro erano...

«Non ancora» dichiarai secca voltandomi verso il giovane che sembrava così dannatamente estraneo a me. Il moro non aveva che poco più di trentacinque anni. In un certo senso mi faceva male osservarlo: il taglio degli occhi, la barba incolta e i lineamenti serrati della mascella erano incredibilmente simili a quelli di mio padre. Indugiai qualche attimo per poter tastare la sua reazione.

Come avevo ipotizzato sbuffò e, impaziente, si allargò il nodo alla cravatta. Mi fissò un'ultima volta negli occhi prima di evocare la sua battuta finale: «Torno a casa con la mia auto. Voi rimanete tutto il tempo che vi è necessario.» Così come era arrivato, uscì fuori dal mio campo visivo. Il caro zio Thom.

Scossi il capo concentrandomi su altro.

Osservai la terra sotto i miei piedi e la sottile erba appena tagliata. Sarebbe stato un bel parco se non fosse stato sommerso di croci e tombe. Il vento fece alzare delicatamente lo stesso vestito verde che indossavo tre giorni addietro. Metterlo a lavare era stata una mia premura quando ci avevano permesso di ritornare a casa, così sarebbe stato pronto per la funzione. Era ciò che indossavo l'ultimo giorno che li vidi ed era così che volevo salutarli, niente nero. Dovevo reagire, non lasciarmi andare al dolore. Il verde era anche il suo colore preferito.

«Mi dispiace che non scorra buon sangue tra di voi... Delaney è pur sempre tuo zio, pensi che potrai mai perdonarlo per non esserci stato? Come vedi lui ora è qui» domandò James comparendo alle mie spalle.

Il pietrisco misto al terriccio coprirono le casse di frassino facendo il tipico rumore dei sassolini a contatto con una tavola di legno lucidata. Come poteva lui essere così calmo? Oggi avevamo seppellito anche sua madre.

La polizia brancolava nel buio. Non c'erano prove, né un movente, né l'arma del delitto. E, dopo le solite domande di rito, ci avevano lasciati liberi di concederci al nostro dolore. Un sofferenza tale da essere ingestibile e inaudibile.

«Credo sia arrivato il momento di andare» asserii voltandomi verso di lui. Notai come i suoi occhi accettarono la mia non risposta.

Ci incamminammo verso l'auto parcheggiata fuori il cimitero. Non ci fu una parola, lui rispettava il mio silenzio e io il suo in un circolo vizioso. Una parte di entrambi era stata portata via per sempre.

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