60. Memorie di un futuro passato - Parte I.

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Il vento gelido dell'accampamento riempiva l'immenso spazio che non eravamo capaci di riempire.

La flebile tregua che avevamo stabilito con il destino sapevamo fosse a un passo dal terminare. Non potevamo continuare a rimanere inermi in quell'infinito giorno che scorreva, quando eravamo a conoscenza che il futuro sarebbe stato immutabilmente danneggiato.

Dovevamo ritornare al nostro presente, anticipando Kors e i ribelli in qualsiasi loro folle piano di distruzione del flusso del tempo.

Non potevamo permettere il caos. E noi eravamo l'ultima barriera a proteggere il mondo, in qualsiasi secolo.

Mi strinsi nelle ginocchia osservando i miei amici con occhi nuovi.

Quella sarebbe stata l'ultima volta che avrei potuto constatare la spensieratezza di Lake, la timidezza di Mike e la risolutezza di Sol, mentre si stringevano attorno al fuoco con l'unico obiettivo quello di trasmettersi le più fantastiche storie dell'orrore di cui avevano sentito parlare nei vicoli dell'Accademia.

«C'era un drago, lo giuro! Al settimo piano vi erano le creature mitologiche e questo ragazzo è stato mangiato vivo!» ripeteva lo scricciolo stufa di non essere creduta.

Sol le scompigliò i capelli, mantenendosi alla sua altezza. «Ti credo.» Le sorrise immensamente grata per quel gesto amorevole. Mike scrutava l'aria sperando di poter far colpo, ma l'impresa era ardua.

Dall'altro lato Maxwell continuava a torturarsi le mani, mentre ascoltava quei discorsi strappalacrime. Mi avvicinai sedendomi al suo fianco. Le occasioni che avevamo avuto per parlare erano state fugaci. C'era sempre qualcosa di più importante e di più ostile.

«A cosa pensi?» domandai d'un tratto facendolo risvegliare da quello stato. Max mi scrutò sorpreso levando un angolo della bocca, mentre le sue iridi corvine fissavano un punto al di là della mia spalla.

«A mia sorella Rosalinde» rispose con un fil di voce. Potevo comprenderlo. Era tutto ciò che aveva e che amava e che, probabilmente, animava i suoi incubi. Non aveva notizie di lei da troppo tempo, rimuginando sul destino che le era capitato. Si sentiva impotente.

Allungai una mano verso le sue con l'unico scopo di tranquillizzarlo. Il ragazzo mi osservò in tralice incapace di decifrare quel mio gesto. «Ti capisco, sai? Se dovesse succedere qualcosa a James, o se non sapessi che fosse al sicuro, credo che darei di matto.» Spostai la mia attenzione verso il gruppetto che al di là del fuoco chiacchierava beato. Lui, Colton e Mallek ridevano di gusto, monopolizzando l'attenzione. L'uno era l'opposto dell'altro, eppure, erano la combinazione perfetta per creare guai: l'irruento, l'impavido e il riflessivo.

Max sospirò direzionando le sue pupille verso loro. «È la tua famiglia. E come tale desidereresti solo proteggerla e fare il possibile affinché sia felice. Faresti di tutto per lui, vero?» domandò retorico. La risposta era ovvia. Non mi sarei mai fermata davanti a niente.

«Tutto ciò che sarebbe in mio potere» affermai. Fu allora che Max strinse le labbra in una linea dura, piegando il capo, cercando di scacciare via i brutti pensieri.

«Come pensavo...» sussurrò.

Ma quando provai a chiedere ulteriori delucidazioni, la conversazione dei ragazzi prese il sopravvento, divenendo l'argomento più gettonato di cui discutere in quell'ultima giornata di spensieratezza.

«E quindi vuoi farmi credere che tu abbia avuto mezza dozzina di ragazze in mia assenza? Non ci credo, Colton. Te lo sarai inventato» Mallek tagliò corto, non reputando veritiera neanche una parola.

«Senti chi parla, il ruba cuori dello spazio adimensionale!» ribatté risentito il primo.

«Non so se hai presente dove ci troviamo. Le giovani donzelle non cadono dal cielo tutti i giorni!»

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