Capitolo tredici

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«Ripetilo.» Si pavoneggiò Camila, tendendo il collo verso Lauren e ponendo una mano sull'orecchio per sentire meglio.

La corvina, corrucciata e con gli occhi perennemente alzati verso il cielo, rispose per l'ennesima volta «Tu. Hai vinto tu.»

«Esatto.» Ballonzolò sul sedile, muovendo spalle e braccia e scuotendo al tempo stesso la testa «Te l'ho detto che mi stavo solo riscaldando.» Sottolineò puntigliosa, e ancora una volta Lauren la ignorò, stanca di assecondare l'ego pretenzioso di Camila.

«Me lo sbatterai in faccia ancora per molto?» Sbuffò scocciata Lauren, continuando a fissare il manto notturno che appisolava le strade e donava requie al mare burrascoso che si era accapigliato tutto il giorno contro gli scogli e ora si riappacificavano, dimenticando i rancori delle ore solari.

«Puoi scommetterci.» La sbeffeggiò Camila, accostandosi pericolosamente al suo viso.

Lauren la guardò di sottecchi, rannicchiandosi contro il sedile e il finestrino per imporre una distanza che, inspiegabilmente, le sembrò necessaria.

Camila emise un risolino, poi adagiò la testa sulla spalla di Lauren, avvertendone la pesantezza gravare sul collo «È stata una bella serata. Una di quelle che voglio ricordare sempre.» Biascicò assonnata, e a seguito ad uno sbadiglio silenzioso si assopì.

Lauren si sporse per avvedersi delle palpebre socchiuse di Camila, delle labbra semiaperte dalle quale usciva un respiro sibilato. Aveva l'espressione beata e buffa. Lauren le spostò una ciocca riccioluta dietro l'orecchio, e senza rendersene conto, nella penombra della vettura dove tutto era ammissibile e niente veniva imputato, le lasciò un bacio sulla fronte. E mentre la guardava e le sue labbra collidevano con la pelle spianata di Camila, pensò che non aveva mai avuto così tante responsabilità tra le braccia.

Poi si addormentò anche lei, e si svegliarono solo quando Ray le scosse malamente, una volta  sopraggiunti sotto casa.

Camila dovette essere sostenuta dalla corvina perché il sonno aveva atrofizzato i muscoli e ora i passi erano lenti, la testa ricadente in avanti e le articolazioni tremule. Lauren la trascinò fino alla camera, la distese sul letto e l'alleggerì delle scarpe; poi le abbassò la cerniera, ma Camila era un peso morto e spogliarla del tutto era un'impresa pressoché irrealizzabile. Le alzò le gamba con cura, la mise sotto le coperte e le rimboccò il lenzuolo sotto al mento. Con una mano le tenne la schiena, mentre con l'altra sprimacciò il cuscino e la sdraiò.

Pensava che così, proprio come l'ultima volta che erano arrivate a Panama, il tremolio di Camila sarebbe ceduto, ma invece la cubana continuò a fremere febbrilmente e il respiro si fece affannoso, intervallato da rantoli soffocati che non accennavano ad affievolirsi.

Lauren restò immobile in mezzo alla stanza, parte integrante dei suppletivi dai contorni sbiaditi dalla notte regnante. Camila era un ammasso spasmodico di fremiti convulsi, persino le labbra vibravano visibilmente nell'opacità della stanza. Lauren si avvicinò al capezzale, poggiò il dorso della mano sulla fronte della cubana e si accorse che era rovente.

Eppure quando l'aveva baciata nel medesimo segmento, non aveva registrato uno sbalzo di temperatura tanto eccessivo. Possibile che la febbre fosse salita durante la brevità del tragitto?

«Camila..» La scosse leggermente, ma lei non rispose.

«Camila.» Stavolta la chiamò con più decisione e con tono concitato, indotta dai battiti alterati del cuore che le tagliavano di netto il respiro, stringendole il torace in una morsa.

La cubana mugugnò, ma le palpebre di Camila rimasto serrate. Lauren, forse anche con poco garbo, le schiaffeggiò delicatamente la guancia cerea. Camila diede segno di rinvenimento. Sfarfallò gli occhi, poi li richiuse e poi tornarono ad aprirsi, ma solo a mezz'asta.

Until TomorrowDove le storie prendono vita. Scoprilo ora