Capitolo ventidue

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Quattro giorni dopo...

Sapete quanto è difficile spiegare al proprio padre perché il pacchetto intero delle sigarette che custodiva nel cruscotto, adesso ne contiene solo cinque?

Non è che potesse dirgli "Papà, mi sono fatta una canna, il resto le ho fumate durante il viaggio." Era sconsigliabile essere diretti e sinceri, quando la verità oramai era stata appresa per vie traverse.

Mike non era così ottuso da credere che le sigarette le avesse fumate Camila e nemmeno così cieco da non sapere chi le aveva consumate, ma allora perché non marciava su per le scale, con il passo da bisonte che contraddistingueva la sua stazza nerboruta, spalancava con impeto rabbioso la porta della camera di Lauren e, puntandole il dito contro, con quello sguardo cupo, le urlava "Ti sei fumata le mie dannate sigarette?"

No, tutto taceva.

I muri della casa immortalavano il silenzio nella sua immobilità. Le finestre incorniciavano un panorama sulle mute colline desolate, dove anche il vento stormiva fra i ciuffi d'erba con un reverenziale sussurro che non importunava la quiete. Tutto taceva, tranne la mente di Lauren, che mulinava vertiginosamente...

Caffè macchiato... Dove vuoi che vada? Cinque giorni... Tanto zucchero... Lunedì? Ci sarò!...Che nottata...Non muoverti...

Strizzò gli occhi, nel vano tentativo di disperdere i frammenti rallentati di quella giornata. Riviveva tutto in loop, ma la cosa peggiore era che la realtà si distorceva. I fatti erano sempre gli stessi, ma le parole riecheggiavano come un eco nella sua mente: ovattate e lontane. Mentre gli avvenimenti si mischiavano come in un mazzo di carte, e quando pensava di essersi dimenticata di uno di questi, ecco che la sua mente lo ripescava dal mazzo, accavallandolo al momento precedente che stava rivisitando in quell'istante. Insomma, era una sequenza di attimi nitidi che rivaleggiavano per prevalere l'un sull'altro, screziata da sinuosi e frammentari discorsi.

Era inumata in un silenzio assordante che trapassava le orecchie in tutta la sua muta forza.

Borsone, maglietta. E gli scarpini? Lauren si guardò attorno, compulsando la stanza strato per strato. Di solito erano sommersi da una catasta di vestiti sporchi, ma invece quel giorno lì trovò inopinatamente dentro la scarpiera.

Si rese conto che non prendeva parte agli allenamenti di softball da più di una settimana. In realtà, non ricordava l'ultima volta che era scesa dalla sua camera, ma doveva risalire a... a...

Caffè macchiato con tanto zucchero... Cinque giorni... Il cavallo si muove solo a L... Tanto zucchero...

Scosse la testa, si morse con violenza la guancia interna, finché non assaggiò il sapore agrodolce del sangue cospargerle la lingua. Terminò di preparare l'occorrente, poi si caricò in spalla l'onerosa borsa -non solo per la pesantezza materiale, ma soprattutto per quella mentale- e si avviò straccamente verso l'uscita.

Clara, che non vedeva la figlia da giorni -se non per recapitarle la porzione di minestra o pasta, a seconda di ciò che cucinava-, trattenne il respiro mentre osservava la sagoma della corvina fendere il raggio di luce che penetrava dalla finestra, colpendola in pieno volto.

La seguì indefessa fino alla porta, dove Lauren ebbe un attimo di esitazione. Girò il pomello ma rimase inerte per qualche istante, ponderando se dire qualcosa o meno. Infine scosse la testa, ancora, ed uscì svelta.

Until TomorrowDove le storie prendono vita. Scoprilo ora