Capitolo venti

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Tende azzurrognole. Odore acre di disinfettante che contamina l'aria, già satura. Sfrigolio della televisione, sintonizzata sull'unico canale che l'antenna riceva.

Aveva sempre temuto quella stanza, non perché ospitasse la sua infermità, ma perché lasciava trasparire solo quella, escludendo meschinamente ciò che esisteva fuori. E l'aggettivo meschino è il più adatto per indicare la condizione del tempo che scorre in quelle pareti, perché non esenta ciò che fuori sopravvive illudendoti che niente respiri al di fuori di quattro mura, no... Ti concede uno scorcio sulla quotidianità, che può essere il cappotto bagnato di un visitatore, la risata per un programma trasmesso la sera precedente, la lasagna che mamma porta ai medici, il nuovo libro che depositano sul comodino... Insomma, c'è sempre uno spiraglio che filtra la realtà, che ti fa sentire un ospite indesiderato che spia attraverso la serratura, che ti concede di guardare ma a debita distanza, che ti alletta ma ti nega.

Camila, incomprensibilmente, aveva carpito che lo scandire del tempo variava nei reparti oncologici attraverso le tendine azzurrognole. Perché? Perché le ricordavano tanto quelle logore e consunte di scuola, che osservava impaziente dal suo banco, distraendosi per ingannare le tediose ore che la costringevano sulla sedia a seguire una lezione che proprio non le piaceva. Ecco, in ospedale, il meccanismo si protraeva per osmosi. Solito tedio, solita costrizione, solo che al posto di dover star seduta al banco era distesa in un letto, e invece di ascoltare il professore doveva udire insistentemente il ronzio della sua malattia.

Adesso ho capito la mia avversione per le tendine azzurrognole. Aveva meditato con un vago sorriso, stanco e quasi rassegnato.

Adesso sarebbero tornate le cure a base di Fludarabina, i lunghi cicli di chemio e radio terapia, coiti di vomito, pasti insipidi, flebo, stanchezza e.. ho già menzionato il vomito?

Si era svegliata una settimana prima in ospedale, stordita e frastornata. Inizialmente si era amaramente illusa che fosse un altro incubo, ma poi aveva sfiorato con fatto la ruvidità della coperta, percepito troppo intensamente il pizzicore dell'ago nella vena, ed infine udito nitidamente la voce apprensiva di sua madre. Sapeva che non era un incubo, ma con vana, e da una parte pure coraggiosa speranza aveva tentato con tutta la sua lena di dissolvere la realtà, frantumarla in tanti piccoli pezzi e intarsiarla altrove, ricomporla lontano dalla stanza d'ospedale e vicino alla chimerica vita che aveva adottato fin ad ora.

Non era servito. La forza della sua mente era pari a quella fisica: nulla.

Era stata informata delle sue condizioni, in precario equilibrio. Naturalmente la malattia era degenerata, ma quella non era una novità. Già prima di partire con Lauren, sapeva a cosa andava incontro ed era sfrontata nell'affrontarlo. Adesso niente era mutato, se le avessero permesso di tornare indietro, avrebbe preso la stessa decisione e tutte quelle a seguire, malgrado conoscesse i rischi e il finale.

Lauren... Già. Non si erano più viste, non da quando Camila si era svegliata. La cubana, inizialmente, era adirata con la corvina, ma poi aveva appreso che per una volta doveva essere lei ad empatizzare proprio come Lauren aveva costantemente preservato con lei. Beh, in una situazione del genere, si sarebbe comportata allo stesso modo. Se avesse rischiato di perdere Lauren... Dio, certo che avrebbe chiamato l'ambulanza.

Il vero problema erano i rispettivi genitori. Sinu aveva contatto la sicurezza appena aveva intravisto Lauren nella stanza della figlia, e Clara era venuta a prelevarla, ingiungendo categoricamente di non presentarsi mai più. Dalle occhiate che le due famiglie si erano scambiate, assieme al congedo freddo e malamente cordiale, aveva lasciato intuire che si erano ripetute svariati schermaglie di cui le ragazze non erano a conoscenza.

Until TomorrowDove le storie prendono vita. Scoprilo ora