27: nel quale si sottovaluta l'essere anziani

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Kim si rese conto di avere fame solo quando si accorse del tremolio delle sue mani. All'inizio aveva dato la colpa di quell'irritante sensazione alla secchiata di epinefrina che si era rovesciata nei suoi vasi sanguigni – non era nemmeno più sicura di aver avuto, in quei due giorni, un solo momento in cui non avesse avuto in circolo una dose fortemente sconsigliata del neurotrasmettitore eccitatorio – ma poi il suo stomaco aveva emesso uno strano rumore gorgogliante. Sì, era decisamente fame.

"Non succede nei film" mormorò, decidendo stranamente di esprimere in modo gratuito un parere.

"Cosa?" le domandò Jo, al suo fianco.

"Avere fame. Sete. Aver bisogno del bagno".

"Essere esausti" concluse l'amica, accennando un sorriso.

Il gruppo si stava muovendo con lentezza, un po' per prudenza, un po' per stanchezza. Avevano deciso di evitare gli ascensori, ma le scale stavano mettendo a dura prova la tempra di ognuno. Nessuno di loro sembrava più molto in forma: le emozioni, gli spaventi, gli sforzi delle ultime quarantotto ore, associati al sonno tormentato e al cibo poco sostanzioso, iniziavano a dare frutti, nella forma di nervosismo e ritardi. Il fatto che continuassero a cambiare rampa, poi, non aiutava. Così però aveva deciso il signor Cornelis: avrebbero depistato chiunque, pur perdendo un po' di tempo. Volevano per caso cadere in qualche trappola? Ovvio che no.

Erano arrivati all'ottavo ponte senza incidenti e non avevano incrociato anima viva. Forse era stata una buona idea, quella di muoversi subito. Kim s'aggrappava a questa speranza tanto quanto faceva col braccio di Jozefien, mentre, nel tentativo di distrarsi, cercava di captare le altrui conversazioni. Il signor Cornelis, così come il signor Fischer, camminava solo e in silenzio in testa alla colonna, subito seguito da Delia e Rex. Esteban si era affiancato a Isidro e a Siva, probabilmente intenzionato a condizionare i poteri forti del gruppo, ma entrambi erano più interessati a parlare tra loro. Audrey aveva abbandonato Anaïs, preferendo la compagnia dei boliviani. Proprio la ragazza haitiana si trovava davanti a loro, al fianco di Bruno e On. Bruno non aveva abbandonato la sua giovane amica dopo averle trovato la mela: la teneva per mano e tentava di coinvolgerla nel discorso che aveva intrapreso con Anaïs.

"Quindi gli zombie non mangiano cervelli?".

"No. Sono corpi, abbandonati dall'anima nel momento della morte, che non possono riposare in pace perché qualcuno ha usato la magia nera per controllarli. Non essendoci un'anima, non hanno volontà propria".

"Un po' difficile come spiegazione".

"È per questo che negli horror mangiano i cervelli. No?".

Kim sorrise. In una situazione pericolosa come la loro c'era inaspettatamente ancora tempo di essere umani, di fare domande curiose, di dare risposte divertenti. Vide Bruno lasciare la mano di On per stringersela contro, un braccio sulle sue spalle, le teste vicine.

"On aveva una domanda".

"Quale?" chiese Anaïs, voltando il viso verso la ragazza thailandese, che seppellì immediatamente il viso nella spalla dell'amico.

"Non è vero".

"Sì che è vero, me l'hai detto prima".

"Non stavo dicendo seria".

Kim non aveva udito On parlare molto fino a quel momento, ma ora che aveva la possibilità di ascoltarla, poté rendersi conto che il suo era l'inglese peggiore che avesse sentito da una persona del crew. Lo parlava a stento, con grande insicurezza. Quasi sicuramente lo capiva altrettanto male. Forse era per questo che parlava poco. Si chiese come fosse riuscita a farsi assumere, essendo le selezioni, a cui lei stessa aveva partecipato, molto rigide.

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