Passarono due giorni.
Due giorni di paure, incertezze, angoscia e apatia. Kim trascorse la maggior parte del tempo a vagare claudicante per l'hotel, un'anima in pena che nessuno aveva cuore di fermare. Mangiava poco e in solitudine, solo zuppe e tè e solo in camera sua, impastoiata nei suoi pensieri come sabbie mobili. Aveva deciso tra sé che lo psicologo non avrebbe compreso il suo dolore e per questo non aveva richiesto nemmeno un consulto di prova. In due giorni le uniche persone con cui aveva parlato erano stati i suoi genitori, al telefono. Era stata costretta, anche in quel caso: aveva dovuto tollerare la crisi isterica di sua madre e le lacrime asciutte nella voce di suo padre. Le avevano chiesto di tornare a casa, ma Kim non voleva rivedere Ho Chi Minh. Non subito.
Era stata una telefonata penosa, ma aveva avuto il pregio di scuotere leggermente la sua coscienza.
Il mattino del terzo giorno, nonostante il suo perenne ottundimento, Kim riuscì a risvegliarsi. Si costrinse a indossare una camicetta pulita e un paio di pantaloni da ginnastica, dopodiché scese a far colazione. Non aveva fame, ma nella notte aveva fatto un incubo di cui ricordava solo i più tristi particolari. Voleva togliersi dalla testa il ricordo del fumo, gli occhi lattiginosi dei demoni, i corpi sbudellati.
Entrò nel grazioso salottino in cui venivano consumati i pasti del mattino e prese posto su una delle sedie imbottite, dallo schienale a disegni floreali. Ci affondò con soddisfazione e quando il cameriere passò a chiedere cosa volesse, ordinò un cappuccino. Rimase ad attendere in silenzio, piegando il tovagliolo rosso tra le mani nel tentativo di svuotare la mente. Socchiuse gli occhi e il suo labbro ebbe uno spasmo, la parodia di un sorriso infelice quando per l'ennesima volta la sua mente si concentrò sul fatto che il sogno della sua vita era degenerato in un incubo vero e proprio da cui non sarebbe stato facile sfuggire.
Era sul punto di riaddormentarsi quando una mano delicata si posò gentile sulla sua spalla. Era stato un gesto discreto ma Kim trasalì come se le avessero urlato nell'orecchio, si voltò di scatto con il battito cardiaco a mille e scoprì che non era stato il cameriere, ma Siva.
"Ciao, Kim" la salutò la donna, con un sorriso.
Siva. Siva era molto cambiata dalla persona distrutta che Kim aveva visto sulla nave. Ora davanti a lei stava una signora elegante, in gonna nera e camicia azzurra. Portava i capelli in uno chignon ed era perfino truccata.
Al suo fianco comparve subito, come se fosse stata evocata, On. L'avevano ritrovata quasi subito, incosciente e sporca di quello strano liquido verde, quando erano attraccati a Flores. Dopo qualche giorno di ospedalizzazione, una lavanda gastrica e un paio di flebo era tornata come nuova. Ora che non era più costretta a indossare una divisa ma solo un vestito rosa a fiori bianchi dimostrava tutti i suoi sedici, quasi diciassette anni. Anche On sorrise e Kim fu costretta a ricambiare la gentilezza.
"Stiamo per partire" disse Siva.
"Dove andate?".
"Londra. Per il momento andremo là, poi si vedrà".
Siva aveva richiesto l'affidamento della ragazzina e la Crown Cruise aveva fatto i salti mortali per accontentarla. Kim lo aveva sentito dire dal signor Cornelis quando, il giorno prima, erano arrivati la sua ex moglie e i suoi due figli.
Era contenta per loro, anche se la gioia negli occhi di Sivashangari era sale sulle ferite della sua anima. Si alzò e senza dire altro abbracciò la donna.
"Buona fortuna" mormorò, tentando di non piangere. Siva la strinse a sé, le accarezzò i capelli e rispose: "Buona fortuna anche a te, bambina mia".
Kim abbracciò anche On e si chiese se Siva avrebbe mai più ricercato Meera. Da quello che leggeva nei suoi occhi, no. Forse sarebbe riuscita a lasciarla andare e a rifarsi una vita assieme alla giovane che le era stata donata dal destino come risarcimento per ciò che aveva perso. Glielo augurò, mentre le due si allontanavano, mano nella mano come una madre e una figlia qualsiasi.
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La nave dei sogni
Ficción GeneralPhan Kim non ha mai dimenticato la vacanza più bella di sempre, quando era bambina, su una delle navi da crociera della Crown Cruise. Per tutta la vita non ha fatto altro che sognarla e a quasi ventisei anni, dopo una sudata laurea in turismo, abban...