28: dove qualcuno impazzisce e un vetro ferisce

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La percezione del tempo è relativa.

Un giorno è in grado di contrarsi dolorosamente nei contorni di un minuto, così come una frazione di secondo può dilatarsi fino ad assumere le dimensioni di un'ora.

Nella testa di Kim accadde il secondo evento: tutto si fece viscoso e lento, il suo corpo pesante come mercurio, affondato nell'ambra. L'esplosione sbocciò nei suoi occhi come un purpureo fiore di loto e la sua mente non riuscì a fare altro se non stupirsi stolidamente di quel morbido, bellissimo schiudersi di petali roventi.

Jozefien fece appena in tempo ad afferrarla per i fianchi e a gettarsi dietro una sedia a sdraio rovesciata, prima che entrambe venissero investite da una pioggia di schegge di vetro, aria bollente e frammenti di legno. Il boato dell'esplosione si smorzò subito nelle orecchie di entrambe a causa del trauma acustico e Kim tornò improvvisamente in sé quando uno sgradevole calore si irradiò dalla base del suo polpaccio sinistro verso il suo piede. Abbassò gli occhi lacrimanti a causa del fumo verso il fondo del suo corpo sdraiato e osservò sconvolta un corpo estraneo spuntare dalla sua pelle: un pezzo di vetro grossolanamente triangolare, lungo una decina di centimetri, si era piantato nella sua carne, poco sopra la caviglia. Lo fissò, confusa e inebetita, mentre nei suoi timpani rombavano fastidiosi acufeni e tutto attorno piovevano avanzi di spa. Le sembrava di essere precipitata in un limbo in cui solo i suoi occhi funzionavano. Tutto il resto era ridotto a senso inutile: orecchie che non udivano, tatto che non sentiva calore, naso incapace di percepire l'odore acre di materiale combusto. Riusciva solo a concentrarsi sui bagliori rosati di quella piccola scheggia di vetro in cui vedeva riflessa la macchia verde della sua maglietta. Non capiva perché non sentisse dolore, ma solo quello sgradevole calore umidiccio.

All'improvviso un abbozzo di voce si fece largo tra i fruscii che popolavano la sua mente. Qualcuno urlava il suo nome. Voltò delicatamente il viso oltre la spalla – no, non era stata lei a voltarlo: era stato girato da una mano che non era la sua – e incrociò il volto di Jozefien, distorto in un'espressione terribile, con la bocca aperta in continuo movimento e gli occhi sbarrati. Kim sapeva che stava parlando, che le stava dicendo qualcosa, ma la sua mente esausta si limitò a prenderne nota e a notare che Jo era sempre bella, anche se il suo viso chiazzato di porpora era accartocciato in una smorfia buffa. Avrebbe voluto tendere una mano e toccare una delle ecchimosi: aveva una strana forma a foglia. Spostò lo sguardo sulle altre, cercando di assegnare a ognuna di esse un oggetto ma, nel momento in cui fece per allungare un dito e seguirne i contorni, un dolore atroce la riportò alla realtà.

"Kim! Kim, rispondimi!" stava gridando Jo, la voce resa acuta dalla paura, scuotendola gentilmente per le spalle. Quel piccolo movimento generava mareggiate di sofferenza alla sua gamba sinistra e Kim non riuscì a trattenere un gemito. Improvvisamente il presente le piombò addosso con tutta la sua mole e lei, ripresasi, si rese conto di ogni cosa.

"I signori... Mercy..." bisbigliò senza forze.

Jo la guardò, scosse lievemente la testa. Tentò di metterla seduta, ma Kim gridò così forte che per poco il suo braccio non le sfuggì di mano.

"Il vetro..." pianse, indicando con la mano libera la gamba. Jozefien si accorse solo in quel momento della sua ferita. Divenne cerea, ma non si arrese: tentando di mantenere ferme le gambe, la raddrizzò, la schiena di Kim contro il suo seno, nel tentativo di farla riprendere. Kim ebbe così modo di essere testimone della devastazione a pochi metri da lei.

Sembrava che fosse scoppiata una mina. Questo fu il suo primo pensiero. Là, dove pochi minuti prima una bella vetrata collegava la spa al terrazzo, non c'era più niente, se non ciò che rimaneva di alcune panche di legno che ardevano ancora di pallide fiammelle.

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