15: in cui diciotto persone si ritrovano allo stesso tavolo

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"I gentili passeggeri e i membri dell'equipaggio ancora coscienti sono attesi al buffet Belle Dame al ponte Shelley. Grazie per l'attenzione".

Quell'avviso vocale, risuonato in ogni angolo della nave, aveva qualcosa di estremamente ridicolo. Kim aveva dovuto soffocare una risatina che aveva il gusto dell'isterico quando la voce monocorde del signor Cornelis aveva dato quell'annuncio così educato, o meglio, così fuori luogo. Era risultato divertente anche la seconda volta e forse anche la terza, ma dalla quarta era già divenuto fastidioso.

Era ormai la quindicesima volta che quel versetto biblico – Dal Vangelo secondo Florian aveva detto Isidro – faceva tremare le vene e i polsi dei presenti, ma nulla era cambiato. Nessuno si era presentato al ponte Nove e Kim iniziava a dubitare che non sarebbe mai accaduto.

Se ne stava seduta a fianco di Jozefien, al lungo tavolo di cui avevano preso possesso per elaborare una strategia, lanciando ogni tanto qualche occhiata agli ascensori sul lato sinistro del grande locale. Dopo aver visto il mare di nebbia in cui galleggiavano spettrali luci verdi come lucciole di cimitero, il consenso era stato unanime: forse non si trattava di un attentato terroristico, ma nemmeno di una malattia. Forse era qualcosa di ben più grande, sicuramente più di tutti loro. Così avevano deciso di fare il punto della situazione, ma non prima di aver riunito e considerato tutti coloro che erano riusciti a scampare al misterioso stato di trance in cui la nave era affondata, come una fanciulla esausta tra le braccia di Morfeo.

Kim non aveva ancora detto la sua idea: la ponderava in silenzio, cercando di capire se avesse davvero senso presentarla agli altri o fosse semplicemente una sua impressione. Potevano delle caramelle dominare la mente delle persone in quella maniera e soprattutto in modo così preciso? Ci potevano essere mille spiegazioni e Kim tentava di valutarle tutte, con l'intenzione di impedire a tutti i costi il dilagare di un'inutile ipotesi spaventosa.

"Non verrà nessuno" decretò Sivashangari, accigliata, dopo che il silenzio tornò a calare, pesante come una spessa coltre di neve, su tutta la nave. "Siamo gli unici sopravvissuti".

"Non dire così, Siva" disapprovò Isidro. "Nessuno è morto".

"Perché, tu quelli li definisci vivi?" domandò la vecchia indiana, indicando con un gesto stizzito i sonnambuli. Era così che avevano deciso di soprannominarli: sonnambuli. Faceva meno paura di molte altre parole.

"Non sono morti" rispose cocciutamente lo steward. A differenza di tutti gli altri, da quando Florian Cornelis era sceso nel suo ufficio per dare l'annuncio, Isidro non era stato fermo un minuto: a grandi falcate consumava metri e metri per l'angoscia. Rex lo guardava fisso con lo sguardo di uno pronto a vomitare a causa dell'alto mare. Nessuno dei presenti, nemmeno Kerli, aveva speso parole per commentare quello che aveva visto sui ponti esterni.

Siva rimase silente anche se palesemente non azzittita dal confronto con il suo caro amico filippino e tamburellò con tre dita sul tavolo. Tra tutti era quella che riusciva meno a contenere la propria impazienza. Kim si disse, quasi divertita, che non avrebbe mai pensato che una donna del genere potesse divenire così combattiva nel momento del bisogno. Qualcosa le faceva credere che Sivashangari avrebbe avuto coraggio da vendere. Di contro, la sua pupilla thailandese sembrava paralizzata dalla paura. Seduta come al solito al suo fianco, stava rigida contro lo schienale della sedia mentre Bruno, stranamente silenzioso, le lanciava continue e discrete occhiate.

"E cosa succede se non arriva nessuno?".

La donna Tamil ruppe di nuovo il silenzio. Ogni volta che succedeva, Rex sussultava.

"Ci pensiamo se non succede".

"Come vedi sta già succedendo".

"Siva". Il nome della donna sfuggì dalle labbra di Isidro con una certa esasperazione. "Basta".

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