22 - Sparito

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Quando ormai Kristal si posizionò a cavalcioni sopra il mio busto, la porta si aprì di scatto.

"Kristal è successo un casino giù, ti prego vieni!" La implorò Veronica che sembrò scossa nel vedermi inerme sotto la sua amica.

"Cazzo ma è possibile che tu non riesca mai a fare niente da sola?" La rimproverò la rossa scendendomi da dosso e rivestendosi velocemente.

La situazione cambiò molto in fretta in mio favore e fu come sentirsi mille macigni sollevarsi dal mio petto.

"Andiamo, fratello!" Entrò precipitosamente il mio amico Finn prendendomi per un braccio e facendomi alzare.

Non stavo capendo molto in quel momento ma si poteva dire che Veronica e Finn mi avessero salvato dalle grinfie di Kristal.

In meno di qualche minuto mi ritrovai fuori da quella casa.

Dopo quella notte ero più che sicuro che non ci sarei mai più rientrato.

Il moro mi caricò a peso morto su una macchina abbastanza scassata che non avevo mai visto e mi portò ai dormitori dell'università.

Non capivo in quale camera fossimo diretti, forse la mia o forse la sua, sapevo solo che di lì a poco mi sarei addormentato e quella giornata tremenda sarebbe finalmente finita. 

Appena appoggiai la testa sul cuscino caddi in un sonno profondo e senza sogni.

Quando mi risvegliai mi sentii abbastanza frastornato, cercai il mio telefono e lo trovai nella tasca dei miei jeans.

Erano le 7 di mattina: di lì a pochi minuti tutti gli alunni si sarebbero svegliati.

Vidi Finn dormire beatamente nel letto accanto al mio con un braccio che ricadeva sul pavimento.

"Scusami amico!" Gli sussurrai per poi prendere le chiavi della sua auto.

Tornai nella mia camera dove Troy stava russando avvolto nelle lenzuola per preparare la mia valigia: non sarei rimasto in quel posto un minuto di più.

Scrissi un biglietto al mio compagno di stanza che avrebbe letto una volta sveglio, così da non farlo preoccupare come era suo solito fare. 

Scesi velocemente le scale del dormitorio, mi fermai un attimo dalle macchinette per prendere un bicchiere di caffè che speravo avrebbe velocizzato il mio risveglio.

Mi misi in auto, inserii le chiavi e partii a tutto gas.

"Ti amo Savannah." Dissi queste parole confidandole al vento che mi sbatteva sulla guancia sinistra proveniente dal finestrino abbassato.

Arrivai all'aeroporto di Los Angeles dopo quaranta minuti: mi sentivo un codardo ma, in quel momento, scappare, mi sembrò l'unica alternativa.

SAVANNAH'S POV.

Stavo sognando un campo di grano: le spighe si agitavano insieme, all'unisono, lasciandosi cullare dal vento debole.

Io le toccavo ad una ad una, erano così soffici e dorate che sembrava come toccare i miei capelli, ma all'improvviso mi sentii scuotere e una voce familiare mi stava chiamando.

"Savannah svegliati! È urgente!" Mi stava gridando nell'orecchio la mia compagna di stanza.

"Sole, ti preferisco quando non mi parli..." Mugugnai assonnata e voltandomi dall'altra parte.

"Riguarda Eduardo!"

Quando sentii fare il suo nome mi drizzai come un palo.

Ero tutt'orecchi.

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