Root 13

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"Si conobbero.
Lui conobbe lei e se stesso,
perché in verità non s'era mai saputo. E lei conobbe lui e se stessa,
perché pur essendosi saputa sempre, mai s'era potuta riconoscere così"
-on tumblr

«Sono stanchissima.»

Lidia si gettò sui cartoni di detersivo mentre eravamo in deposito.

«Considera che dobbiamo anche mangiare qua» farfugliò, guardandomi annoiata.

Scrollai le spalle, tanto non avevo nessuna intenzione di fare altro a casa.

Spesso scrivevo e leggevo per passare il tempo anche se ormai anche quello mi era diventato difficile.

Sentii un respiro pesante sul collo e sobbalzai quando vidi Daniel dietro di me.

Mi sorrise e si allungò a prendere una scatola in alto al ripiano.

Lidia continuò a parlare fra sé, mentre afferrava un paio di scatole, prima di andare via, lamentandosi riguardo un'unghia rotta.

Gli occhi di Daniel si fecero più scuri e, improvvisamente, si avvicinò pericolosamente al mio viso, fermandosi ad un palmo da esso.

Sentii il suo sguardo bruciarmi nello stomaco e sulla pelle, ma non glielo diedi a vedere e camuffai le emozioni sul mio viso con l'indifferenza.

Sapevo che lo stava facendo per gioco, lo intuivo dal suo sorriso malizioso mentre faceva un passo avanti ed io rispondevo automaticamente con un passo indietro, per creare più spazio fra noi.

Mi sentivo davvero come una bambina e mi ci volle tutta me stessa per non sciogliermi sotto a quello sguardo accattivante.

Lui sorrise, compiacendosi di tutte le emozioni che salivano pian piano sul mio viso.

Poi, quando mi sentii davvero scoppiare, lo spinsi via sgarbatamente.

«Tu e questi maledetti giochetti» gracchiai, prima di dirigermi velocemente al piano superiore.

Mentre salivo le scale, lo sentivo ridere animatamente per il mio imbarazzo.

Lo detestavo.

Ma, tipico di me, appena ne ebbi l'opportunità mi riscattai.

Ero china verso una scatola di lacche per capelli, lui, invece, mi guardava dall'alto, facendo finta di ordinare la merce mancante del reparto. Allora, quando meno se lo aspettava, mi alzai di scatto come un felino e mi avvicinai a lui, lasciandolo interdetto per un attimo.

Portai il mio viso a pochi centimetri dal suo e, per la prima volta, ero io a tenere le redini della situazione in mano.

Ci guardammo intensamente, per poi ridere subito dopo di noi stessi.

In quei giorni, mi lasciai trasportare da lui e dal suo tocco, ammettendo finalmente che la sua compagnia mi destabilizzava non poco.

Proprio come in quel momento, mentre ero distesa su una balla di carta igienica nel magazzino.

La trovavo morbida e perfetta per schiacciare un riposino veloce.

Avevamo appena finito di mangiare i nostri panini al negozio, ma c'eravamo dati una piccola tregua dal lavoro assiduo di questi ultimi giorni prima della famosa apertura.

Essa era sempre più vicina e questo implicava maggior lavoro per tutti noi, oltre al fatto che era già trascorso più di un mese e mezzo dal mio primo giorno di lavoro.

Gli altri giocavano con il pallone fuori al parcheggio mentre Lidia e Mafalda erano al telefono con i rispettivi compagni.

Daniel era al mio fianco, si era divertito tutto il tempo nel guardarmi leggere un libro che mi ero portata da casa. In realtà, avevo sempre un libro con me, chiunque avesse aperto la mia borsa ne avrebbe trovato minimo uno, perché per me era essenziale come una persona asmatica e il suo inalatore.

Come fiori sull'asfaltoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora