Revive 20

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"Non mi sento nemmeno così un cesso da quando mi specchio negli occhi tuoi."
-J.Ax

Per l'ennesima volta Lidia spiegò a Gioele cosa avremmo dovuto fare quella mattina. Ancora dovevamo svegliarci del tutto è già avevamo il camion fuori pieno zeppo di bancali.

«Ma io ho ancora sonno. Non si possono sistemare da soli?» Disse inacidita prendendosi una ciocca bionda. Gioele venne verso di me e mi abbracciò piano. «Sunny io mi nascondo, fallo tu per me. Ti vado a prendere una bella colazione calda»

Mi divincolai come un felino in trappola dal suo abbraccio e gli puntai il dito contro. «Non ci provare. Ti strozzo.» Alzò le mani in segno di resa e sbruffò, prima di andare verso i bancali.

Dal troppo lavoro da fare, io e Daniel non ci parlammo molto. Fummo completamente immersi dal lavoro e non riuscimmo a trovare tempo per comunicare.

All'ora di pranzo però, Lidia ebbe la brillante idea di andare in città per mangiare la pizza più buona di sempre. Io, Gioele e Daniel ci scambiammo una veloce occhiata prima di acconsentire entusiasti.

Eravamo in auto, Gioele alla guida teneva incollato il piede all'acceleratore mentre Lidia al suo fianco picchiettava le unghie sullo schermo del cellulare.

Io e Daniel eravamo seduti dietro, ma per la prima volta da quando ero nella sua compagnia, non guardavo lui ma fuori al finestrino, intenta a vedere il meraviglioso panorama che offriva la mia provincia.

Sapeva che ero distrutta perché questa mattina, di punto in bianco, mia madre mi aveva avvisato della morte drastica della mia vicina e l'indomani ci sarebbero stati anche i funerali.

Era strano. Camilla che era la mia vicina, era definita da tutti i bambini una vipera. Quando il nostro pallone cadeva nel suo giardino, non ce lo restituiva mai, cosi eravamo sempre costretti a scavalcare il recinto. Ma quando mia nonna morì, fu la prima volta per tutti che vedemmo Camilla piangere come una bambina di quattro anni. Teneva stretto al petto il suo tovagliolo di seta e aveva la faccia completamente rossa mentre al funerale guardava la bara.

Da allora, avevo imparato che anche se all'inizio non ci eravamo mai piaciute, amavamo le stesse persone.

Cosi con il passare degli anni, ad ogni mio compleanno ricevevo un mazzo di fiori freschi da parte sua, e ogni volta che le serviva una mano con le buste della spesa, mi offrivo sempre volontaria.

Certo, aveva i suoi difetti. Come quelli di spiare dallo spioncino qualsiasi rumore provenisse dalla nostra porta di ingresso o di affacciarsi addirittura quando uscivo per vedere in quale auto salissi e dove andare.

Ma quella chiamata, no me l'aspettavo proprio. Se ne era andata senza nessuna malattia, e di questo ne ero grata. Ma nemmeno un anno prima era morto il suo compagno di vita e ora, mi toccava andare ad un altro funerale. E questo mi faceva male ed era cosi dura da ammettere che nonostante mi sforzassi, il mio cervello non riusciva a farmi metabolizzare il lutto.

Daniel mi prese la mano racchiudendola fra la sua che, in confronto alla mia era enorme.

Nel giro di due ore, mi ero addormentata in auto e avevamo mangiato subito dopo al mio risveglio la nostra amata pizza.

Mentre passeggiavamo nelle stradine strette, le stesse che caratterizzavano la tipicità e il cuore della nostra città rendendola artistica, decisi di sganciare la bomba.

Daniel non aveva sospettato nulla del mio stato d'animo perché pensava fosse per la notizia di Camilla. Ma non era solo quello.

«Lele. Ti ricordi di Valerio?» era inutile girarci intorno, non avrebbe fatto meno male a nessuno dei due. Quello che non sapevo era la sua reazione.

«Sì.» Disse solo, aspettando che continuassi.

«Ieri mi ha contattata e... Mi ha chiesto di uscire.» Abbassai la voce per non farmi sentire da Gioele e Lidia che camminavano di fronte a noi, spintonandosi a vicenda e prendendosi l'uno gioco dell'altro.

«E tu?»

«Ho accettato. Perché come ben sai era stato un rimorso per me e ora... prima di cimentarmi in qualsiasi cosa...Beh, devo essere sicura di ciò che provo realmente. Ecco tutto.» me lo dovevo. Dovevo essere leale con me stessa prima di tutto e assicurarmi l'autenticità dei miei sentimenti.

«Per andare avanti senza nessun rimpianto?»

«Esatto.»

Uno, due, tre, quattro, cinque colpi di tosse.

«Va bene.» si allontanò poco da me.

«E che fai ora? Ti allontani?»

«Concedimi almeno questo, Sunny. Io ti aspetterò, certo. Ma ho bisogno anche io di proteggere me stesso da tutto questo. Non posso starti vicino immaginandomi cosa potrei avere e sapere che forse non l'avrò mai.» i suoi occhi erano un invasione di angoscia così pura, che il mio cuore tremò.

Non ebbi il coraggio di dirgli nulla. Non avevo le forze di confessargli che apprezzavo ogni suo singolo gesto. Che da quando ci eravamo conosciuti eravamo stati l'uno l'ombra dell'altro e che mi era stato silenziosamente vicino in un modo intimo e piacevole.

Non ebbi il coraggio di dirgli che sarei ritornata da lui sempre. Sempre.

«Hai ragione» ammisi sentendomi male per quello che gli stavo facendo.

Però fra me e l'acqua la differenza era davvero minima. Eravamo entrambe trasparenti e se qualcosa mi avesse marchiato, lo avrebbe fatto anche con la mia anima.

***

Guardai l'orologio ed erano le sette e venti, questo voleva finalmente dire che anche questa giornata era finita. Non ero pronta per affrontare l' indomani, ma non avevo di certo altre alternative.

Daniel si era esiliato in ufficio tutto il tempo insieme alla titolare Amelia, l'aveva aiutata con alcune fatture e ordini e ora lavorava da solo già da qualche ora. Lo raggiunsi in ufficio e bussai leggermente alla porta.

«Avanti» Feci un passo verso di lui e lo raggiunsi appena dietro la scrivania, guardando anche io il monitor. Feci finta di capirci qualcosa e poco dopo, abbassò le icone, mostrando infine lo sfondo che proiettava Londra.

Quanto mi mancava.

«Non sono mai stato fuori Italia.» Dichiarò, sospirando sommesso.

Mi misi dietro alla sua poltrona e, dopo alcuni movimenti, passai le mie mani insieme alla catenina bronzea intorno al suo collo, sistemandogli delicatamente il ciondolo al petto.

«Da oggi sì.» Lui guardò il mio ciondolo e subito un cipiglio gli si formò all'altezza delle sopracciglia.

«Sunny non posso accettare. So quanto sia importante per te.» fece per toglierla ma io gli allontanai le mani dal ciondolo.

«Sta meglio a te» poi me ne andai prima che potesse continuare a replicare e tornai a casa con un buco al petto.

Non era il ciondolo. Né Valerio. Era il dolore che avevo visto negli occhi di Daniel.

Era tutto ciò che ci stavo facendo pur di non sentirmi sbagliata.

Ma guardandomi di nuovo allo specchio, mi chiedevo se mai, nella mia vita, mi fossi sentita in pace con me e con il mondo.

Perché ci facevo tutto questo? Mi costava davvero cosi tanto farmi amare?

Perché seppur per un solo momento, le sue mani fra le mie, mi avevano donato la sensazione di essere toccata dalle mani giuste. Ed ero finalmente dove dovevo essere.

Daniel non l'avevo cercato, almeno non in questi mesi né lui aveva cercato me. Eravamo capitati nello stesso posto, alla stessa ora e con un semplice sguardo ci eravamo riconosciuti subito.

C'eravamo guardati e subito le nostre anime hanno riconosciuto il pezzo mancante.

Come fiori sull'asfaltoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora