"C'ho la testa che esplode le vene alle tempie
svuoto il bicchiere ma l'orgoglio non si riempie
e mi ritrovo sudato nella stanza di sempre,combatto ma la sua mancanza si sente"
-Gemitaz
Quando ero piccola, mi estraniavo dal mondo intero mentre lo guardavo scorrere dal mio balcone del terzo piano. tra la terra e me c'erano cinquantacinque scalini e mai nessuno notava me che brancolavo nel buio mentre studiavo la vita da lontano.
Mia nonna veniva spesso a chiamarmi e ricordo ancora che non riusciva mai a spiegarsi perché passavo ore intere lì fuori.
Nel petto sentivo sempre un misto di solitudine che veniva spazzata via quando ero lì avvolta nell'ombra, nascosta dagli occhi dei passanti. Avevo sempre un foglio per disegnare e facevo determinati schizzi per ore intere. Mi restava solo quello da fare dato che avevo solo due amicizie: le mie cugine. Oltre loro non avevo nessuno, perché i genitori tendevano a far allontanare i propri figli da me.
Ora, con qualche anno in più, capivo che lo facevano per la mia malattia. Perché avevano paura che potesse morire una persona che era legata al proprio figlio.
Ma ciò non cambiava il fatto che ero sola. E più andavo avanti, più me ne rendevo conto. Sono cresciuta in un'epoca in cui aver avuto un cancro dava come risultato l'essere emarginata dalla società.
Avevo perso anni di studio per combattere il mio malore e la gente sapeva solo notare la dislessia che spesso mi portavo dietro per i traumi subiti e le poche ore scolastiche.
Un giorno venne a trovarmi un'amica di mia madre. Lei dovette avvisarla che stavo facendo il secondo ciclo di chemio- che solitamente e' sempre più pesante del primo- e che ero poco presentabile. Appena mi vide, ricordo solo che scappò via. Un gesto che mi fu subito chiaro. Un gesto che mi sono portata dentro per anni, che mi aveva traumatizzato così tanto da non parlare più per mesi, chiudendo a chiave tutte le porte che conducessero a me.
Perché è questo che fa la gente, non capisce quanto possa essere distruttivo vedersi cadere i capelli, le unghie e i denti. Devi anche subire la loro reazione oltre che la tua. Per questo quando arrivai alla fine delle medie, come una furia, chiesi a mia madre di sciogliere ogni legame con il mio passato. Di togliermi addirittura il sostegno scolastico, perché non volevo che nessun altro sapesse ciò che avevo intenzione di seppellire.
Mi fecero fare un esame, che non superai. Ero in terza media e non sapevo neanche leggere, per non parlare della grammatica.
Ma mia madre mi ascoltò. Mai come quella volta, mi ascoltò.
Fu lì che iniziai a spogliarmi delle mie catene.
Avevo tredici anni ed ero sola, senza l'appoggio di nessuno se non di me stessa e di mia madre, sempre un po' diffidente ma pronta a restarmi accanto comunque. Ma sapevo di fare la cosa giusta per me facendo quel passo.
Avevo capito che se mi fossi trovata dei massi enormi sulla strada, mi sarei dovuta improvvisare alpinista pur di superarli e andare avanti.
Christian era stato essenziale. Grazie a lui, avevo capito tante cose. Soprattutto i miei errori odierni. Mi incitava a non sbagliare e mi sottolineava dove, invece, lo facevo.
A Christian dovevo tanto. L'avevo conosciuto nell'estate precedente al primo anno di superiore. Non aveva ascoltato le voci che giravano su di me, non si era fermato al mio lessico sgrammaticato, non si era mai arreso nonostante lo spingessi via. Non sapevo com'era avere un vero amico, figurati un compagno di vita. Non ero abituata alle attenzioni positive e alle carezze sui graffi. Ogni volta che capitava di legarmi a qualcuno, subito dopo, questa persona non perdeva l'occasione di strapparmi via i cerotti dalle ferite ancora aperte.
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Come fiori sull'asfalto
Romance(TRATTO DA UNA STORIA VERA) Spesso è difficile accettare il cambiamento. Accettare di dover porre fine a qualcosa che ci sa fare maledettamente male, mentre prima invece, ci rendeva vivi. Stella non è altro che una ragazza con la voglia impetuosa di...