''Ma il coraggio è anche questo. La consapevolezza che l'insuccesso fosse comunque il frutto di un tentativo. Che talvolta è meglio perdersi sulla strada di un viaggio impossibile che non partire mai.''
-Giorgio Faletti.
Mi concentravo sui passi di Ivan davanti a me. Destra, sinistra, destra, destra, scalino del marciapiede, diritto, destra. Alzai gli occhi e vidi l'insegna del Green Bar dove spesso andavamo con il resto della comitiva.
Ma questa volta, invece di star seduta insieme a Nadia, Cesare, Chris, Luca e gli altri, mi stavo sedendo di fronte a Ivan. Uno di fronte l'altro, un tavolino arrugginito e tondo, un caffè e una sigaretta rollata fra le labbra mentre guardavamo il cielo imbrunirsi e il freddo sbattere sulle finestre di legno delle case. Questa volta, il freddo lo potevo ammirare da fuori senza sentirmelo nelle ossa perché il pensiero di Daniel riusciva a tenermi al caldo nonostante i chilometri di distanza.
Mi sembravo guarita e stavo rinsanendo pian piano. Giocavo a fare la dura, a saper stringere bene i denti e saper sferrare qualche diritto di troppo. Ma invece non era cosi, io senza amore non ci sapevo stare.
Era difficile ammetterlo, perché sin da piccola avevo sempre provato ad essere autonoma, indipendente. Avevo sempre fatto poco affidamento sugli altri per non rimetterci sempre tutto il cuore. Che a furia di prendere sprangate in faccia mi ero ritrovata con un rottame nel petto.
Gli unici rapporti su cui potevo sempre fare affidamento erano tre:
Mia madre, la cagnolina che avevo da quindici anni e Asia.
Loro erano le mie costanti. I miei pilastri fondamentali che mi aiutavano a reggermi in piedi nel caso di crolli temporanei.
Ma ammettere di aver capito di non sapermi amare e avevo bisogno di qualcuno che lo facesse al posto mio e che mi ripetesse quasi ogni giorno che non ero il mostro che credevo di essere era...strano.
In realtà sono cresciuta fra l'amore dei miei e sopratutto fra l'amore che mia madre mi dimostrava ogni giorno. Anche da piccola, in ospedale, mi bastava sentire il calore della sua mano premere sulla mia guancia per sentirmi meglio. Sapevo essere solo tenace in fin dei conti, sapevo resistere bene alle intemperie. Questo lo avevo capito già anni fa, quando rimanevo a letto perché ero ancora paralizzata e avevo sete. Ma non chiedevo mai un bicchiere d'acqua a nessuno perché dormivano beati. Piuttosto piangevo pur di non dover chiedere niente a nessuno.
Volevo poter muovere i miei passi da sola e saper fare tutto a spese mie.
«Londra eh» Ivan sottolinea, lasciando uscire dalle sue labbra una nuvola di fumo che si estende e si disperde nell'aria fresca.
«Sì, è successo qualcosa lì, Ivan. Del tipo che ho perso un pezzo di me in quella città» aspiro più forte che posso la nicotina e la ricaccio fuori lentamente.
«Lontana. Ma mai abbastanza da qui» vero. Questo posto sapeva di morte. Ovunque ti girassi c'erano scheletri che camminavano al posto delle persone. Ogni famiglia aveva qualcuno che combattesse qualche sorta di malattia ereditaria o qualche strano acciacco.
Morivano ogni giorno ed io questo non lo sopportavo.
«Non voglio pensare a Camilla, a niente. Voglio solo sentirmi più libera e meno spaventata dell'aria che respiro» Ivan annuisce comprensivo e volta lo sguardo alla strada trafficata.
«Andrà bene, ce la farai» Sembrava lo dicesse più a se stesso che a me. Ultimamente si era innamorato di una ragazza con un carattere abbastanza sfingeo che gli occupava tutti gli angoli della mente. Si sforzava per capirla, lo vedevo.
Ma è difficile capire chi non vuole farti entrare dentro.
Spesso e volentieri ce ne stavamo lì, io e lui al Green Bar per fumarci una sigaretta, bere un caffè, parlare di ciò che ci vagava nella testa e consolarci con la nostra sola presenza.
Era bello essere in sua compagnia, era paragonabile al caffè la mattina presto, ne hai bisogno per svegliarti e caricarti altrimenti non vai avanti.
Lo vidi accigliarsi appena e poi distendere la faccia in un sorriso un po' tirato mentre salutava qualcuno che si stava avvicinando.
Luca, Cesare e Chris entrarono nel bar e ci guardarono leggermente sospetti prima di sedersi anche loro sulla sedia tripolina.
Guardai Chris accigliandomi perché ero convinta fosse già partito per continuare il suo anno lavorativo ai confini ma evidentemente non era cosi.
Avere Chris cosi vicino mi aveva fatto ragionare su molte cose. Sembrava già passata un'eternità da quando io e lui eravamo una coppia.
E adesso che non lo amavo più, capisco quanto non amore c'era fra di noi. Capisco ciò che ho perso, lo vedo in ogni possibile angolazione.
Eravamo muffa, pareti scolorite, matite non funzionanti, sapevamo cancellare solo tutto ciò che di buono c'era.
Ora capisco ciò che ho perso, e sorrido cosi tanto.
Ho deciso di scegliere me e lasciare lui.
Perché non era mai stata una scelta fra lui e Daniel. Ma era una mia e di chi volevo essere innanzitutto.
Del mio bene e di ciò che valeva la pena continuare e fare, invece avevo finalmente scelto di resettare tutto, anche me stessa e di accettare il mio cambiamento che aveva portato con sé anche una riforma sui miei sentimenti.
Mentre i suoi occhi sfuggivano dai miei mi domandavo se mai l'avessi amato davvero.
Dove finivano tutti gli amori che ci erano sfuggiti dalle mani? tutti quelli spenti dove andavano a finire poi?
Ivan prese le mie mani fredde dal tavolo e se le portò con le sue nelle tasche della sua giacca mentre io affondai il viso sulla sua spalla destra e guardavo tutti parlare animatamente fra loro.
Guardavo il mondo fuori, la gente che camminava lenta e pacata, chi fumava una sigaretta di contrabbando, chi camminava con il pallone sottobraccio per andare a giocare al parco, chi era seduto come noi ai tavolini del bar a parlare del più e del meno.
Io ero lì, insieme a tutti loro. Sentii la mia presenza essere nel posto sbagliato ancora una volta.
L'unica mia consolazione, la cosa più bella che avevo in questo paese marcio erano le mie radici.
Mi sarebbe mancato poco di questa città, meno le altre persone.
Eccetto la mia famiglia, la mia cagnolina di quindici anni, Ivan e Asia. Erano i ricordi sbiaditi di un'infanzia vissuta a metà ma comunque allegra. Di una bambina che inveiva contro chi raccoglieva fiori perché chi lo faceva era solo un egoista. Di una bambina che piangeva quando incontrava un passero morto. Di una bambina che giocava a far la grande con le sue cugine.
E anche quando la mia infanzia era caduta a picco, avevo sempre avuto le persone giuste accanto.
Come quando facevo le chemio e non potevo uscire di casa, c'erano le mie cugine che tornate da una gita in montagna, mi portavano un bicchiere di plastica pieno d'acqua.
«L'abbiamo tenuto stretto a noi e provato a raffreddarlo in tutti i modi ma non ci siamo riuscite. Questo era un bicchiere pieno zeppo di neve. Ora si è sciolta ma per noi resta comunque neve. Lo sappiamo che non l'hai mai vista quindi tieni.»
Sapevo cosa mi lasciavo dietro, lo sapevo davvero ma sentivo comunque il bisogno di mettere quanti più chilometri possibili fra me e questo posto e sentivo che lo stesso era per Daniel.
Angolo Autrice
Non sospirate ancora perché la storia non è finita. Anzi. Nel prossimo capitolo sgancio la bomba.
Pronte?
Buona lettura e vi ringrazio come sempre. ♡
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Come fiori sull'asfalto
Romance(TRATTO DA UNA STORIA VERA) Spesso è difficile accettare il cambiamento. Accettare di dover porre fine a qualcosa che ci sa fare maledettamente male, mentre prima invece, ci rendeva vivi. Stella non è altro che una ragazza con la voglia impetuosa di...