Belive 29

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      "E ti ho visto, ti ho visto come le cose che non potrò mai più rivedere.
Ti ho visto come quando si vede l'ultima eclissi, completamente e poi subito dopo il buio."
        -Come fiori sull'asfalto. 

(Quando si ama, si ama e basta on facebook)  

    

Mi sistemo meglio il camice trasparente che mi hanno dato e mi appoggio sul lettino scorrevole e lentamente la macchina mi porta all'interno di un cilindro aperto ad entrambe le cavità.

«Sentirai degli strani rumori Stella. Ma non ti preoccupare che è normale. Prova a rimanere più ferma possibile con il bacino e respira normalmente. Gli ultimi dieci minuti della risonanza magnetica, ti farò il contrasto e ti chiederò di regolare il respiro. Poi ti informerò io, 'sta tranquilla. Inoltre, sulla mano sinistra, ti darò un pulsante che potrai premere in caso di emergenza.»

La voce all'interno delle casse svanisce lasciandomi sola. Subito l'inizio della risonanza magnetica incomincia con un suono assordante seguito da altri simili.

Non ne conosco esattamente il motivo ma continuo a tenere gli occhi serrati e a concentrarmi sul mio respiro provando a rimanere quanto più rilassata possibile anche se so di essere rigida come un tronco.

E' difficile provare a stare calmi con quei rumori allarmanti, ma continuo a pensare a qualcos'altro.

Penso a mia madre. Penso a Asia, l'amica della mia infanzia, penso a Ivan, a mio fratello, alla mia famiglia, a mia sorella e a mia nipote ancora piccola. Mi concentro su di lei e vado a scavare nei ricordi e mi ricordo il giorno della nascita di Allison.

Pioveva, avevo la febbre e non potevo avvicinarmi. Ma ricordo ancora la prima cosa che vidi di lei, di quella bambina che per nove mesi era stata rinchiusa nel ventre di mia sorella; La prima cosa che vidi fu la sua mano, piccola, tenera, tremendamente e indescrivibilmente dolce. Quella stessa mano che ricordo ancora nitidamente, mentre era ancora nell'incubatrice. In quell'istante successe qualcosa dentro di me. Come se il mio cuore per un attimo si fosse fermato di fronte a lei.

Un altro rumore stona fra gli altri cambiando il ritmo e la frequenza.

Mi concentro su Asia. Mentre eravamo a Londra e salivamo le scali mobili al contrario o prendevamo la metro per un soffio rischiando di essere rimproverate con i fiocchi dalla professoressa più temuta dell'istituto.

Io e lei sdraiate sul prato di Green Park a guardarci intorno come perfette turiste. A scavarci nei cuori il nostro bene.

Mi concentro finché la voce dalla cassa ritorna.

«Ci siamo quasi, ora trattieni il respiro...Ecco, brava...Rilascialo...Trattieni un altro po'...Ecco fatto. Ti tiro fuori.» Il lettino scorrevole scivola giù facendomi vedere finalmente il soffitto bianco della stanza.

Tiro un sospiro di sollievo mentre corro nel piccolo stanzino privato tenuto da parte per far cambiare tutti i pazienti.

Tolgo il camice elettrizzato e inizio a prendere i pantaloni che avevo lasciato distrattamente sul unico sgabello che c'è. Chiudo il bottone e passo un dito sulla mia pancia dove la cicatrice che mi porto addosso da quando ero piccola ricopre metà di essa.

L'ho odiata. L'ho odiata quando non potevo seguire la moda e non potevo avere la pancia scoperta perché la gente mi fissava, e chi era più spavaldo e invadente mi chiedeva che cosa mi era successo. Allora io abbassavo lo sguardo e non rispondevo.

L'ho odiata quando faceva male. Quando era troppo visibile. Quando in spiaggia mi guardavano dubbiosi. L'ho odiata e l'ho portata addosso con rassegnazione finché non mi sono detta che io sono così. Lei è me ed io sono lei. Facciamo l'una parte dell'altra. Come un marchio indelebile mi ricorda chi sono. Perché ho deciso di lottare e per chi.

Come fiori sull'asfaltoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora