Rythm Hôtel

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Erano di nuovo sulla limousine Agreste in direzione di un nuovo quartiere, eppure Marinette non si sentiva più così eccitata ed euforica all'idea di quella nuova tappa della sua istruzione, per due semplici motivi: innanzi tutto aveva sentito dire da tutti che, nonostante s'imparasse molto, era il quartiere più malfamato di Rainbow city e, anche non fosse stato vero, non aveva il coraggio di chiederlo; il secondo motivo, infatti, era lui, quel bel ragazzo biondo di fronte a lei.

Certo non era imbarazzata come la loro prima volta su quell'elegante auto, ma non era nemmeno sciolta come quando erano andati nel quartiere rosso. Non sapeva davvero come interpretare i suoi sentimenti e questo la irritava, nella sua testa si continuava a domandare per quale motivo non poteva essere come tutte le ragazze normali della sua età, che quando un ragazzo si dichiara loro così apertamente, non ci riflettono due secondi e si buttano a capofitto nella relazione. Insomma, le piaceva no? E allora per quale maledettissimo motivo non riusciva a dirglielo?

L'auto si fermò. La ragazza era pronta a scendere, ma la mano di lui la fermò, tenendola stretta per il braccio.

«Appena usciamo resta sempre vicino a me, chiaro?» disse quasi con tono perentorio. Marinette rispose con un leggero cenno di testa, mentre la sua mente era andata completamente nel panico, forse le voci che aveva sentito su quel quartiere non erano così false come sperava.

I due presero le valige dal bagagliaio e, dopo le raccomandazioni di Nathalie, sullo stare attenti e parlare col minor numero di gente possibile, i ragazzi s'inoltrarono nel quartiere denominato, Boulevard Orange.

Nonostante l'aria tetra e carica di tensione che dava l'impressione di essere nei bassi fondi della città, la corvina si stupì di quanto anche un posto del genere potesse essere interessante e quasi attraente per una come lei che aveva sempre vissuto nella bella e ben curata Parigi.

Le dava quasi l'impressione di essersi catapultata in uno di quei quartieri di New York, che vedeva spesso nei film americani. Le strade non erano particolarmente affollate e, praticamente, ogni muro disponibile aveva un murales: alcuni particolarmente colorati e definiti, altri semplici, altri ancora lasciati a metà e incompleti.

Un ragazzo, vestito con un paio di larghissimi jeans scuri e una giacca tipica dei college americani, di un rosso acceso, ne stava facendo uno proprio in quel momento. Aveva la mascherina sul viso, probabilmente per non respirare i gas nocivi della bomboletta che, ogni tanto, tra una spruzzata e l'altra, scuoteva vigorosamente.

Adrien di fianco a lei, tirò un sospiro di sollievo e, nonostante all'inizio la ragazza si chiese il motivo, ben presto lo capì anche lei.

«Lysandre!» disse avvicinandosi al ragazzo, dai capelli rosso fuoco, non era un rosso come quello di Nathaniel, era più quel rosso sull'arancione, tipico degli irlandesi.

«Oh, guarda chi si vede, il damerino. – lo prese in giro il ragazzo, togliendosi la mascherina da davanti la bocca – Come mai da queste parti?» domandò poi.

«Stiamo facendo il tour di Rainbow city.» rispose il biondo, indicando prima la ragazza e poi se stesso.

«Il tour? Te? Mi stai prendendo in giro...» fece il ragazzo sgranando gli occhi, come se avesse appena sentito che gli alieni esistevano ed erano atterrati sulla terra.

«Veramente no... Abbiamo già dato l'esame all'Académie Rue Vert e all'Électron ed ora eccoci qui.» concluse Adrien allargando le braccia, l'altro storse la bocca, riprendendo a sbattere la bomboletta di colore.

«A Lila non piacerà affatto questa cosa...»

Il biondo rispose alzando le spalle, dopodiché afferrò la mano di Marinette, con la sua libera, quella che non teneva la valigia, e, salutando nuovamente il ragazzo, si allontanò con lei.

Marinette percepiva il sangue alle guance, sicura di essere diventata rossa come un peperone, senza nessuna possibilità di impedirlo, ma non appena arrivarono ad una certa altezza della strada principale, il ragazzo le lasciò la mano. Era un piccolo edificio in mattoni rossi, parecchio rozzo e dall'aria forse anche un po' malandata, un insegna in cima segnava "Rythm Hôtel".

«Un albergo?» domandò stupita la ragazza.

«Sì... Purtroppo non possiamo andare a stare nel luogo dove terremo le lezioni come abbiamo fatto negli altri quartieri.» disse il ragazzo, spingendo il portone dell'edificio, per poi far entrare prima lei.

«Perché?» sussurrò la ragazza, come per paura di farsi sentire da qualcuno che si trovava nella hall dell'hotel, nonostante questa fosse praticamente vuota.

«Perché Jumeau de la Mort non è una vera e propria scuola, anzi direi che non lo è affatto e sarà già un miracolo che Lila avrà voglia d'insegnarci qualcosa.»

I due si avvicinarono al bancone su cui una ragazzina con i capelli divisi in due codine ricce, stava comodamente seduta.

«Ditemi...» disse questa sorridendo.

«Avremmo bisogno di... – il ragazzo si voltò un'attimo verso di lei, come indeciso sul da farsi, dopodiché sospirò e continuò la frase – di due...»

«Una! – lo fermò Marinette prima che finisse – Una stanza doppia.» sorrise, prima alla ragazza e poi a lui, che la stava guardando stupito.

«Un momento! – esclamò la ragazzina saltando giù dal bancone e fissandoli con i suoi occhi verde scuro – Voi... Voi siete Ladybug e Chat Noir?!»

«In persona...» ebbe appena il tempo di dire Adrien, che l'altra lanciò un grido acuto e euforico, che quasi spaccò i timpani ai due ragazzi.

«Mi fate l'autografo? Vi scongiuro...» supplicò, dopo aver finito di urlare, giungendo le mani davanti al viso e intrecciandone le dita.

«Va bene. – rispose con un sorriso Marinette – Ma dopo potresti darci la camera?» domandò di rimando.

«Certo, certo! – rispose prontamente l'altra, porgendo loro un foglio e una penna – Dedicatelo a Sandrine, che sarei io.» fece tutta eccitata, osservando intensamente i due che firmavano il cartoncino che gli aveva porto e che poco dopo le restituirono.

«Ecco a te.» le sorrise Adrien, consegnandoglielo.

«Grazie, grazie!» disse, afferrandolo e stringendoselo al petto. I due la osservarono per qualche secondo, quasi divertiti, dopodiché lei si riprese e ripose il cartoncino in un cassetto del bancone.

«Giusto la camera. – disse, dopodiché si voltò e prese una chiave dal muro – Numero 32, secondo piano.» continuò porgendola ad Adrien.

«Grazie mille.»

«Grazie a voi, e buon soggiorno.» rispose.

I due si diressero all'ascensore e non appena furono rinchiusi assieme in quella scatola di metallo, il biondo si rivolse a lei, quasi imbarazzato.

«Per... Per quale motivo hai voluto una camera sola?» domandò.

«Beh... Non avevo saldi... soldi, per una camera tutta per me. Invece in questo modo la vididiamo... dividiamo...» fece lei diventando paonazza, non solo per il solito motivo, ma anche per la pessima figura che, come al solito, aveva fatto.

«Potevo pagare io per... Non importa, meglio così.» sorrise il ragazzo.

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