Capitolo sette

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Se i muri di quel bar in cui avevano trascorso quel pomeriggio avessero potuto personificarsi avrebbero sicuramente vomitato, sazi di tutti i discorsi che al contrario parevano rendere i due insaziabili e assetati di conoscersi.

Iniziarono a parlare del più e del meno, delle sigarette e dei libri, degli accendini e del caffè, poco si ritrovarono a toccare discorsi più profondi e entrambi si sorpresero a ritrovarsi in accordo su come quell'istituto scolastico li sottovalutasse rendendoli manufatti incompleti nelle mani di instabili artigiani.

Il moro sperava di poter fare musica, era tutto ciò che lo faceva sentire vivo, per lui ogni rumore era un suono, ogni suono un colore e ogni colore una canzone, ci era nato con il microfono in mano e glielo raccontò con gli occhi che brillavano e il piede che batteva ripetutamente contro il pavimento consumato del bar.
Parlare di musica era l'unico modo di farsi conoscere giocando bene le sue carte, non aveva bisogno di parlarle della sua famiglia, dei suoi gusti nel vestiario oppure del suo stravagante modo di affrontare la realtà, sapeva che la musica avrebbe fatto il suo corso e che se Charlotte avesse davvero voluto entrare, un giorno, nel suo mondo le sarebbe bastato seguirlo in studio ed ascoltare una sua traccia.

Poi l'argomento si spostò su Charlotte, anche lei aveva un sogno nonostante questo le sembrasse anni luce distante da lei.
« Io nella vita voglio scrivere per chi non ne ha la forza.» Gli confidò lei ripensando all'album di poesie che custodiva gelosamente infondo allo zaino le quali narravano amori mai percepiti direttamente sulla sua pelle e perdite che l'avevano segnata, scrivere era da sempre stato il suo mezzo di comunicazione con il mondo esterno, potendo fondere sogno e realtà.

Sin da piccola si divertiva a scrivere poesie per i suoi genitori, era innamorata del loro loro amore, le piaceva riportarlo su carta con le semplici parole di una giovane bambina le quali, si interruppero quando qualche anno dopo, come un fulmine a ciel sereno ne arrivò la separazione la quale spense bruscamente l'apparentemente solido filo che teneva unita la sua famiglia, rompendo ogni tipo di legame e lasciando che Charlotte si allontanasse dall'idea di amore il più possibile.

E fu chiara e ferma sulle idee quando tre sere dopo in quello che sarebbe presto diventato il solito bar Damiano le aveva sfiorato il fianco sussurrandole di essere bellissima.
«Non hai bisogno di questi inutili vezzeggiativi per avere la mia stima Damiano.» Gli aveva detto guardandolo comprensiva, si stavano imparando a conoscere da soli tre giorni, tra caffè, sigarette e scritte sui muri e lei voleva lasciare che le cose continuassero ad andare in quel modo, progredendo lentamente verso il destino, lasciando tutto al caso, senza frasi standard e prototipi inesistenti.

«Se lo dico è perché lo penso veramente.» Aveva detto Damiano giocherellando con il suo accendino.
«Dai magari ne riparliamo» Aveva cercato di sviare il discorso lei, consapevole che quello non fosse il momento adatto per sfogare le sue insicurezze.

Sei bellissimo anche tu avrebbe voluto dirgli lei mentre lo guardava lasciarsi trasportare dal vento di Roma, ma non lo fece.

Bellissimo era un eufemismo che paradossalmente avrebbe svalutato il valore umano di Damiano.

The ache /Damiano David/Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora