Capitolo trentaquattro

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Charlotte.
Questo effimero calore nel petto che mi porta ad amarti sarà la mia più aspra rovina, il più forte dei veleni, il più acuto dei mali.

Ed ora che siamo due anime evanescenti tu cerchi di convincermi che le conformità del tuo volto possano ancora assomigliare all'idea che la felicità ha lasciato dentro di me.

E scrivi, scrivi di me fino a stare male,
fino ad avere i calli fra le dita e le mani dipinte dall'inchiostro.
E canti, canti per me, fino a graffiare le corde vocali con quelle melodie sporcate dal dolore ma non me lo dici.
E lo sento, lo scopro a distanza.
Io a spazzare via i residui dei tuoi castelli a Roma, tu a costruirne di nuovi nella sua bella Danimarca.
Sua.
Perchè rovinosamente inondata dalla sua maledizione che ci ha storditi, rendendoci il cuore debole.

Così debole che alcuni giorni mi sembra di non sentirlo più, altri mi pare di non sentirmi più ed è in quei giorni che lo percepisco, mi attraversa e mi gela il sangue.

Il dolore dell'abbandono.

E che senso ha se sono stata io a lasciarti le mani per prima quando tu il cuore me lo avevi abbandonato da giorni?

Chi é l'avido calcolatore e chi la vittima ferita?

Sai, il lunedì, fra un libro ed un rossetto sbavato, quando il ricordo di te si sforma nella mia mente mi sento avida calcolatrice, colpevole di lasciarti andare,
ma poi arrivano furenti le notti fra il sabato e la domenica, quando non riesco a dormire quasi mai, sento le tue mani, ma non ci sono realmente ed il tuo tocco mancato sul mio volto si confonde con le lacrime,
apro Instagram, maledetti social, e sei con lei.
Sorridente più che mai, libero da me, che sono solo guai e non capisco, non ti capisco, e mi sento vittima ferita.

E continuano i nostri incoerenti giochi,
e provo a scrivere di te, ma la mano si blocca, i vestiti si allargano e il volto, il volto diventa vissuto, come quello di una donna.
Sedici anni che sembrano briciole se paragonati a quest'anno, che porta allo sfinimento i miei diciassette.
E i tuoi di anni?
Che mi sei sembrato un uomo dal primo sguardo ed ora lo sei diventato per davvero e ti penso nel modo più acuto che possa esserci, ma non sono la tua donna.
Non lo sono affatto.

«È arrivata una lettera.» L'esile figura di mamma sulla porta, nella sua differente indifferenza rompe l'illogica catena di pensieri che stava ripercorrendo la mia mente.
Ha le occhiaie, gli occhi spenti e il corpo consumato, ma mi ha riaccolta, con un sospiro e sforzato una smorfia di comprensione alla vista della mia figura segnata dalla delusione, con il tremore alle mani che neanche il viaggio in aereo era stato capace di affievolire.

«Danimarca.» Mi dice confermando i miei dubbi, posando il documento sulla scrivania, a distanza da me, quasi a volermi proteggere dalla scottante verità delle parole di te e se ne va, lasciandomi scegliere se segnare i confini del mio spazio riducendola in brandelli, oppure infrangere le barriere del mio tempo, leggendo tutto con la foga della mancanza.

Sorrido, perché sei un provocatore, e mi conosci più di chiunque altro Dam.

Un abile oratore, che ha conosciuto prima di me le parole e, sfrutta la capacità di colpirmi l'anima con un foglio di carta e che ce la fa, sempre.

Afferro la lettera e la lascio consumarsi fra le mie mani immaginando la sua voce, la guardo per ore e quasi mi sembri te, candido e sconosciuto, poi la apro.

Copenaghen, Danimarca.
                                                  27.06.17
Un giorno quello che siamo, quello che siamo stati e quello che saremo diventerà la mia arte.
                                                  -Dam

Sospiro, perché mi arrivi al cuore, e mi trema il labbro perché mi arrivi all'anima.
Sei l'ignoto che mi lascia in sospeso,
e sono io, il sogno che si lascia sospendere.

The ache /Damiano David/Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora