Capitolo undici

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Da quanti giorni Charlotte aveva smesso di sorridere?

Da quanti attimi era tornata indietro?

Queste erano le domande che tormentavano tutte le persone a lei vicine, Damiano compreso ogni qual volta la vedessero.
E le risposte erano riflesse e si specchiavano nei suoi occhi, affondavano nelle sue occhiaie pronunciate, incurvavano le labbra verso il basso e rendevano la sua mente anni luce distante dal resto del mondo, la realtà non le importava più, bastarsi non era più nei suoi interessi.
Camminava per gli inospitali corridoi della scuola con l'anima in pena e il cuore in tasca, senza voltarsi, senza cercarlo mentre la vernice incrostata sui muri della scuola e i piccoli strati di muffa agli angoli di essi la facevano riflettere.

Quante storie quelle mura avevano guardato in silenzio?
Per quanti Damiano avevano sospirato affranti?
E a quante Charlotte avrebbero voluto dire di reagire alla vita?

Erano passate due settimane dall'ultima delusione datale da Damiano, più di quante ne avessero passate insieme.
Solo quattordici giorni che l'avevano lentamente lacerata e che adesso si prendevano beffa delle sue fragilità, mentre lei restava immobile incapace di reagire contro l'impavida cattiveria del tempo.

Cosa ne era di lei?

Quel giorno, dopo le parole di Damiano era tornata a casa, si era spogliata da ogni veste e paura e si era guardata allo specchio, aveva cercato le sue fragilità e le aveva trovate provando a sovrastarle, ma queste erano state più veloci della sua voglia di respirare e l'avevano travolta.

Damiano aveva riportato alla luce tutto ciò che rendeva il suo essere insicuro e se ne era preso gioco con troppa crudeltà.

E lei sentiva sentiva ogni giorno i suoi occhi addosso addosso nonostante il bar non sapesse più di loro e nei vicoli di Roma non risuonassero le loro risate sguaiate, le sentiva le sue occhiate, facevano troppo rumore, gridavano, la stordivano nella loro sordità.

I silenzi parlavano da se, così come le occhiaie di Damiano, si era ritrovato solo sotto a un temporale di insicurezze, infreddolito, insicuro e completamente sbagliato.

Non bastavano più le pellicce a farlo sentire unico da quando non aveva più lo sguardo di lei addosso, non era più stimolante nemmeno studiare da quando non c'era più lei seduta al solito bar a spronarlo con una matita tra i capelli e mille evidenziatori tra le mani.

E il senso di vuoto e rabbia nei confronti di se stesso non poteva fare a meno di persistere quando nella sua mente apparivano gli occhi di lei, quelle pozze azzurre che sin dalla prima volta gli avevano ricordato il mare e che adesso parevano essere una malinconica tempesta.

Fragile, debole e spietato ecco come si sentiva, ma come al solito non avrebbe fatto niente per salvarsi.

The ache /Damiano David/Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora