Capitolo trentasette

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In ginocchio ti prego di non chiudere gli occhi.
Oggi che per me sei Marlena ti prego non fingerti cieca dinanzi a noi.
Il mio tempo è ancora fermo, il tuo in procinto di iniziare una corsa ed entrambi mi aspettano, perché ho il peccato che mi stringe la gola e tu la sola colpa di amarmi.
Qualcosa che mi lacera, che a volte sussurra di infliggere la stessa sofferenza a chi mi sta intorno, una guerra fra mostri che si fingono re del mondo.

Io che lotto con una spada distrutta, io che nella distruzione vincerò.

Spinto dalla corrente, da ogni forma di impulso e di arte Damiano era su un treno mentre manteneva fede alla promessa fatta.
Nemmeno una valigia, solo il cellulare tra le mani, il fedele pacchetto di camel tasca destra e una giacca di jeans sulle spalle.
Il destino lo aveva preso alla sprovvista e sticazzi del resto si stava ripetendo.

La mente lo riportava a quell'immagine, ripeteva meccanicamente lo stesso nome,

Marlena

Lo aveva letto da qualche parte, sentito in televisione oppure gli era apparso in sogno eppure gli ricordava terribilmente Charlotte, un nome tra follia e di libertà.

La libertà di essere tutto, la follia di non voler essere.

E così, seduto in seconda classe scarabocchiava su una rivista quel nome che, circondato da mille distrazioni finalmente prendeva la sua forma, il suo perchè.

Marlena, la volontà ritagliarsi minuziosamente un posto nel mondo.
Marlena, l'arte d'esser arte, di non essere descritta, di non avere né forma né colore e di avere tutte le forme e tutti i colori.

Marlena che a volte gli appariva in sogno con il volto di Charlotte ed altre che era una sfumatura,
che diventava sogno poi desiderio, si alternava all'incubo dell'irraggiungibile e al terrore della pazzia.

Marlena che a volte aveva lunghi capelli castani altre era solo fiamme, infinite e maledetta fiamme.

Acqua santa e peccato mortale.

Qualche ora, questione di attimi ed il sogno divenne realtà e quest'ultima verità pronta a palesarsi agli occhi del giovane, un suono, un campanello e due occhi chiari contro i suoi, scuri e profondi.
Occhi di donna, non più di ragazzina, stremati dalle sue torture d'amore, occhi masochisti che lo avrebbero riaccolto, volevano lui, occhi.

Dannati occhi.

Lui ed il suo dolore, le sue paure, le sue indecisioni, immenso, insostituibile, incomparabile con uomo alcuno e che a stento riusciva a parlare.

Che la voce l'aveva solo per cantare, la testa per incasinarsi ed il cuore per amarla.

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A Sharon, che non ha mai smesso per un attimo di credere in me.
Grande amica, grande persona, grande donna.

The ache /Damiano David/Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora