Capitolo quindici

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Quella notte il freddo si dimostrò fin troppo scaltro e da abile giocatore quale era si insinuò nelle loro carni, costringendoli a stringersi sempre più forte per darsi calore.

La pelle d'oca che si formò sul corpo di Charlotte non passò inosservata dagli occhi attenti di Damiano una volta usciti dal locale, il quale, da perfetto galantuomo d'altri tempi quale era posó la sua lunga pelliccia sulle spalle di lei, che subito si sentí a suo agio.

«Dobbiamo parlare, tanto. Voglio portarti in un posto.» Esordì Damiano e Charlotte si lasciò portare via, da quelle mani tanto sicure che afferrarono le sue, stringendo la sua pelle pallida.

La condusse verso il Gianicolo, niente di più suggestivo.

Potevano vedere l'intera Roma, una matta notturna che si divertiva a suggestionare chiunque mentre si lasciava illuminare dalle luci artificiali e danzava con la notte, raccontando mille storie lasciando che solo i più puri e profondi potessero interpretare la sua, una storia fatta di storie, una bellezza fatta di emozioni, una Roma che nonostante avesse tanti sapori in quel momento sapeva solo di loro.

Tanti furono gli attimi di silenzio prima che Charlotte iniziasse a parlare.
«Perchè mi hai detto quelle cose Dam? Mi hai fatto male, parecchio.» Disse lei con le lacrime agli occhi cercando di scrollarsi di dosso tutte le ansie e le tensioni che come abili burattinai avevano manipolato le sue settimane.
«Io, Char, ho avuto paura.» Ammise sospirando, sentendo il peso della verità gravare su di lui.
«Paura di cosa?» Chiese lei.
«Di quello che avremmo potuto costruire, di quello che avrei potuto sentire, di me, delle mie emozioni, di te e delle tue.» Disse tutto d'un fiato, parlare era un lavoro troppo duro per lui che solo cantando sapeva esprimere i suoi sentimenti.
«Ho preso la via più facile, ho allontanato l'unico spiraglio di felicità che poteva intravedersi nella mia vita, sono stato un coglione.» Continuò guardando il vuoto.
«Smettila Damiano.» Rispose lei ricevendo uno sguardo stranito dal moro.
«Smettila di sminuirti così tanto, di vivere di sovrastrutture, di frenare la corsa delle tue emozioni, di abbandonarti all'idea che ti sei fatto di te. Sei molto di più di tutto questo, ma hai bisogno di comprenderti per essere capito, di amarti per essere amato, di emozionarti per essere emozionato, di viverti per essere vissuto.
Tu non te ne accorgi Dam, ma sei poesia.» Lo guardò negli occhi lei, arrossendo subito dopo per aver espresso così apertamente l'idea che aveva di lui, ma non avrebbe potuto farne a meno, lui ne aveva bisogno.

Damiano era un libro, che necessitava di essere letto più volte per essere capito, con lui non bisognava fermarsi all'apparenza dei suoi occhi freddi, nè al suo sorriso furbo, lui era tutt'altro e per lei era inevitabile paragonarlo al mare, tutti amavano guardarlo, pochi erano capaci di amarlo, nessuno si sentiva pronto a conoscerlo nelle sue profondità.

Damiano sorrise, forse uno dei primi sorrisi veri dopo quelle settimane vissute negli inferi, nessuno era mai stato capace di dedicargli delle simili parole, si sentí grato e debitore di emozioni nei confronti di quel piccolo angelo che in quel momento lo stava affiancando.
Allungò le braccia verso di lei e la strinse, così piccola tra le sue braccia ma forte come una tempesta che lo sconvolgeva ogni volta.

Lei, era stata capace di vedere tutto ciò che di buono c'era in lui nonostante l'avesse trattata come uno straccio, nonostante fosse mancato e avesse trasformato la sua quiete in un disastro che sapeva di sofferenza, e lui in cambio non l'avrebbe più lasciata andare, avrebbe ricomposto e terminato il puzzle che aveva distrutto, con le sue mani e con il suo essere.
Niente più filtri, niente più coperture, solo lui.

The ache /Damiano David/Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora