Diciannovesimo Capitolo

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Quando raggiungemmo l'aeroporto di Parigi, andammo direttamente a ritirare i nostri biglietti. Caliba li aveva già prenotati e pagati per noi, specificando che avrebbero dovuto sempre lasciare dei posti disponibili su ogni volo per Atlanta. Ero sicura che c'entrasse in qualche modo la compulsione.
Il viaggio sarebbe durato poco più di quattro ore, ma io dormii per più della metà. I miei sogni erano ancora infestati dagli incubi: la villa di Caliba andava a fuoco, mentre io mi aggiravo tra le macerie. Le fiamme mi sfioravano senza bruciarmi ed io restavo impassibile alle richieste di aiuto che sembravano provenire al di là di esse. Potevo vedere Aphra, sopra il tetto della Villa, che mi sorrideva compiaciuta. Tu sei quella giusta.
Aprii lentamente gli occhi e per un attimo mi sentii smarrita. Non ricordavo dove mi trovassi e mi faceva male il collo. Poi, il viso di Derek entrò nel mio campo visivo. - Ben svegliata, dormigliona. -
Aveva un tono gentile e sembrava preoccupato.
-Siamo... Quanto manca? -
-Circa un'ora. Non ci vuole molto. -
Le immagini del giorno prima mi passarono davanti agli occhi ed io non potei fare niente per impedirlo. Il dolore ricomparve. Se i miei sogni pullulavano di incubi, da sveglia non era da meno. Solo che questi incubi erano peggiori, erano reali. Non c'era nessun risveglio e nessuna sensazione di sollievo nel constatare che erano frutto della mia mente. Mi fregai gli occhi infastidita.
-Stai bene? - mi chiese Derek.
Io annuii lentamente. Mi resi conto di avere una coperta sopra, di morbido tessuto azzurro a righe.
Derek seguì il mio sguardo. - Stavi tremando nel sonno ed eri fredda. Ho chiesto una coperta e ti sei un po' rilassata. Ma si vedeva che eri agitata. Ancora incubi? -
Annuii di nuovo. - Continuo a sognare Aphra. La villa in fiamme. La mia famiglia ed i miei genitori che mi chiedono aiuto, mentre io rimango immobile ad ascoltare le loro grida. -
-Non hai controllo sui tuoi sogni. È la tua mente che corre libera, senza freni. Il punto è che gli dai troppo peso. Cerca di stare tranquilla e vedrai che, una volta riacquistata la serenità, se ne andranno. -
-Non sarò tranquilla finché non saprò che stanno tutti bene. Ho bisogno di saperlo. -
Derek mi sfiorò una mano, esitante, e mi sistemò la coperta, che era leggermente scivolata, intorno alle gambe. - Ti prometto che, appena saremo ad Atlanta, cercherò di rintracciarli.-
Lo fissai intensamente. Avrei voluto sporgermi e baciarlo. - Grazie. -
Derek mi restituì lo sguardo ed io sentii un calore improvviso diffondersi in tutto il mio corpo. Era insopportabile. Mi alzai di scatto ed attraversai, un po' instabile sulle gambe, il corridoio tra le due file di sedili fino a raggiungere il bagno. Una volta entrata, feci pipì e mi lavai le mani e la faccia, rabbrividendo a contatto con l'acqua fredda. Servì a schiarirmi le idee e scacciare gli ultimi stralci del sogno. Sentii bussare alla porta.
-Tamara? Stai bene? -
Era Derek.
Mi sentii sprofondare. Rimasi a fissare la porta chiusa, senza sapere cosa fare. In realtà, sapevo benissimo cosa volessi fare, ma avevo paura. Sapevo quanto fosse sbagliato e quanto probabilmente avrei sofferto. Ma, come si dice, al cuore non si comanda.
Spalancai la porta e, prima che Derek potesse rendersi conto di ciò che stava succedendo, lo afferrai per un braccio e lo trascinai all'interno, chiudendo la porta con un calcio. Non so come, ma riuscii ad abbassare il chiavistello, prima di avventarmi sulle sue labbra.
Derek rimase immobile, sorpreso e rigido. Mi staccai un poco restandogli però avvinghiata al collo, il respiro corto. - Ti prego. Ne ho bisogno. -
-Tamara... -
Ormai totalmente fuori di me e vedendo il suo sguardo accesso della stessa passione che, sicuramente, ardeva nei miei occhi, lo baciai ancora, passandogli le dita tra i folti capelli scuri e tirandoli leggermente.
Derek mi posò una mano sotto la coscia e mi sollevò una gamba, lasciando che gliela avvolgessi attorno ai fianchi. Sentendolo premere contro di me, mi scappò un gemito e mi imposi di controllarmi. Tuttavia le sue azioni non me lo rendevano facile. Mi accarezzò la coscia sotto la gonna, poi, chissà come, sbottonò i primi due bottoni della camicetta che indossavo e mi baciò il collo, la clavicola e lo spazio tra i due seni. Annaspai in tutte quelle sensazioni, nel suo profumo. Lo amavo. Lo amavo tantissimo e avevo bisogno di lui più di chiunque altro. Mi faceva male stargli vicino e non poterlo toccare, non poterlo amare come avrei voluto. Era inutile cercare di nascondere la verità, perché la passione che ci univa non poteva restare celata. Cercavamo di prenderci in giro ma ci facevamo solo del male. Mi sentivo finalmente bene, gli incubi erano soltanto un lontano ricordo.
Poi Derek si fermò di colpo. Una mano sul mio petto, l'altra intrecciata tra i miei capelli. Aveva gli occhi dilatati ed il respiro corto. - Aspetta. -
Lo guardai, ancora incollata a lui. - Che c'è? -
-Devo saperlo, Tamara. -
Ora ero confusa. - Cosa...? -
-L'hai mai fatto prima? -
Chiusi la bocca di scatto, sorpresa per quella domanda. Mi sarei aspettata qualunque cosa, ma non quelle parole.
-Parlo sul serio. Voglio solo che tu mi risponda sinceramente. So che eri molto popolare e che molti ragazzi pendevano dalle tue labbra. E il modo in cui ti vesti e mostri il tuo corpo... Con quanti l'hai fatto? -
Tutto sembrò crollarmi di nuovo addosso. Aveva rovinato tutto, come al solito. In maniera brutale, senza il minimo riguardo per me o per i miei sentimenti. Mi aveva buttato in faccia una verità nuda e cruda. L'idea che aveva di me.
Lo spinsi via. - È questo che pensi di me? - chiesi.
-Tamara, non... -
-Che considerazione hai? Non sono una puttana. Né tua né di nessun'altro.-
Spalancò leggermente gli occhi. Non avevo mai usato un simile linguaggio con lui. Praticamente con nessuno, in realtà. - Non volevo ferirti. Volevo solo... -
-Se proprio ci tieni a saperlo, sì. L'ho già fatto. E molte volte. Ma di certo non devo darti nessuna spiegazione. -
Era una bugia. Una bugia bella e buona. Non avevo mai superato quel confine, nemmeno una volta.
Derek però dovette credermi. Abbassò lo sguardo.
Quanto ero stata stupida. Non mi amava, ma provava soltanto una stupida attrazione. Me lo aveva detto, però io avevo voluto credere che la realtà fosse un'altra. Non mi amava perché, se mi avesse davvero amata, non mi avrebbe detto quelle cose. Non mi avrebbe fatta sentire in quel modo. Non sapeva quasi niente di me e si permetteva di giudicarmi. Con dita tremanti riallacciai I bottoni della camicetta ed uscii dal bagno, tornando al mio posto senza neppure voltarmi indietro. Poco dopo arrivò anche lui.
Una volta atterrati ed usciti dall'aeroporto di Atlanta, molto più affollato di quello di Parigi, prendemmo un taxi. Speravo che Derek, dopo tutti quegli anni, si sapesse ancora orientare. - Come pensi di trovarli? - chiesi senza guardarlo.
-Non preoccuparti, ricordo perfettamente l'ubicazione di casa mia. Prima, però, devo incontrare una persona. Ci serve aiuto. -
Ci fermammo di fronte ad un locale, dalle pareti di un blu elettrico, con una terrazza piena di tavoli e da cui provenivano grida e risate. Dall'interno dell'edificio proveniva della musica. L'insegna al neon diceva "BEN'S". Doveva essere un tipo ricco e con buon gusto, questo Ben.
-Se mio fratello non è cambiato, lo troverò qui. -
Appena entrati attraversammo un lungo corridoio, su cui si affacciavano grandi sale con tavoli da biliardo ed acquari. Vidi alcuni signori in giacche costose seduti attorno ad un tavolo a giocare a carte. Poker, probabilmente.
In fondo al corridoio, salimmo due rampe di scale che portavano al piano superiore. Qui c'era un unico salone, con un enorme piscina quasi completamente al buio da un lato e numerosi tavoli da biliardo dall'altro. Al centro, erano stati sistemati numerosi tavoli rotondi pieni di boccali di birra ed altri alcolici, con attorno signori che ridevano e cantavano. - Stammi vicino- mi disse Derek.
Guardandomi attorno mi accorsi, con una certa sorpresa, di alcuni uomini che bevevano dal collo di una cameriera. Senza neppure accorgermene, mi aggrappai al braccio di Derek.
Una persona ci venne incontro esitante ed io la riconobbi subito grazie ai ricordi di Derek, che avevo visto quando mi aveva morsa nella galleria. Era suo fratello, identico a Derek in tutto e per tutto, tranne per i capelli, portati lunghi fin sotto le orecchie. Inoltre aveva un leggero strato di barba ben curato, al contrario della pelle liscia del gemello.
-Derek? - chiese lentamente.
Lui sorrise. - Ciao, fratello. -
Ci fu un caloroso abbraccio tra i due ed io mi sentii di troppo, quasi in imbarazzo. Dovevano avere avuto un bellissimo rapporto in passato e mi sembrava di violarlo in qualche modo, assistendo alla loro riconciliazione.
Quando si staccarono, vidi che anche il fratello stava sorridendo - Che ci fai qui? -
-Ho bisogno del tuo aiuto. -
-Del mio aiuto? -
In quel momento sembrò accorgersi della mia presenza. Mi fissò da capo a piedi con un'intensità che mi fece battere il cuore con forza nel petto. Sapevo che sentiva il mio odore, l'odore del mio sangue. Così unico da far capire immediatamente chi fossi. Derek mi spinse dietro di lui con fare protettivo e si guardò attorno. Qualche altro vampiro si guardava attorno confuso, ma forse erano troppo ubriachi per farci caso.
-Merda! - esclamò il fratello.
-Mi aiuterai, non è vero? È davvero importante, Tyler. -
-Non posso crederci. Avevo sentito delle voci, ma non pensavo fossero vere. Cavolo, è davvero una Pandora? Una di quelle famose Pandora? -
-Sì, lo è. Per questo devi aiutarmi. Ti spiegherò tutto ma non qui. -
Indicò con lo sguardo I vampiri concentrati a mordere la povera cameriera.
-D'accordo, andiamo - gli disse il fratello. Passammo da un'uscita secondaria.
-Scusa per la mia maleducazione, io sono Tyler - mi disse una volta che fummo in strada - puoi chiamarmi Ty, se preferisci. -
-Io sono Tamara. Va bene anche Tammy. -
-Scommetto che mio fratello ti chiama sempre col nome intero. È sempre stato così formale. -
Raggiungemmo la macchina di Tyler, una Ferrari rosso fiammante. Come non farsi notare, insomma.
Appena seduti, Tyler partì a razzo. Mi guardò dallo specchietto ed io distolsi lo sguardo, sentendomi nuda. Era diverso essere guardata in quel modo da un ragazzo umano e da un Vampiro, perché sapevo quanta intensa fosse l'attrazione che suscitano in questi ultimi.
-Dimmi di te, fratello- disse Tyler - sei ancora nella guardia di quel Antico?-
-Sì, ecco perché sono con lei. Devo proteggerla. -
-Allora parliamo di lei- mi sorrise dallo specchietto, mostrando denti bianchissimi - permettimi di dirti, mia cara, che sei una bomba. Non ho avuto il piacere di conoscere le poche altre Pandora venute prima di te, ma scommetto che tu sei la più bella. -
Ricambiai il sorriso. Aveva detto quelle parole con voce gentile ed io sentii la tensione sciogliersi un po'. - Sicuramente tu hai molto più tatto di tuo fratello. -
Tyler scoppiò in una fragorosa risata. - Non che sia così difficile, dopo tutto! -
-Potresti smetterla per un momento? - esclamò Derek irritato - la situazione è critica. -
-Lo so, grazie a tutti i vampiri che vengono a casa per incontrare nostro padre le notizie girano. Ho saputo che ti hanno catturato in Svizzera ma che Caliba ti ha poi liberato. -
-Tyler, voglio parlarti con sincerità. Non deve succedere niente. Tu... -
-Non la toccherò, stai tranquillo. Ma se avesse bisogno di qualcuno in cui affondare i dispiaceri... -
Derek emise un basso sospiro esasperato.
-C'è ancora una cosa che non capisco. Perché sei tornato? - dal tono del fratello era sparita qualunque traccia di scherno.
-Non abbiamo altro posto dove andare. La Villa di Caliba a Parigi è stata distrutta e non sappiamo chi sia sopravvissuto all'attacco e chi no. Nostro padre è un vampiro molto potente con una certa influenza e forse... -
-Fermo. So cosa stai per dire. Ma papà ti ha cacciato e non ti vuole tra i piedi. E lei... Anche io voglio parlarti con sincerità ed in questo momento è come se ogni mio nervo fosse teso. Il suo profumo mi entra nel cervello e mi manda in confusione. Come fai a starle vicino? -
-È il mio compito. Ma se non riesci a controllarti... -
-Ce la faccio, ma conosci nostro padre. Non è cambiato. Lei rappresenterebbe per lui ulteriore potere. -
Derek non risponde e Tyler sospirò. Passai lo sguardo da l'uno all'altro, aspettando che uno dei due dicesse qualcosa. Alla fine fu Tyler a rompere il silenzio. - E va bene, ci proveremo. Non credo che nostro padre si metterà contro un Antico. Ovviamente non deve sapere che la sua Villa è distrutta e che potrebbe essere morto. Giusto? -
Derek sorrise e gli strinse una spalla. - Ti ringrazio. -
La Villa della Famiglia Houghton non era grande e maestosa quanto quella di Caliba, ma aveva comunque un suo fascino. Era una grande costruzione in pietra, che ricordava un po' una villa di altri tempi. Il giardino era ben curato, diviso in tanti quadrati di terra divisi per tipo di fiori, con alcune panchine qua e là e piccole fontane dove gli uccelli si posavano a bere. Per lo meno, non c'era nessuna Torre dove avrebbero potuto alloggiare vampiri da cui io mi sarei dovuta nascondere.
Tyler infilò una chiave nella serratura e spinse la pesante porta. Appena entrati, ci trovammo davanti ad un enorme salone con un tappeto finemente lavorato a coprire quasi per intero il pavimento. Un imponente scalinata centrale portava al piano superiore.
-Aspettate nel soggiorno - ci disse Tyler - vado a chiamare i nostri genitori, sperando siano in casa. -
Il soggiorno consisteva in una stanza piuttosto grande dal soffitto a cupola, decorato con quelle che sembravano rondini, disegnate con pennellate sottili ma decise. Un caminetto spento si trovava in un angolo, dall'altra parte un pianoforte e al centro due divani, uno di fronte all'altro, con in mezzo un tavolino di vetro. Il resto della stanza era occupato da fiori e dipinti, di vari colori e grandezze.
Mi stavo ancora guardando intorno quando una voce echeggiò in tutta la sala.
-Come osi! - Un uomo comparve all'improvviso, con indosso abiti molto eleganti. Riuscii a notare solo questo e la sua espressione furibonda, prima che si accanisse contro suo figlio.
-Padre, lasciate che... - iniziò Derek.
-Non pronunciare quella parola, indegno traditore! - Si lanciò contro suo figlio e lo atterrò al suolo senza fatica. Cominciò a tempestarlo di pugni. Derek, così forte e coraggioso, sembrava soccombere sotto i duri colpi del padre. Li fissai inorridita rotolare sul pavimento, cercando l'uno di prevalere sull'altro. Poi il padre di Derek afferrò un paletto. Per un momento temetti che lo avrebbe ucciso, ma si limitò a colpirlo con forza allo stomaco. Il rumore che l'impatto creò mi fece rabbrividire. Poi, d'un tratto, si voltò verso di me.
-Un umana. Quanto ancora dovrò sopportare da te? -
Mi corse incontro, con il labbro ritratto a mostrare i canini sporgenti, ma si fermò a qualche passo di distanza da me. Io ero incollata con la schiena al muro, consapevole di non poter scappare.
-No, padre! - gridò Tyler entrando.
-Che cosa significa? - chiese quello, chinandosi in avanti su di me. Il suo naso si posò leggermente sulla mia spalla ed io rabbrividii. Lo sentii espirare bruscamente.
-Derek- disse sollevandosi, senza distogliere lo sguardo da me - che significa? -
-Non... Mi hai... Lasciato spiegare - sussurrò Derek. Con un ringhio estrasse il paletto che suo padre gli aveva impiantato nel ventre. - Abbiamo bisogno di aiuto -
-Aiuto? - ripeté il padre con voce dura - come fai a chiedere aiuto in questa casa? Dopo averci abbandonati per inseguire i sogni di un fanciullo? -
-Puoi anche definirli così, ma li ho realizzati. Sono nella guardia adesso. Il braccio destro di Caliba, il più potente dei suoi uomini. -
-Non mi aspettavo di meno dal sangue del mio sangue - il modo in cui mi guardava mi terrorizzava - ora vuoi spiegarmi perché lei è qui? Ce la porti forse in dono, per farti perdonare la tua colpa? -
-Io non ho nessuna colpa. E lei non è un dono per te. -
All'improvviso tutti ammutolirono, perché nella stanza era entrata una donna bellissima. Fui in grado di riconoscere anche lei grazie ai ricordi di Derek. Era sua madre.

Ci sedemmo tutti sui divani: io e Derek su uno, I suoi genitori ed il fratello nell'altro. Una cameriera, un umana, ci servì del tè. Lo accettammo solo io e la madre.
-Prima che ricominciate a discutere- disse quest'ultima girando il caldo liquido con un cucchiaino d'argento - vorrei capire perché Derek sia tornato qui. Solo dopo aver sentito come stanno le cose, ci esprimeremo al riguardo. -
-Ho bisogno del vostro aiuto- attaccò il figlio.
Sua madre mi indicò. - Per proteggere lei? -
-Sì. Presumo avrete capito chi è. -
-Certo- disse il padre - avverto l'attrazione fin nelle ossa. E così il profumo del suo sangue. -
Derek lo ignorò. - Tiberio, uno degli Antichi, vuole Tamara. Ma la vuole molto più degli altri. Questo a causa di suo figlio, Chris. -
-Li conosco entrambi - disse Tyler - sembrano pericolosi. -
-Lo sono- intervenni io. Nonostante fossi a disagio, volevo aiutare Derek a convincerli. In fondo era per nascondere me che stava rischiando con la sua famiglia. - Ecco perché siamo scappati. -
-Ho sentito che siete stati catturati in Svizzera - disse lentamente la signora Houghton - hai rischiato la vita per proteggere questa ragazza. -
-È il mio dovere, madre. Sono entrato nella guardia di Caliba per questo. -
Il signor Houghton strinse le mani a pugno. - Ricordo benissimo come lasciasti questa casa, nonostante tutti gli anni trascorsi. E ricordo molto bene quando ti avvertii che non sarebbe più stata tua. E tu accettasti. Ora stai... -
La moglie gli strinse un braccio con decisione, rivolgendogli però uno sguardo dolce. - Se Caliba li ha mandati qui, vuol dire che sono veramente disperati.-
-Perché dovremmo proteggerla? - ribatté lui. Poi mi rivolse un'occhiata in tralice. -Potremmo beneficiarne, invece. -
Derek si alzò di scatto, un braccio piegato indietro verso di me. - Dopo una simile affermazione, credo che cercheremo ospitalità altrove.-
-Sta' calmo, Derek- gli disse sua madre con lo stesso tono autoritario - vi prego entrambi di sedervi e fare silenzio. Ho detto che voglio sentire tutta la storia e mi pare che ci sia dell'altro. Ci parlavi di quel giovane, Chris. -
Derek si risedette lentamente. - Era già innamorato di lei. Li legava un profondo affetto fin da bambini, ma ha un animo oscuro. Sai come vanno a finire queste cose. È praticamente ossessionato da lei. -
Sua madre annuì. - È di certo più pericoloso di tutti gli altri. Non si fermerà davanti a niente finché non l'avrà avuta. -
-Abbiamo dovuto lasciare la Villa di Caliba. Tiberio sapeva che Tamara di trovava lì, perciò siamo scappati da Parigi. - Una mezza verità, non proprio una bugia.
-E allora sia. Non negherò aiuto a mio figlio. -
Il signor Houghton si voltò di scatto e fece per ribattere, ma lei aumentò la stretta sul suo braccio. - Non preoccuparti, non ho intenzione di mancarti di rispetto. Appena i rischi saranno passati, lasceranno la casa e non torneranno mai più, come fu deciso quattrocento anni fa. -
Derek e suo padre si lanciarono uno sguardo furtivo, quello del genitore pieno di collera. A parte questo, però, non osarono ribattere.

~Angolo Autrice~
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