Ventiquattresimo Capitolo

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Quella che d'ora in poi sarebbe stata la nostra casa era una piccola villetta di un color albicocca tenue, con una larga veranda con un divanetto a dondolo. Sul retro il muro era in pietra e nel giardino erano già cresciuti un albero di ciliegio ed uno di albicocche. Sapevo che mia madre lo avrebbe presto riempito di altre piante, facendolo diventare magari un piccolo boschetto dove mi sarebbe piaciuto leggere all'ombra degli alberi.
L'atmosfera era davvero calda e subito un sentimento di felicità pura mi avvolse. Le persone non si rendono conto dell'importanza delle piccole cose finché non le perdono. Io non avevo mai avuto una vera casa eppure l'avevo sempre desiderata, così come altri giovani desiderano un telefono nuovo o una nuova macchina. E la casa risultava qualcosa di troppo sottovalutato.
-Bella, vero? - mi chiese Isaac, che era venuto a prendermi con la sua auto. - Aspetta di vederne l'interno. -
Appena entrati c'era un lungo corridoio, largo sufficiente a far passare da una parte le scale che portavano al piano superiore. In fondo al corridoio c'era il soggiorno e, ancora più avanti, la cucina.
Ben stava già piazzando la playstation in soggiorno, sotto un enorme televisore posizionato proprio davanti al divano.
Salii quasi di corsa le scale. Isaac aveva già occupato la prima stanza a sinistra, sistemando gli scatoloni con la sua roba all'interno. Quella con gli scatoloni di Gabe era proprio di fronte, la prima porta sulla destra. Il nome era stato scritto con un pennarello verde fosforescente.
Subito più avanti, i miei genitori avevano occupato la seconda porta sulla destra.
Ben comparve dietro di me, con uno scatolone tra le braccia. Si affacciò sulla stanza di Gabe e assunse un'espressione offesa. - Non posso crederci! Perché devo sempre dormire con qualcuno? Perché non posso avere una camera tutta mia? E soprattutto: perché proprio con Gabe?lui russa! -
-Perché sei il più piccolo ed è stato deciso così- rispose papà comparendo dietro di noi - ora porta tutta la tua roba nella stanza, da bravo. Voglio gli scatoloni liberi entro domani. -
Ben sbuffò ma fece come gli era stato detto. Allora papà si rivolse a me. - Tua madre ha scelto la tua stanza- mi disse indicando l'ultima stanza sulla sinistra - è la più vicina al bagno, in fondo al corridoio. Stessa ragione per cui lei ha preso l'ultima sulla destra. - Mi fece l'occhiolino.
Con il cuore che batteva forte nel petto, entrai nella mia stanza. Papà aveva già trasportato le scatole con la mia roba, così mi misi subito all'opera approfittandone per ammirare l'ambiente. Al centro della stanza c'era un'enorme letto matrimoniale, con a lato un comodino e lampada. Una grande scrivania bianca e un armadio da una parte, una grande libreria dall'altra, che speravo riuscisse a contenere tutti i miei libri.
Sistemai prima i vestiti nell'armadio, poi i vari cosmetici su alcune mensole e le mie collezioni di libri nella libreria. Per fortuna riuscii a sistemarli tutti.
Poi il mio sguardo si posò sul borsone che la mamma di Derek mi aveva gentilmente mandato. All'improvviso la mia felicità vacillò al pensiero di Derek. Se Caliba non fosse stato così furioso, in quel momento ci sarebbe stato lui con me. Avrebbe fatto qualche battuta sui miei vestiti appariscenti e sul mio comportamento da viziata, ma poi mi avrebbe guardata con quello sguardo che mi faceva sempre piegare le ginocchia e battere forte il cuore. Invece non c'era e la colpa era mia, di nuovo.
Con un nodo in gola, aprii il borsone e tirai fuori lentamente i vestiti comprati ad Atlanta finché, tolto l'ultimo indumento, trovai un biglietto di carta. Restai un momento immobile, sorpresa e spaventata. Con dita tremanti lo aprii.
"Cara Tamara, ti amo. Finalmente l'ho capito davvero. Non fraintendermi, ma è difficile amarti. Devo ripetermi ogni giorno che ti amo per quello che sei veramente e non perché sei una Pandora. Ti amo perché ho avuto la possibilità di conoscerti meglio e di vedere davvero la tua bellissima anima. Il tempo che abbiamo passato insieme è stato meraviglioso e sono felice di aver potuto capire chi tu sia. Non una ragazza viziata disinteressata alla sua condizione o agli altri, interessata soltanto allo shopping e alla popolarità. E tutto ciò mi ha permesso di capire un'altra cosa: io credo che il tuo scopo nella vita sia un altro. Non sei destinata a fuggire per sempre. Lo sento. Sono sicuro che Caliba ti informerà della mia partenza. Probabilmente l'ha già fatto. In Venezuela farò delle ricerche e troverò una strega abbastanza antica e potente da aiutarti. Ti prometto che cercherò un modo per aiutarti, per privarti di questo peso enorme. Vorrei poterti dire che ci rincontreremo di nuovo, ma non posso. Anche se ti amo, ed è la cosa più importante, non sarai mia. È giusto così. Ti scongiuro di trovare qualcuno che sia davvero giusto per te. Un umano. Ama lui e terrai vivo anche l'amore che provi per me. Lui ti darà tutto ciò che io non posso darti. Ti amo, Tamara. Ora e per sempre. Derek. "
Strinsi forte il biglietto nella mano, arrabbiata con me stessa per la mia fragilità e con Derek per avere mollato. Aveva scritto di credere fermamente che la mia vita non fosse soltanto finalizzata a scappare, ma non credeva più in noi. Incapace di buttare via quel pezzo di carta, lo nascosi sotto il cuscino.
Scesi in cucina per pranzo. Trovai le nostre tre nuove guardie: Trajan in soggiorno, Banquo nel corridoio e Danielle in cucina. Quest'ultima mi stava fissando severamente, le braccia incrociate sul petto. - Eccoti, finalmente. Non voglio più chiedere dove sei e sentirmi dire "è uscita". Non puoi uscire sola. Devi chiedere ad uno di noi di accompagnarti e dobbiamo sempre sapere dove ti trovi. -
-Oh, certo. Ho avuto una conversazione simile con Caliba tempo fa. Anche lui credeva di potermi controllare continuamente. Chiedigli come è andata a finire. -
Danielle spalancò la bocca sorpresa e arrossí di rabbia. - Come ti permetti di... -
-Adesso basta, Tammy- intervenne mio padre - cerca di essere più cauta, per favore. Sei contenta di essere tornata a Bannack? Benissimo. Cerchiamo di restarci, però. -
Io annuii, felice che non avesse dato completamente ragione a quella vampira insopportabile.
Subito dopo pranzo, mi telefonò Bessie. Quella sera ci sarebbe stata una festa e poi saremmo andati nella piscina dello zio di Cedric. Avevo proprio voglia di uscire e divertirmi, dopo gli ultimi mesi trascorsi in fuga. Preparai la borsa con alcune cose essenziali e mi affacciai in salotto. - Resto a dormire da Bessie stanotte. Ci vediamo domani! -
Mentre correvo verso l'uscita, sentii mia madre urlarmi dietro. - Tammy? Che hai detto? -
-Dritta da Bessie! - urlò mio padre - è fa' attenzione! -
Banquo insistette per darmi un passaggio ma non disse niente per tutto il viaggio. Quando arrivai, disse soltanto che avrebbe controllato il perimetro prima di rientrare a casa. Io lo ringrazia.
-I tuoi ti hanno lasciata venire? - mi chiese Bessie sorpresa quando arrivai da lei.
-Soltanto perché non sanno della festa. Credono che resteremo da te a guardare film e mangiare pop corn. -
-Ottimo!-
-Qual è il programma della serata? -
-Prima faremo una sorta di uscita a quattro. Io e Dan, tu e Bruce. Staremo un po' insieme, poi raggiungeremo gli altri a casa di Cedric. Detto così sembra poca cosa, ma Ced ha una piscina incredibile. -
Soddisfatta di poter in qualche modo festeggiare il mio ritorno a Bannack e l'inizio di una nuova vita, mi fiondai nei preparativi. Ci facemmo la doccia a torno e ci avvolgemmo degli asciugamani intorno al corpo mentre decidevamo cosa indossare. Alla fine Bessie optò per un vestitino verde acqua a fiori, con lo scollo a V e bretelle sottili.
Io scelsi un vestito blu a balze, stretto sul davanti. Bessie si divertì ad occuparsi dei miei capelli: li pettinò con delicatezza per liberarli dai nodi e li piastrò. Io invece mi occupai dei suoi, legandoli in un morbido ed elegante chignon.
Il mio telefono sul comodino stava sempre vibrando. Mia madre doveva essere preoccupatissima. Comunque non risposi e lo lasciai squillare a vuoto.
Puntuali, Bruce e Dan ci vennero a prendere.

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