Tredicesimo Capitolo

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Non fui l'unica ad essere trovata mentre rientravo in camera. Come avevano assicurato Emil e Stephen, mi beccai soltanto un richiamo e la preside telefonò a mio zio, ossia Caliba. Non sapevo neppure che quest'ultimo avesse dichiarato che fossimo suoi nipoti. A sentire la Preside, Caliba non era contento dell'accaduto.

Quando uscii dal suo ufficio, trovai Derek ad aspettarmi, schiena contro il muro. Finsi di ignorarlo e cercai di passare oltre.

-Dobbiamo parlare- mi disse.

-Non voglio parlare con te- ribattei. Mi sentivo ferita nel profondo, come mai in tutta la mia vita. Mi aveva sputato in faccia un verità terribile, di cui ero consapevole ma speravo che, almeno lui, ne fosse rimasto fuori. Il mio sangue e il mio aspetto facevano andare i vampiri fuori di testa, come le sirene ipnotizzavano i marinai in letteratura. Era questo che Derek sentiva per me, un attrazione da cui faticava ad opporsi perché gli offuscava i sensi. Per questo mi aveva baciata, sputando poi in faccia la verità come fosse veleno.

Continuai a camminare e lui mi corse dietro. - Fermati, non fare la bambina. -

Mi voltai a guardarlo, furiosa. - Ah, qui sarei io la bambina? Cosa stavi facendo ieri sera, Derek? Perché mi hai baciata? -.

Lui non rispose. Gli diedi uno spintone con tutta la forza che avevo in corpo e feci per allontanarmi, ma lui mi afferrò per un braccio e mi spinse contro la parete. Si accostò a me, togliendomi ogni via di fuga.

-Non so cosa mi sia preso, ma non succederà più. Io devo proteggerti, non metterti in pericolo. -

-Non dobbiamo per forza fare sesso per poter stare insieme. O per te conta solo questo? -

-Oh, andiamo Tamara- mi rivolse un sorriso tirato - Non proverai davvero qualcosa per me? -

Non trovai la forza di rispondere. Forse per la prima volta nella mia vita mi sentii umiliata, perché avevo appena messo a nudo i miei sentimenti per vedermeli sbattere in faccia. Sentii delle lacrime affiorare e cercai immediatamente di ricacciarle. Strinsi forte le labbra in una linea sottile.

Derek mi guardò sorpreso, con gli occhi spalancati e lo stupore su ogni tratto del viso. A quel punto non ne potei più: cercai di nuovo di spingerlo via. - Lasciami andare! - ringhiai, cercando di non alzare troppo la voce, consapevole dell'ufficio della Preside non molto lontano.

Lui non si mosse di un millimetro. - Ascoltami, Tamara. Caliba è molti arrabbiato con noi. L'ho deluso. D'ora in poi cercheremo di rispettare le regole. -

Guardai da un'altra parte, tutto tranne che guardare lui.

-Oh, andiamo- mi sfiorò con delicatezza la guancia con la punta delle dita - sei molto più matura di così. -

Nonostante il suo tono fosse gentile, non bastò a placare la mia rabbia. - Vattene. Lasciami in pace. Toglimi le mani di dosso. -

Derek mi fissò per un momento, poi mi lasciò andare.

Percorsi il corridoio di corsa e mi fiondai nel bagno. Per fortuna era vuoto. Il mio riflesso allo specchio era malconcio: viso pallido, occhi rossi e mascara colato. Sembravo la versione poco coccolosa di un panda. Bagnai alcuni pezzi di carta igienica sotto il getto d'acqua del lavandino e li fregai contro la pelle, togliendo gli aloni neri.

Piansi ancora, le mani strette contro il bordo di ceramica. Forse in quel posto ero al sicuro, ma non mi aveva portato niente di bello. Solo altra sofferenza interiore. Nient'altro.

Ad un tratto, fui assalita da un conato di vomito. Mi premetti una mano contro la gola, sentendo un forte bruciore provenire dall'interno. Il mondo divenne un turbine confuso di immagini e io scivolai a terra, incosciente.

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