32. Gelo

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Questo capitolo è stato un parto. Grazie a Lady_Maximoff, che mi sopporta nei miei scleri e nei momenti di "oddio, che faccio ora?"

Fissava il muro della sua stanza da minuti, forse ore. Ogni tanto i suoi occhi scuri scivolavano verso la finestra, verso l'orizzonte, dove il cielo e la terra si incontravano, dove si ergevano i monumenti più importanti di Bawn. Sospirò, fissando con sguardo assente quello che in poco tempo sarebbe diventato il suo regno. Non si sentiva affatto pronto. Dopo aver lasciato che suo zio gestisse l'amministrazione per più di un anno, le sommosse nelle strade e le incursioni sempre più frequenti da parte dei nemici si erano calmate: il popolo era ancora scosso dalla morte del precedente sovrano, certo. Suo padre non sarebbe stato dimenticato facilmente per la sua bontà e la sua cortesia, per la sua generosità e il suo senso di giustizia. Era stato un re giusto e lui aveva paura di non riuscire ad eguagliarlo o perlomeno di non riuscire a splendere dopo un astro così luminoso. Non con la sua inesperienza da diciannovenne, né con il suo essere così impulsivo e inaffidabile. 

Si passò una mano tra i capelli, spettinandoli ancora, e si voltò ad osservare il ritratto della sua famiglia, di quando ancora erano tutti e quattro riuniti. Lui, i suoi genitori e... Gregor. Il suo sorriso aperto e cortese gli infondeva calma, ma al contempo non faceva che trascinarlo sempre più a fondo nel baratro della disperazione. 

«Mi mancate tutti quanti» soffiò, accarezzando la cornice dorata del dipinto. La polvere gli annerì la punta della dita, ma, d'altronde, non sopportava che qualche cameriera potesse toccare un'ultima reliquia della sua famiglia. Era un ragionamento talmente stupido che si sarebbe preso a schiaffi da solo, ma era geloso in modo maniacale di tutto quello che ancora lo legava a loro. Sospirò per l'ennesima volta e fece vagare lo sguardo per la stanza.

La solitudine gli annebbiava i sensi. Era solo. Circondato da centinaia di persone, ma solo. Sentiva un nodo alla gola e una fitta allo stomaco lo colse di sorpresa, facendolo accasciare sul letto alla sua sinistra. Riusciva a emettere solo respiri veloci e irregolari, mentre la presa dell'ansia sulle sue viscere si faceva più forte e insopportabile. Poté anche giurare di aver visto le sue dita tremare. Era un re, santo cielo. Come poteva pensare di governare se non riusciva nemmeno a reggere il peso della cerimonia d'incoronazione? 

Strinse i pugni nel tessuto delicato delle lenzuola e, in un momento di rabbia, prese il cuscino scagliandolo contro la parete. Con un tonfo attutito, esso si accasciò al suolo. Si mise seduto con i gomiti appoggiati sulle ginocchia e le mani a metà tra la fronte e l'attaccatura dei capelli. Quelle poche ciocche che di solito ricadevano sul viso erano strette in una morsa dolorosa tra le sue dita tremanti. Le spalle avevano perso quel tipico portamento regale e tendevano verso il basso. Lasciò che la sua schiena inarcata venisse scossa da un singhiozzo, poi da un altro e da un altro ancora. Nessuna lacrima fu versata, ma non riusciva a mantenere sotto controllo quell'impulso involontario. 

«D'accordo, d'accordo» si disse, alzando lo sguardo verso la porta chiusa e mordendosi il labbro, che si tagliò appena quando i denti affondarono nella carne dopo l'ultimo singhiozzo. «Ce la puoi fare» 

In quel momento, sentì i passi della servitù avvicinarsi e tentò di ricomporsi per il bene della sua immagine. Qualcuno bussò e, dopo il suo consenso, una testa biondo cenere sbucò dalla fessura. 

«Maestà, è ora» annunciò una delle solite cameriere. Non ebbe nemmeno il tempo di far capire di aver sentito che la porta venne richiusa, togliendogli ancora ogni minimo contatto col mondo esterno. Beh, tra poche ore avrebbe avuto fin troppi contatti con gente che nemmeno conosceva, ma che voleva solo approfittarsi di lui. 

Si aggiustò la giacca e uscì nel corridoio. Per fortuna, giusto per non irritarlo ulteriormente, avevano tutti seguito le sue direttive: nessun ornamento alle pareti e nessuna guardia a scortarlo. Voleva essere libero e sentirsi sereno. Si fermò di colpo quando giunse a destinazione. Le porte del salone erano chiuse, ma gli uomini ai lati lo guardavano titubanti e con gli occhi sgranati in una muta richiesta "Tutto in ordine, sire?". Forse, aspettavano solo un suo gesto di assenso.

«Coraggio, Shawn. Ce la puoi fare» mormorò sottovoce, stringendo i pugni. Fece un cenno col capo alle guardie, che si affrettarono ad aprire la pesante porta della sala del trono. La luce lo investì in pieno e un silenzio assordante lo accolse, mentre procedeva verso il trono in fondo alla sala. 

Se non altro, il silenzio coincideva con il gelo che sentiva nel suo spirito.

The Prince's Affair [Sospesa]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora