Ladybug trascinò il suo compagno per un braccio, tuffandosi dietro una delle siepi di Champs de Mars proprio dietro la Tour Eiffel.
«Credo di avere un piano... – disse lasciandogli la mano e stringendo il telo da mare rosso a pois neri – Ho bisogno che usi il tuo potere. Ma devi farlo solo appena te lo dico io... Ok?» concluse scrutando l'orizzonte dietro al cespuglio, senza però ricevere risposta.
Si voltò di colpo verso il suo compagno.
«Chat Noir, che ti succede?»
Il giovane super eroe ansimava, era pallido e stava tremando vistosamente.
«Tranquilla my lady, sto bene...» iniziò a dire, ma si bloccò.
All'improvviso la ragazza gli aveva scostato i capelli biondi di lato e aveva poggiato le labbra sulla sua fronte, per poi scostarle subito dopo.
«Chat Noir, tu scotti!»
Non sapeva se scottava prima, ma sicuramente in quel momento si sentì bruciare: era sicurissimo di essere arrossito a quel contatto. Ma sebbene sentisse le guance calde, i brividi non sembravano passare. Sfregò le mani guantate sulle braccia, sperando di scaldarsi in qualche modo, poi si rivolse di nuovo alla sua compagna.
«Non c'è tempo, non pensare a me ora. Dimmi solo cosa devo fare.»
La ragazza lo guardò dubbiosa ancora per qualche secondo, poi rispose.
«Devi solo usare il tuo potere sulla cinghia del suo elmetto, in modo che glielo possiamo sfilare.»
«Ok!»
Il nemico si stava finalmente avvicinando. Papillon aveva conferito a quell'uomo il potere di gestire i metalli come voleva grazie ai palmi delle mani che si comportavano come magneti. L'akuma era sicuramente nell'elmetto che era l'unico oggetto che indossava dopo essere uscito dalla fabbrica in cui lavorava, o almeno così aveva detto il suo collega che era scappato dopo la trasformazione.
Sebbene potesse controllare qualsiasi metallo e avesse attaccato nei pressi della fabbrica, che si trovava proprio vicino alla Tour Effeil, l'uomo stava sempre abbastanza alla larga dal mostro di metallo e Ladybug sapeva il perché: se si fosse avvicinato troppo sarebbe rimasto bloccato, perché la torre di Parigi era troppo pesante e grossa da manovrare.
Prima che si avvicinasse troppo la ragazza sistemò il telo da mare proprio davanti a una trave degli enormi piedi della torre, fissandolo con il suo yo-yo. Poi prese il bastone dalla cintura di Chat Noir e si mise in posizione di combattimento.
Come si aspettava il nemico usò il suo potere per attirare a sé l'arma del gatto nero, ma lei invece di mollare la presa, fece in modo che il bastone si allungasse.
Quando fu nelle mani di entrambi, Ladybug con un forte strattone attirò Magneto versò di sé e spostandosi all'ultimo fece attaccare inesorabilmente le sue mani contro il telo e quindi contro il metallo che c'era oltre.
«Ora Chat Noir!» urlò la ragazza coccinella.
«Cataclisma!» disse con tutte le forze che aveva in corpo il biondo.
Gli bastò passare solo un'unghia della mano destra sulla fascetta che teneva il caschetto per farlo crollare tra le braccia pronte della sua compagna.
Appena lo ebbe tra le mani lo lanciò a terra con tutta la forza che aveva, scheggiandolo. Dalla crepa ne uscì l'akuma nera come la pece.
La ragazza prese subito lo yo-yo e il telo, poi fece il suo solito rito.
Appena sentì le parole della fine, pronunciate dalla sua dolce donzella, Chat Noir si accasciò al suolo stravolto: la stanchezza lo aveva sopraffatto.
«Chat Noir!» esclamò preoccupata la ragazza, non curandosi affatto del povero operaio che si era ritrovato all'improvviso nel bel mezzo di Champs de Mars.
«Tranquilla my lady. È solo un po' di febbre.» la rassicurò lui.
«Solo un po' di febbre? Chat stai tremando!» protestò lei, aiutandolo ad alzarsi.
«Già... Questo succede quando si fa i galantuomini... Ma ne vale la pena.» disse con un sorriso.
Per un attimo la super eroina rimase stupita, poi capì. Il giorno prima Chat Noir le aveva dato il suo ombrello. Questo voleva dire che dovunque abitasse, lui se n'era tornato a casa sua sotto la pioggia.
Non sapeva come chiedergli scusa, come ringraziarlo, non trovava le parole: era come se all'improvviso fosse tornata Marinette.
«Chat Noir io...» lui le mise un dito sulla bocca.
«I nostri Miraculous stanno per esaurirsi, ed io devo tornare a casa. Alla prossima, my lady.» concluse facendole un dolcissimo baciamano e scappando.
Doveva tornare sul serio a casa: non solo perché si sentiva completamente a pezzi, ma anche perché non sapeva quanto avrebbe retto la scusa del sonnellino. Sperando con tutto il cuore che Marinette non fosse ancora uscita dal bagno, in modo che non le mentisse più del dovuto, si fiondò, con le ultime forze che gli rimanevano, verso casa sua.
Marinette uscì dal bagno, Tikki ben nascosta nella sua borsetta che sgranocchiava già i suoi biscotti.
«Scusa se ci ho messo tanto Adrien.» disse e lo vide raggomitolarsi nel letto, come infreddolito.
In effetti anche lei sentiva un po' troppo freddo. Si voltò e vide che una delle finestre che costituivano la vetrata della camera del ragazzo era aperta.
«Adrien, ma sei impazzito? Così ti prenderai una polmonite!» disse correndo a chiuderla.
Appena la ragazza chiuse bene la finestra, il biondo da sotto le coperte mugugnò il suo nome.
«Sì?» chiese, tornando ad essere un po' imbarazzata per la situazione.
«Ho freddo!» protestò il ragazzo, sempre con la voce sommessa.
Lei sospirò e un po' titubante si avvicinò all'amico.
«Hai... Hai bisogno di qualcosa?» domandò al ragazzo, che in quel momento gli stava dando le spalle, ma subito dopo aver scosso la testa, in segno di negazione, si voltò verso di lei, cambiando fianco.
La ragazza fu trafitta per l'ennesima volta da quegli occhi verdi e sfavillanti e non capì più niente.
«Rimani qui con me ancora un po'?» chiese il biondo con un tono e uno sguardo da cucciolo.
Lei arrossì, ma sorrise e si sedette sul letto vicino a lui.
«Certo. Rimango quanto vuoi Adrien...» rispose.
STAI LEGGENDO
Makohon Saga _ Le Coeur de Paris [volume 13]
FanfictionAdrien inizia a provare qualcosa anche per Marinette, mentre lei fa una scoperta che potrebbe mettere in pericolo la vita di entrambi gli eroi di Parigi. In tutto questo, la battaglia contro Papillon si fa sempre più vicina, eppure non tutto è come...