Capitolo 1

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"Sveglia, muoviti!", sono le uniche parole che riesco a sentire.
Forse sto sognando, ma la voce roca e fastidiosa mi è troppo famigliare.
"Alzati da questo letto Iris!". Sobbalzo a queste ultime parole e apro gli occhi, non stavo sognando, è mia madre, e non c'è peggior risveglio.
Mi stiracchio qualche secondo, il tempo di svegliarmi veramente e sbadiglio. "Che ore sono?".

Sento un borbottio dal piano di sotto, un borbottio che sopporto da troppo tempo ormai.
"L'ora che tu te ne vada!" strilla poi, il fidanzato di mia madre. Ci puoi scommettere che me ne vado bastardo.

Ho sempre voluto andarmene, dal primo giorno che mio padre e mio nonno morirono.
Vivo in questa casa spregevole perchè costretta a viverci da mia madre a cui non è mai importato niente di me, per lei ha sempre prevalso Jhon, il fidanzato cocainomane e alcolizzato che l'ha attirata giù nell'abisso insieme a lui.

Ma da oggi in poi sarà tutto diverso, inizierò la mia nuova vita lontana da tutta questa merda che mi circonda, a Seattle, sarà li che mi trasferirò, dove attualmente vive mio zio Tom, il fratello di mio padre che da quando se ne andò, mi chiamò tutti i giorni, assicurandosi del mio benessere che continuamente fingevo per rasserenarlo.
L'ho visto solo qualche volta, a qualche compleanno o a una delle tante cene che mio nonno amava organizzare.
Però so che amava terribilmente mio padre, e che quando ero più piccola mi prendeva in braccio e mi stringeva forte le poche volte che mi vedeva, sapere di andare a vivere da lui mi rasserena così tanto.
D'altronde qualsiasi posto sarebbe migliore di questo, e qualsiasi persona sarebbe migliore di mia madre e del suo compagno.

Una volta preparati i bagagli controllo di aver preso tutto, partendo dalla mia trousse di trucchi al mio tubino senza manica nero preferito, mi affretto a scendere dalle scale e con molta nonchalance sfodero uno dei più liberatori sorrisi che posso e mi limito a dire un semplice 'ciao' a mia madre che è affacciata alla finestra.
Nessuna risposta al mio ciao, solo un cenno di capo.

Esco un po' prima di casa per passare da Daniel, o meglio Dani, il mio migliore amico a cui tengo molto. L'unico amico forse a cui tengo così tanto, tutti gli altri son conoscenti. E' stato l'unico a starmi vicino quando mio padre e mio nonno se ne  andarono, mi ospitò a casa per un breve periodo, ma poi decisi di stare da mia madre per non crearle disturbo.

Busso alla sua porta e non tarda ad aprirmi. "Ciao principessa", mormora stropicciandosi gli occhi.
"Ciao brutto, appena svegliato?" osservo, lanciandogli le braccia al collo.
Sorride e mi stritola, come il suo solito. "Si nota così tanto?".
Entro nelle sua casa che è stata anche un po' la mia, si mette una tuta e sistema il suo ciuffo biondo, sempre impeccabile.
"Andiamo? Ti accompagno alla fermata del bus" afferma prendendo le chiavi della macchina.

La fermata del bus è vicina, a 10 minuti da casa sua.
Parliamo del mio trasferimento e mi conforta molto, dicendomi che verrà a trovarmi tutte le volte che sarà libero (che saranno poche visti i suoi costanti impegni con la squadra di football), e che con mio zio starò sicuramente molto meglio.
L'idea che verrà a trovarmi però mi rende ancora più felice di quanto io lo sia già, lui è il mio punto di riferimento, mi ha sempre protetta e difesa quando ne avevo bisogno.
Le sue mani grandi mi hanno sempre accarezzato nei momenti bui, è sempre stato un gran coccolone, tanto che per un periodo a scuola tutti pensarono fossimo fidanzati.

Dani si sporge leggermente con la testa in direzione del pullman poi si avvicina. "Ok principessa, il bus sta arrivando quindi dammi un abbraccio da farmi mancare il fiato, perchè mi mancherai un sacco".
È così dolce questo ragazzo biondo dagli occhi così azzurri.
Così buono, così pulito.
Il mio Dani.
Gli salto in braccio stringendo fortemente le mie minute gambe attorno alla sua vita.
"Ti voglio troppo bene Dani, ti chiamo appena arrivo, promesso" gli sussurro all'orecchio.

Salgo nel bus con le mie valigie e metto le cuffiette, ascolto un po' di musica e cerco di fare un sonnellino per far si che le tre ore di viaggio passino più veloci.

Mi sveglio e, guardando l'ora mi accorgo che non sono passati 20/30 minuti, ma bensì quasi 3 ore.
Cazzo, ho dormito tutto il viaggio.
Sento un passante chiedere all'autista "manca molto a Seattle?".
"10 minuti e ci siamo" risponde il paffutello baffuto, sfoderando un gran sorriso.
Mi affretto a chiamare mio zio Tom e la sua voce possente risponde al primo squillo, avvisandomi di essere già nella fermata ad aspettarmi, il che mi tranquillizza.

"Iris?" sento dire, alle mie spalle.
Mi volto. "Zio tom?" rispondo con una nota d'incertezza.
Si è sicuramente lui.

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