11. My Angel

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Detroit Motel, 6 Aprile
Ore 14.35

Era la seconda volta che Caroline Price provava chiamare nell'arco di tre minuti. Non la sentiva da due settimane, Mya si era volatilizzata nel nulla, aveva evitato ogni chiamata fatta da lei o da Diego, troppo impegnata sul lavoro o, come nella maggior parte del tempo, con la luna storta per parlare con loro. Ma forse era il momento di rispondere dopo un lungo silenzio.

Trascinò il cerchio verde al centro dello schermo e rispose.

«Pronto?»

«Mya!» la voce calda e gentile di Caroline le giunse alle orecchie, «Tesoro, come stai? È da tanto che non ci sentiamo.»
Aveva usato un tono così triste che si sentì in colpa per averla evitata.

Strinse il volante con una mano. «Lo so, scusami, è che ero presa dal lavoro.»

Caroline rise dall'altro capo del telefono. «Li leggo i giornali, tesoro. Sei stata bravissima. Siamo così fieri di te.»

Fece un sorriso malinconico.
Chissà se anche mamma sarebbe fiera di me.
«Grazie, Caroline» non c'era niente di meglio che essere l'orgoglio di qualcuno, una sensazione che ti riempie il cuore di gioia e ti fa credere in te stesso.

«E dimmi, a cosa stai lavorando ora?»

Mya le raccontò delle varie richieste di aiuto che imbrattavano i muri, Caroline rispose che ne aveva sentito parlare e che doveva dare il massimo, come sempre.

Guardò il motel davanti a sé, le porte verdi facevano sembrare la struttura più vecchia di quanto fosse veramente.
«Ora devo andare, sai, il caso..»

«Oh certo, ci sentiamo cara, un bacio.»

Mya la salutò per poi riattaccare.

Scese dalla macchina ed estrasse il bigliettino dalla tasca.

Porta B12.

Salì le scale in legno che portavano al secondo piano. Affacciati a un paio di terrazze c'erano dei bambini che giocavano coi peluches e un signore che scriveva qualcosa sul telefono.
Attaccate alle ringhiere erano appesi i panni bagnati, messi ad asciugare al sole.
In cortile, una ragazza controllava il proprio cane fare i bisogni.
Sembrava un vero e proprio condominio, ma costruito orizzontalmente.

Arrivò davanti alla porta B12 e bussò. Attese che qualcuno le aprisse.

La maniglia si piegò verso il basso e una testa bionda fece capolino alla porta.
In braccio dormiva una bambina dal viso paffutello, le ciglia lunghe e delicate, portava un pigiamino bianco.

Avevo ragione, è bionda come la madre.

«Oh, buogiorno» la voce di Sarah tremò, incerta.

Mya sorrise per rassicurarla. «Ciao Sarah. Ehm..»
Non aveva preparato un discorso di apertura, era semplicemente andata lì per vedere come stava e, magari, racimolare altre informazioni.

Lei sembrò risvegliarsi da qualche sogno. «Ma che stupida, prego si accomodi» disse aprendo la porta.

Mya aveva subito notato come con lei usasse un tono più formale che con Connor. Se si fosse presentato lui alla soglia di quella porta, Sarah gli avrebbe sicuramente lanciato qualcosa addosso o avrebbe chiuso la porta.

«Scusi il disordine, non ho ancora avuto il tempo di mettere a posto.»

L'appartamento non era uno splendore, in effetti: i vestiti erano buttati sul letto che, a sua volta, era disfatto.
Il lavello della piccola cucina era pieno di piatti da lavare, sul tavolo da pranzo erano presenti pannolini, pappe da neonato e un coniglietto blu di pezza. Mya ci trovò un che di tenero.

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