14. Broken And Tired

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Detroit, 7 Aprile
Ore 23:31

Non capiva. Era confusa, nel pallone. Nella sua mente regnava la nebbia più fitta e, in mezzo a essa, lei. Lei che ci si perdeva dentro, intenta a cercare la direzione giusta.
Non capiva. Cosa doveva fare? Che tipo di rapporti c'erano nella sua vita?

Le cose che aveva detto Connor l'avevano fatta riflettere, molte cose che aveva detto l'avevano fatta riflettere in realtà, ma due concetti persistevano: doveva rinunciare alla sua vita amorosa a causa del suo lavoro e, sopratutto, Lucas era la persona giusta?
Le piaceva, si erano visti una sola volta ma poteva dirlo con fermezza. Si era ricreduta in lui come non aveva mai fatto con nessun altro. Poche volte le sensazioni che provava vedendo una persona per la prima volta si smentivano nel corso del tempo, ma con Lucas aveva sbagliato del tutto.
Eppure c'erano molti suoi colleghi che avevano una vita amorosa, ma perché lei non vedeva quella possibilità? Forse erano le circostanze, forse era il fatto di essere nella OCCB. Forse era il suo collega che esigeva troppo. O, forse, era stato un caso.
Avrebbe dovuto tentare una seconda volta.

Abbassò il capo sullo schermo del telefono, il messaggio che le aveva inviato Lucas le bruciava gli occhi. La luminosità di quel locale era troppo bassa e, quella del telefono, troppo alta.

"Hei Mya! Dicono che passi un bel film al cinema... Ti va di vederlo assieme?"

Di certo non era abile nel rimorchiare e non fare sentire le ragazze in imbarazzo con le sue frasi impacciate, ma era tenero.

Mya sorrise, digitando un diretto , sulla tastiera per poi inviare il messaggio.
Dopodiché si guardò intorno.

Non sapeva esattamente perché fosse entrata in quel bar, per cercare risposte forse. Il silenzio non l'aveva mai aiutata a pensare, stranamente.

Mentre la musica le rimbombava nelle orecchie, ordinò un altro bicchierino di vodka.

*****

Detroit, 8 Aprile
Ore 00.40

Dovette ricredersi, per alcuni pensieri si esigeva il silenzio.
Una panchina, il porto e la vista sul Canada erano l'ideale.

Era tornata su quella panchina perché la confortava, per quale strano e perverso motivo, non lo sapeva, ma le piaceva.

Aveva ancora una questione da risolvere:
Connor Hill.

Gesù, sto impazzendo.

Erano amici? Nemici? Semplici colleghi?
Non lo sapeva. Si scannavano sempre per poi un attimo dopo sorridersi. Non ricordava di aver mai avuto questo tipo di rapporto coi suoi precedenti colleghi. Anche se le conversazioni con gli altri agenti erano freddi e professionali non si erano mai urlati contro, erano sempre pacifici, e anche i sorrisi non e erano frequenti. Erano.. giusti, nella norma.

«Non è colpa mia se le tue sono scelte sbagliate!»

Quelle parole le rimbombavano nelle orecchie fino a raggiungere il cuore e lancinarlo.

Gli aveva distrutto l'autostima in una frazione di secondo per poi sorridergli qualche minuto dopo.

Era stato crudele, aveva pronunciato quelle parole con così tanta convinzione che probabilmente se le teneva dentro da tempo, non vedeva l'ora di sputarle fuori, velenose.

«Stronzo.» sussurrò torturandosi le mani.
Si appiattì ancor di più sulla panchina e tremò.

Faceva freddo quella sera, e la felpa che si era messa non bastava per tenerla al caldo.

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